Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16433 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. II, 30/07/2020, (ud. 29/11/2019, dep. 30/07/2020), n.16433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13301/2018 R.G. proposto da:

L.F., rappresentato e difeso dall’avv. Renzo Gambi, con

domicilio in Firenze, alla Via del Parione n. 6.

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NOTARILE DEL DISTRETTO DI GROSSETO, in persona del

Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Mazzoli, con

domicilio eletto in Roma, Viale Parioli n. 44.

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Firenze n. 408/2018,

depositata in data 22.2.2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno

29.11.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso chiedendo di rigettare

il ricorso.

Udito l’avv. Renzo Gambi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decisione del 27.7.2018, il Consiglio notarile distrettuale di Grosseto ha irrogato a L.F. la sospensione dall’esercizio delle funzioni per la durata di giorni quaranta, contestandogli la violazione degli artt. 1, 21, 22, 31 e 36 del Codice deontologico e della L. n. 89 del 2013, art. 147, lett. b).

Il reclamo proposto dal ricorrente è stato respinto dalla Corte distrettuale, che ha ritenuto fondate tutte le contestazioni, osservando che il notaio:

aveva riscontrato con grave ritardo una richiesta di invio di documentazione, avanzata nel giugno 2016 dal Consiglio nazionale di disciplina (rimasta inevasa alla data del 22.11.2016), ed aveva tenuto un atteggiamento ostruzionistico teso a non riconoscere la legittimità della richiesta;

si era avvalso, per la stipula di vari atti in Grosseto (all’infuori del proprio distretto di competenza), dell’opera di procacciamento di affari da parte del collega in pensione C., che aveva segnalato il nominativo del ricorrente, mettendogli a disposizione una propria struttura – ancora operativa – per ricevere i clienti e per compiere tutte le attività successive;

Il Giudice di merito ha ritenuto irrilevante che i clienti avessero dichiarato per iscritto di aver scelto il notaio in piena libertà e senza l’intervento di procacciatori, asserendo che dette dichiarazioni erano riferibili solo a taluni degli atti stipulati fuori sede e destavano molti dubbi sulla loro attendibilità.

Ha infine evidenziato che era del tutto carente “una deduzione a fronte della contestata rilevante acquisizione di clientela nel distretto di Grosseto, avvenuta in assenza di una propria struttura e a notevole distanza dalla sede di appartenenza ((OMISSIS)), distanza che escludeva anche la concreta possibilità di assolvere agli obblighi di svolgere sotto la propria direzione tutte le attività preparatorie e di assistenza al cliente nelle scelte da operare”.

Per la cassazione di questa ordinanza L.F. ha proposto ricorso in quattro motivi.

Il Consiglio notarile distrettuale di Grosseto ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso. L’impugnazione elenca – alle pag. 3 e 4 – le singole censure e le norme violate, sviluppando – alle pagg. 5 e ss. – il contenuto delle doglianze in forme che, sebbene non del tutto lineari, non pregiudicano l’intellegibilità delle questioni sottoposte al giudizio di legittimità.

2. Il primo motivo deduce – letteralmente – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 21 e 22 del codice deontologico notarile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “con riferimento alla supposta ed insussistente mancata collaborazione dell’incolpato durante l’istruttoria disposta dal Consiglio notarile distrettuale di Grosseto, asserendo che il ricorrente era incorso in un ritardo di appena una settimana nel corrispondere alla richiesta di informazioni, pervenutagli con molto ritardo da parte del Consiglio, sicchè, nel valutare le condotte, erano stati adottati, con atteggiamento inquisitorio, due pesi e due misure.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha dato atto che – instaurato il procedimento disciplinare a carico del ricorrente – questi era stato raggiunto da una richiesta di informazioni da parte dell’organo di disciplina, ricevuta nel giugno 2016 e rimasta ancora inevasa alla data del 22.11.2016.

Il fatto che il ritardo fosse contenuto nel breve lasso di una settimana è deduzione di merito, volta a confutare inammissibilmente il contrario accertamento in fatto svolto dalla Corte distrettuale, sulla base di circostanze meramente enunciate e prive di qualsivoglia aggancio o riferimento alle risultanze processuali.

L’accertamento che, a distanza di mesi, la richiesta di informazioni non era stata riscontrata, rendeva legittima la sanzione, gravando sul notaio il dovere di collaborare con lealtà con il Consiglio notarile al fine di consentire nel modo più efficace l’esercizio, da parte degli organi preposti, del potere di vigilanza e di controllo sull’attività degli appartenenti alla categoria professionale.

L’art. 22, dei “Principi di deontologia professionale dei notai” stabilisce, in particolare, che il notaio è tenuto a comunicare al Consiglio i dati e le informazioni che in genere gli sono richieste, riguardanti la propria attività professionale, e ad esibire o trasmettere copie, estratti del repertorio ed atti, registri, libri e documenti.

La violazione di tale obbligo è condotta contraria alla espressa enunciazione di una regola di comportamento professionale, lesiva del prestigio e del decoro della classe notarile, e, come tale, sanzionabile ai sensi dell’art. 147 della Legge Notarile (Cass. 32147/2018; Cass. 24962/2016; Cass. 11451/2015; /2016, n. 24962;

3. Il secondo motivo denuncia – letteralmente – la violazione

degli artt. 31 e 36 del codice deontologico notarile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento “alla supposta ed insussistente utilizzazione da parte dell’incolpato, di un procacciamento di affari, al fine di incrementare le stipule di atti nel territorio di Grosseto”.

Si assume che il notaio C. si era limitato a segnalare ai clienti il nominativo del ricorrente in un numero limitato di casi e senza percepire alcun compenso per l’opera svolta, essendo esclusa, anche per tale motivo, la configurazione di un vero e proprio procacciamento di affari.

Del tutto erroneamente “erano stati tacciati di illegalità tutti gli atti rogati”, benchè il Consiglio fosse edotto del fatto che il ricorrente aveva rapporti radicati a Grosseto fin dall’infanzia e che, per gran parte degli atti, non vi era stata alcuna mediazione.

La decisione avrebbe – infine – erroneamente negato rilievo alle dichiarazioni con cui i clienti avevano attestato – in un numero rilevante di casi – di aver scelto il L. di propria iniziativa e in assoluta libertà.

La censura non merita accoglimento.

Il ricorso solleva nuovamente questioni di merito – incensurabili in cassazione – circa l’effettivo svolgimento da parte del notaio C. di un’attività di procacciamento, in contrasto con l’apprezzamento delle risultanze processuali svolto dal giudice distrettuale, che – con argomentazioni del tutto congrue – ha ritenuto provato che il C. avesse reiteratamente segnalato ai clienti il nominativo del ricorrente, mettendo a disposizione del L. una struttura (ancora operativa nonostante il collocamento a riposo del procacciatore), per compiere l’attività professionale fuori della sede di competenza.

L’art. 147 della Legge Notarile sanziona la concorrenza effettuata con riduzioni di onorari, diritti o compensi, o servendosi dell’opera di procacciatori di clienti, di richiami o pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile.

La norma non pone – dunque – una limitazione della concorrenza tra i notai – la cui liceità anzi implicitamente riconosce – ma ne vieta le forme illecite, attuate mediante condotte tipizzate (riduzione di onorari e diritti accessori, procacciatori di clienti, pubblicità) o derivanti da comportamenti atipici (Cass. 4721/2012; Cass. 10683/2003; Cass. 17202/2002).

La nozione di procacciamento di affari – tuttora in vigore – va intesa in senso meramente economico e non strettamente tecnico (Cass. 3/2010), essendo sufficiente che il terzo abbia indirizzato un certo numero di clienti e che il notaio ne abbia beneficiato nello svolgimento delle attività, risultando in tal modo alterato il momento della libera scelta del professionista da parte dei clienti (Cass. 6679/1996).

Quanto al fatto che il C. non fosse stato remunerato, la decisione è conforme al disposto dell’art. 31, lett. a) e b) del codice deontologico, che proibisce anche il procacciamento svolto a titolo gratuito, essendo comunque violato il divieto di concorrenza con condotte poste in essere in forme compatibili, per valutazione dell’ordine di appartenenza, con il decoro e la dignità della categoria professionale (Cass. 2274/1963).

4. Il terzo motivo denuncia – letteralmente – la violazione della L. n. 89 del 1913, art. 147, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “in relazione all’incongrua ed ingiustificata comminazione della sanzione di sospensione delle funzioni notarili per la durata di gg. 40 e contestuale richiesta di rinvio alla Corte costituzionale con ordinanza di non manifesta infondatezza, per violazione delle norme di cui agli artt. 3 e 24 Cost. “, sostenendo che le Sezioni unite di questa Corte avevano rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 della Legge Notarile, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., poichè la norma, pur non comminando la cancellazione dall’albo, porrebbe “un pericolosissimo passo con durata decennale della minaccia, a carico dell’incolpato”. Il motivo è inammissibile, poichè prospetta questioni che non hanno alcuna specifica attinenza con quanto statuito dalla pronuncia impugnata.

E’ – in particolare – inconferente il richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 25457/2017, che, senza affatto proporre alla Corte costituzionale la questione di legittimità della L. n. 89 del 1913, art. 147, ha composto un contrasto in senso alle sezioni semplici circa la sfera applicativa della sanzione dell’avvertimento rispetto alle altre sanzioni previste del citato art. 147.

Per completezza va evidenziato che la Corte costituzionale – con la recente sentenza n. 133/2019 – è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 147, comma 2 (ove prevede che “la destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi dall’ultima violazione), e quindi su una questione peraltro ritenuta infondata – estranea al tema di giudizio.

In definitiva, la deduzione del ricorrente si incentra sull’ipotizzata incongruità della sanzione (sospensione per gg. 40), senza riferimento ai fatti specificamente contestati e senza tener conto che l’individuazione della sanzione più adeguata alle violazioni contestate rientra nei compiti del giudice di merito ed è sindacabile solo per vizi di motivazione, nei limiti in cui ne è attualmente ammesso lo scrutinio (cfr., in motivazione, Cass. 21203/2011).

5. Il quarto motivo denuncia – letteralmente – l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’ordinanza circa un punto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e con riferimento particolare all’ingiustificata svalutazione della documentazione consistente nelle dichiarazioni di libera scelta del notaio da parte dei contraenti partecipanti alle stipule.

Il motivo è inammissibile.

La pronuncia è stata resa in data 27.7.2017 e pertanto lo scrutinio di legittimità è – in proposito – circoscritto ad ipotesi tassative, essendo denunciabile in cassazione solo anomalia derivante dalla mancanza dei motivi dal punto di vista grafico, dalla mera apparenza della motivazione, dalla presenza di affermazioni inconciliabili o dalla contraddittorietà che non consenta di individuare l’iter logico della pronuncia, restando irrilevanti le censure di mera insufficienza o contraddittorietà della decisione (Cass. 23940/2017; Cass. 21257/2014; Cass. 13928/2015; Cass. s.u. 8053/2014).

Nello specifico la pronuncia ha invece dato conto – con argomentazioni logiche ed esenti da contraddizioni – delle ragioni per cui non ha considerato decisive le dichiarazioni dei clienti, avendone rilevato l’inattendibilità ed avendo osservato che esse riguardavano un numero di atti inferiore a quelli effettivamente rogati.

In definitiva il ricorso è respinto, con aggravio di spese come da liquidazione in dispositivo.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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