Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16435 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 02/02/2016, dep. 05/08/2016), n.16435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15441-2010 proposto da:

B.V. titolare dell’omonima Ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso

lo studio dell’avvocato ULISSE COREA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROBERTO PIGNATONE giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

sul ricorso 8059-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.V. titolare dell’omonima Ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso

lo studio dell’avvocato ULISSE COREA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROBERTO PIGNATONE giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 109/2009 della COMM.TRIB.REG. della SICILIA,

depositata il 19/10/2009, e avverso la sentenza n. 151/2010 della

COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA, depositata il 20/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il n. r.g. 15441/10 resistente l’Avvocato GAROFOLI che ha

chiesto il rigetto, ai fini di una eventuale riunione applicazione

analogica dell’art. 335 c.p.c.;

udito per il n. r.g. 8059/11 ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha

chiesto l’accoglimento, ai fini di una eventuale riunione in

applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il n. r.g. 15441/10 il rigetto

del ricorso, per il n.r.g. 8059/11 ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 109/14/09 del 19 ottobre 2009, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia respingeva l’appello proposto da B.V. avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Trapani aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. 8920100114/2005 emesso dall’Ufficio finanziario a seguito di verifica fiscale compendiata in un processo verbale allegato all’atto impositivo, per recupero a tassazione di maggiori ricavi ai fini IRPEF ed IVA per l’anno di imposta 2002.

Sosteneva il giudice territoriale, per quanto qui di interesse: a) che l’accertamento induttivo effettuato dall’Ufficio finanziario era giustificato dal mancato rinvenimento dei libri contabili; b) che la critica mossa all’Ufficio per non aver tenuto conto delle rimanenze finali dell’azienda per l’anno di imposta in considerazione oltre ad essere “inconferente perchè fondata su un dato di bilancio non rivenuto”, non era comunque idonea a superare “l’attendibilità del calcolo presuntivo, operato sulla base degli studi di settore con riguardo al tipo di attività e al volume degli affari dichiarati dal contribuente”.

2. Avverso tale statuizione il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. L’Agenzia non ha spiegato difese scritte ma ha chiesto di partecipare all’udienza di discussione.

4. A seguito di ricorso per revocazione proposto dal contribuente avverso la sopra indicata sentenza della CTR siciliana, quest’ultima, con ordinanza n. 27/14/2010 del 30 agosto 2010, ha sospeso il giudizio dinanzi questa Corte fino alla data di comunicazione della sentenza che sarebbe stata emessa nel giudizio di revocazione. Giudizio poi conclusosi con sentenza n. 151/14/10 del 20 dicembre 2010, con la quale è stata disposta la revocazione della sentenza impugnata (n. 109/14/09) e, con pronuncia nel merito, l’annullamento dell’avviso di accertamento. Sentenza che è stata depositata in copia dal contribuente con nota di deposito notificata all’Agenzia delle entrate in data 12 gennaio 2016.

5. Avverso tale ultima pronuncia l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione che ha dato origine al giudizio iscritto al n. 8059/2011 R.G.

6. In relazione ai motivi di revocazione il giudice territoriale ha sostenuto che il primo giudice aveva errato sia nel ritenere che l’Ufficio avesse rideterminato i maggiori ricavi mediante l’applicazione degli studi di settore, mentre, invece, vi aveva proceduto mediante applicazione di una percentuale di ricarico medio al costo del venduto, sia nel negare l’esistenza del bilancio, invece allegato al processo verbale di constatazione.

6.1 In relazione, invece, ai motivi di impugnazione dell’atto impositivo, sosteneva che il medesimo andasse annullato innanzitutto perchè, in presenza di contabilità regolarmente tenuta, non avendo l’Ufficio eccepito l’inesistenza o la non veridicità delle scritture contabili e non essendo il contribuente tenuto ad istituire nè il libro giornale, nè quello degli inventari e tanto meno le scritture ausiliarie di magazzino, non sussisteva il presupposto per un accertamento induttivo di maggiori ricavi d’impresa, consistente, secondo il principio giurisprudenziale affermato da questa Corte nella sentenza n. 20201 del 2010, nella riscontrata abnormità ed irragionevolezza dei livelli di percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza. Sosteneva, infine, che i verificatori avrebbero dovuto procedere in ogni caso ad una determinazione delle rimanenze finali al 31.12.2002 da portare in detrazione, al pari di quanto effettuato per il calcolo del costo del venduto.

7. Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito il contribuente con controricorso in cui, tra le altre cose, ha eccepito il giudicato interno formatosi in relazione alla statuizione di annullamento dell’atto impositivo per omesso computo in detrazione delle rimanenze finali al 31.12.2002, in quanto non attinto da specifico motivo di impugnazione. L’Agenzia ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c. in data 29 gennaio 2016 ed istanza di trattazione congiunta dei procedimenti in data 1 febbraio 2016.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità delle memorie ex art. 378 c.p.c. dell’Agenzia delle entrate perchè depositate tardivamente.

1.1. Va altresì rilevato che i due ricorsi, quello proposto dal ricorrente avverso la sentenza n. 109 del 2009 della CTR della Sicilia, nonchè quello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 151 del 2010 della medesima CTR, con cui è stata accolta l’impugnazione per revocazione della prima decisione, siccome risultano contemporaneamente pendenti in sede di legittimità, devono essere riuniti. Deve darsi, invero, continuità al principio affermato da questa Corte (Cass. S.U., n. 10933 del 1997, n. 1814 del 2004, n. 21938 del 2006, n. 23445 del 2014, n. 10534 e n. 11898 del 2015) secondo cui “i ricorsi per cassazione, proposti, rispettivamente, contro la decisione della Corte d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono, in caso (come quello in esame) di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell’art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla norma citata, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza rese in sede di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione.

Il carattere pregiudiziale delle questioni inerenti alla revocazione, poste nel ricorso promosso dall’Agenzia delle entrate aver la sentenza n. 151 del 2010, emessa dalla CTR in sede di revocazione, comporta che il loro esame abbia la precedenza su quello del ricorso contro la sentenza d’appello (in termini, Cass. n. 6878 del 2009; n. 6456 del 2010), e pertanto va disposta la riunione di quest’ultimo giudizio (R.G. n. 15441/10) al primo (R.G. n. 8059/2011).

2. Ricorso (n. 8059/2011 R.G.) avverso la sentenza della CTR della Sicilia n. 151 del 20 dicembre 2010.

2.1. In relazione a tale ricorso rileva preliminarmente la Corte che nell'”incipit” dell’esposizione in “diritto” dei motivi di ricorso, la difesa erariale “evidenzia” che la società contribuente aveva proposto ricorso per revocazione avverso la sentenza della CTR n. 109/14/09 per motivi “parzialmente coincidenti o quanto meno fondati sui medesimi presupposti di fatto” di quelli del ricorso per cassazione proposto avverso la medesima sentenza, in tal modo ammettendo implicitamente l’insussistenza dei presupposti per promuovere il giudizio revocatorio.

Ritiene però questa Corte che il rilievo preliminare dell’Agenzia ricorrente non meriti separato esame in quanto non costituisce autonomo ed ulteriore motivo di ricorso avverso la sentenza della CTR che ha pronunciato sulla revocazione, non venendo neanche formalmente prospettato come tale, non essendo preceduto, al pari degli altri motivi, da una autonoma rubrica (cfr. sul punto Cass. n. 18421 del 2009) redatta con diversa veste grafica (e cioè in grassetto).

3. Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza di revocazione l’Agenzia delle entrate prospetta, ai sensi dell’art. 403 c.p.c., diversi vizi motivazionali della sentenza impugnata.

Censura come insufficiente, illogica e contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici della revocazione, nell’affermare che i giudici di appello erano incorsi in errore di fatto nel fondare la propria decisione sul presupposto che l’accertamento induttivo derivasse dalla mancanza del bilancio e delle scritture contabili, ha ignorato che l’Ufficio erariale già nelle controdeduzioni al ricorso in primo grado aveva evidenziato che i verificatori non erano stati messi in condizione di prendere visione delle scritture contabili, con le ovvie conseguenze in ordine alla legittimità dell’accertamento con metodo induttivo. Deduce, altresì, la ricorrente l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata sia nella parte in cui la CTR ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’accertamento condotto con metodo induttivo, la circostanza che gli studi di settore avessero operato da innesco a quel tipo di accertamento, sia perchè non ha spiegato la decisività dell’errore dei primi giudici nel ritenere che nella rilevazione dei dati si sarebbe fatta applicazione di quei parametri.

4. Con il secondo mezzo l’Agenzia deduce la falsa ed erronea applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 403 c.p.c., sostenendo che costituisce vizio di motivazione quello, invece addotto al contribuente come vizio revocatorio in riferimento al fatto che l’accertamento induttivo era stato dai primi giudici erroneamente ritenuto fondato sugli studi di settore, mentre dalle risultanze del p.v.c. e dalle difese dell’amministrazione risultava che gli studi di settore avessero costituito solo un fattore di innesco di quel tipo di accertamento. Deduce, altresì, che la CTR non ha spiegato sulla base di quali elementi il predetto errore assuma carattere di decisività.

5. Con il terzo ed ultimo motivo, l’Agenzia deduce che il giudice territoriale è incorso nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), in relazione all’art. 403 c.p.c., laddove ha ritenuto che l’omessa immediata esibizione delle scritture contabili non consentisse all’Ufficio di procedere ad accertamento con metodo induttivo.

6. I motivi dedotti in sede revocatoria sono tutti inammissibili.

6.1. Invero, la Commissione tributaria regionale siciliana con la sentenza in esame (n. 151 del 2010) ha disposto la revocazione della sentenza n. 109 del 2009 imputando alla CTR che l’aveva pronunciata, la commissione di due errori di percezione, consistenti, il primo, nell’aver ritenuto che l’Amministrazione finanziaria avesse rideterminato i maggiori ricavi conseguiti dalla ditta individuale del contribuente mediante l’applicazione degli studi di settore, mentre, invece, dal p.v.c. allegato all’avviso di accertamento risultava che vi aveva proceduto applicando una percentuale di ricarico medio al costo del venduto; il secondo, nell’aver ritenuto inesistente e, comunque, non rinvenuto, il bilancio nonostante lo stesso risultasse allegato al processo verbale di constatazione.

6.2. Alla pronuncia rescindente ha, quindi, fatto seguire quella rescissoria di merito, pronunciando l’annullamento dell’atto impositivo ritenendo illegittimo il ricorso dell’Ufficio alla rideterminazione induttiva dei ricavi in presenza di una contabilità regolarmente tenuta dal contribuente, il cui esame, peraltro, non aveva evidenziato livelli di abnormità ed irragionevolezza nel rapporto tra percentuale di ricarico applicata dal contribuente e quella media del settore di appartenenza, che secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. n. 20201 del 2010) avrebbe minato l’attendibilità della documentazione contabile e, quindi, giustificato il ricorso a quella modalità di accertamento. Ha aggiunto che in presenza di dati certi, l’Ufficio non avrebbe dovuto far ricorso ad elementi presuntivi, che in ogni caso aveva errato nel non computare le rimanenze finali al 31.12.2002 in detrazione dai ricavi conseguiti dal ricorrente, e che, anche ove gli elementi forniti dal contribuente presentassero profili di incertezza, i verificatori avrebbero dovuto comunque procedere a quantificare le rimanenze finali con le stesse modalità utilizzate per il calcolo del costo del venduto.

7. Ciò precisato, osserva questa Corte che la difesa erariale con il ricorso in esame ha censurato soltanto alcune delle statuizioni contenute nella sentenza di revocazione impugnata, pretermettendo le altre. La ricorrente, invero, si nel primo che nel secondo motivo di ricorso, che concernono esclusivamente le statuizioni rescindenti, ha del tutto omesso di censurare quella relativa all’esistenza del bilancio, invece negata dai giudici di appello nonostante fosse stato “utilizzato ai fini della determinazione dei ricavi” (pag. 5 della sentenza impugnata), dato che il documento, come affermato dal controricorrente (a pag. 7 del controricorso) senza essere stato smentito sul punto dall’Agenzia ricorrente, era allegato al processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. Con riferimento, invece, alle statuizioni rescissorie, la difesa erariale nel terzo motivo all’uopo proposto, ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) commessa dal giudice della revocazione laddove aveva ritenuto che l’omessa immediata esibizione delle scritture contabili all’Ufficio di procedere ad induttivo, ma ha del tutto delle rimanenze finali, in giudice della revocazione non avesse consentito accertamento con metodo tralasciato la questione relazione alla quale il aveva rilevato che il giudice di appello aveva errato nel non computare le rimanenze finali al 31.12.2002 in detrazione dai ricavi conseguiti dal ricorrente, e che, anche ove gli elementi forniti dal contribuente presentassero profili di incertezza, i verificatori avrebbero dovuto comunque procedere a quantificare le rimanenze finali con le stesse modalità utilizzate per il calcolo del costo del venduto.

7.1. E’ evidente che quelle che riguardano l’esistenza del bilancio e delle rimanenze finali, nonchè il computo di queste, sono ragioni della decisione idonee da sè sole a sostenere il “decisum”, che la parte pubblica aveva quindi l’interesse e l’onere d’impugnare a pena di inammissibilità del ricorso, giacchè, come insegna questa Corte, l’omessa impugnazione di una delle plurime ragioni che, in maniera autonoma e distinta, sia giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (in termini, Cass. ord. 22753 del 2011; id. Cass. S.U., sent. n. 7931 del 2013).

8. Ricorso (n. 15441/2010 R.G.) avverso la sentenza della CTR della Sicilia n. 109 del 19 ottobre 2009.

9. Il rigetto del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 151 del 20 dicembre 2010 della CTR della Sicilia, che ha accolto la revocazione della sentenza n. 109 del 19 ottobre 2009 emessa dalla medesima Commissione ed annullato l’atto impositivo, rende evidentemente inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal contribuente avverso quest’ultima sentenza. Infatti, a seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di revocazione e del conseguente consolidamento di quest’ultima, la sentenza oggetto del ricorso proposto dal contribuente deve ritenersi definitivamente rimossa dall’ordinamento giuridico, con a conseguenza che il ricorso per cassazione avverso tale sentenza ormai revocata deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse.

Questa Corte ha, infatti, ripetutamente statuito (v. Cass. S.U. n. 25278 del 2006; Sez. 2A, n. 21951 del 2013; Sez. 5A, n. 2934 del 2015) che nell’ipotesi in cui la sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione sia stata revocata viene a cessare la materia del contendere e il ricorso diviene inammissibile per carenza di interesse ed ha anche precisato che, qualora si verifichi, nel corso del giudizio per cassazione, la cessazione della materia del contendere essa da luogo alla inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche l’interesse ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione (o l’impugnazione), ma anche al momento della decisione perchè è in relazione a tale decisione – ed in relazione alla domanda originariamente formulata che tale interesse va valutato (v. Cass. n. 11609 del 2005).

10 Quanto alla disciplina delle spese, l’Agenzia delle entrate, rimasta soccombente nel ricorso proposto avverso la sentenza di revocazione, va condannata al pagamento delle spese processuali liquidate in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, mentre con riferimento al ricorso proposto dal contribuente (giudizio n. 15441/10 R.G.), la circostanza che la revocazione della sentenza impugnata sia intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso e, pertanto, a quel momento non sussisteva la ragione di inammissibilità, costituisce valido motivo di compensazione delle spese tra le parti.

PQM

La Corte, riuniti i giudizi, dichiara inammissibili i motivi di ricorso proposti avverso la sentenza di revocazione dall’Agenzia delle entrate, che condanna al pagamento delle spese processuali, liquidate in 7.200,00 Euro, di cui Euro 200,00 per esborsi; dichiara inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza revocata e compensa le spese processuali relative a tale giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 2 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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