Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16434 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/07/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 27/07/2011), n.16434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

A.G.L.;

– intimato –

sul ricorso 28669-2006 proposto da:

A.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA FISCALE DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 22/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 19/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIDA, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale delle Torino dep. il 19/05/2006 che aveva, rigettando l’appello dell’Ufficio, confermato la sentenza della CTP di Torino che aveva ritenuto valido il condono effettuato da A. per gli anni 1999 e 2002.

La CTR aveva ritenuto che la disposizione del D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, conv. in L. n. 212 del 2003, laddove faceva riferimento alì “avvio di accertamento” quale fatto preclusivo della condonabilità, andava, nella ritenuta impossibilità di configurare un provedimento analogo all’archiviazione per un atto di rilevanza solo interna quale il pvc, doveva intendersi come riferita alla spedizione della raccomandata (atto di esternazione della volontà di procedere) con cui era notificato l’avviso di accertamento e non quale l’atto formale con cui l’Amministrazione rinunciava all’accertamento.

L’Agenzia pone a fondamento del ricorso un unico motivo fondato su violazione e falsa applicazione di legge. Il contribuente ha resistito con controricorso e ha proposto appello incidentale.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Devono essere previamente riuniti il ricorso principale e quello incidentale perchè relativi alla medesima sentenza. E’ poi di preliminare esame il motivo di controricorso con cui l’ A. deduce l’inammissibilità del ricorso per omessa esposizione dei fatti di causa. Il motivo è infondato.

Il ricorso contiene una sufficiente esposizione delle questione rilevanti e controverse.

Sono altresì sempre di preliminare esame i tre motivi di ricorso incidentale con cui l’ A. deduce l’illegittimità della ordinanza della CTR che aveva disposto la produzione, pur essendone l’Agenzia decaduta, della delega a sottoscrivere il ricorso in appello, la carenza di qualifica dirigenziale del soggetto che aveva sottoscritto l’atto d’appello e, infine, l’assenza di sottoscrizione in originale sul provvedimento autorizzatorio della Direzione Regionale delle Entrate. Le tre censure devono essere esaminate congiuntamente in quanto la rilevanza della prima (illegittimità della ordinanza della CTR che disponeva la superiore produzione) è subordinata alla fondatezza degli altri due rilievi. Questi ultimi sono però infondati.

Questa Corte ritiene di dare seguito all’indirizzo espresso da Cass. n.874/2009 che ha osservato “le questioni relative agli effettivi poteri dell’autore (nel caso in quella sede esaminato, si trattava di firma illeggibile) in rappresentanza dell’ente potrebbero porsi, per mera ipotesi, in chiave di non appartenenza del firmatario all’ufficio appellante o di usurpazione di tali poteri; dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (Cass. n. 12768/2006; in materia analoga, cfr. Cass. nn. 9600/2007, 7890/2007, 10773/2006, 19673/2004, 8166/2002, 2432/ 2001).

La precedente interpretazione risulta peraltro conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale, più volte richiamato anche dalla Corte Costituzionale – oltre che da questa suprema corte (SS.UU. nn. 3116 e 3118/2006, Cass. n. 22889/2006), che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità. In conclusione, deve ritenersi ammissìbile l’atto d’appello proposto dal competente ufficio dell’agenzia delle entrate, recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare; finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado.” Pertanto le censure limitate alle questioni della sussistenza o meno della delega da parte del Direttore, della sussistenza della qualifica dirigenziale del delegato e il non autosufficiente rilievo di carenza di sottoscrizione nell’originale, non son sufficienti ad escludere l’attribuibilità dell’atto all’Ufficio , onde ne conseguono la irrilevanza dei relativi rilievi e la consequenziale irrilevanza della questione della legittimità dell’ordinanza di esibizione della CTR. Ritornando al ricorso principale, con l’unico articolato motivo l’Agenzia deduce violazione dell’art. del D.L. n. 143 del 2003, art. 1 comma 2 terdecies, conv. in L. n. 212 del 2003 e L. n. 289 del 2002, art. 9; deduce in particolare che la disposizione che riapriva i termini del condono dovesse essere interpretata nel senso che, pur in presenza di una notifica di pvc (che con la precedente normativa era preclusiva del condono tombale), era concessa la facoltà di condonare ove fosse intervenuto un provvedimento dell’Amministrazione con cui si disponeva che non si avviava l’accertamento (in sostanza una archiviazione) o si annullava in autotutela un accertamento espletato.

Il D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, conv. In L. n. 212 del 2003 prevede:

“Gli stessi effetti di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 10, sono altresì prodotti nel caso in cui, prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il processo verbale di constatazione non abbia dato luogo ad avvio di accertamento o rettifica nei confronti del contribuente a seguito di provvedimento dell’Amministrazione finanziaria ovvero nel caso in cui l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio sia stato annullato per autotutela.” L’art. 9, comma 10 prevede:

“Il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta:

a) la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario;

Orbene la disposizione di cui al predetto art. 1, comma 2 terdecies è in sicuro ed immediato collegamento col comma 14 del citato art. 9 che prevede: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora: a) alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonchè invito al contraddittorio di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5. La disposizione dell’art. 1, comma terdecies in esame può pertanto univocamente interpretarsi quale norma integrativa-interpretativa del comma 14 predetto, nel senso che alla circostanza che non fosse stata effettuata notifica di un PVC entro il termine previsto dalla medesima legge (condizione necessaria per potersi avvalere del condono tombale) sono equiparate la ipotesi in cui, benchè fosse stato notificato entro tale termine un pvc, lo stesso “non abbia dato luogo ad avvio di accertamento o rettifica nei confronti del contribuente a seguito di provvedimento dell’Amministrazione finanziaria” nonchè quella in cui emesso anche avviso di accertamento,ma lo stesso sia stato “annullato per autotutela”.

La disposizione allarga evidentemente l’ambito di condonabilità, eliminando ipotesi che una lettura meramente formalistica del comma 14 in esame avrebbe potuto far ritenere preclusive della possibilità di usufruire del condono, ma non opera in una logica di proroga de termini di condono.

Una tale interpretazione consente di disattendere il rilievo, necessariamente ipotetico, del contribuente che il termine “avvio di accertamento” sia in realtà un refuso tipografico dovendo intendersi “avviso di accertamento”. Il rilievo fondato principalmente su osservazioni di carattere grammaticale (in buon italiano, si sarebbe dovuto dire avvio di “un” accertamento; il disgiuntivo “o” seguito da “rettifica”, cioè avviso di rettifica, dovrebbe, parallelamente fare ritenere che il legislatore abbia voluto intendere avviso di accertamento) non appare fondato in quanto, pur essendo condivisibili i rilievi grammaticali, tuttavìa il testo della disposizione è univoco e coerente nel distinguere tra attività dell’Ufficio relativa ad un pvc in ordine al quale, essendo un atto della Guardia di Finanza e pertanto di un soggetto diverso dall’Ufficio anche se operante in rapporto di collaborazione col primo, non può che ravvisarsi un provvedimento analogo alla processualpenalistica archiviazione, e avviso di accertamento (quale valenza possa avere l’omesso richiamo all’avviso di rettifica non interessa in questa sede) per il quale, proprio perchè emesso dal medesimo ufficio, non può che parlarsi di annullamento in autotutela.

Analogamente da disattendere è l’osservazione della CTR che sarebbe inesigibile pretendere un provvedimento formale di archiviazione in ordine ad un atto interno quale il pvc, in quanto l’affermazione è meramente assertiva, laddove i principi di buon andamento dell’Amministrazione, nonchè quelli di necessaria documentazione dell’attività della P.A. unitamente al divieto tendenziale dei provvedimenti impliciti, imporrebbero che l’Ufficio non possa non decidere, se non formalmente , se dare corso ad un pvc emettendo avviso di accertamento o di rettifica oppure archiviarlo, non apparendo ammissibile e legittimo che possa semplicemente non tenerne conto o ignorarlo. L’eventuale difficoltà pratica adducibile che spetterebbe al contribuente provare che, pur in presenza della notifica di un pvc, l’Ufficio lo avrebbe archiviatolo che abbia annullato l’avvio di accertamento) è agevolmente superabile con la considerazione che l’ordinamento giuridico prevede procedimenti appositi per ottenere il rilascio di documenti in possesso della P.A. o per evidenziarne il rifiuto.

La interpretazione qui seguita (e già adottata da questa Corte con ordinanza n. 25948/2010, cui si intende dare seguito) consente poi di escludere che all’inerzia dello Ufficio (come invece si desume dalla sentenza impugnata che dall’omesso invio, entro il termine previsto, dell’avviso di accertamento fa derivare la condonabilità del rapporto) possa attribuirsi un qualche significato e tanto meno di atto equipollente all’archiviazione.

E’ invero estraneo alla ratio legis ogni rilievo sanzionatorio della mancata archiviazione o del mancato annullamento in autotutela, con il conseguente tentativo di costruzione di fattispecie di natura “ficticia” che possano surrogare le condizioni di ammissibilità del condono, intendendo il legislatore individuare solo ulteriori fattispecie (e il relativo termine di perfezionamento) che possano consentire di avvalersi del condono, operandole stesse come condizioni obiettive di ammissibilità del medesimo.

Il ricorso deve essere pertanto accolto e, poichè è incontestato che nel termine di legge l’Ufficio non ha archiviato il pvc, tanto che risulta emesso avviso di accertamento(non annullato in sede di autotutela), può essere deciso anche nel merito col rigetto del ricorso introduttivo del contribuente. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione.

Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente. Condanna il contribuente alle spese che liquida in Euro 2.500,00 per il presente giudizio, Euro 1.500,00 per ciascuno dei gradi del merito oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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