Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16433 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36448-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ALBERTO SERAFINI, GIUSEPPE DAVID CROCE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 474/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE delle MARCHE, depositata il 23/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

il contribuente impugnava un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2007 per l’IRPEF con il quale venivano accertati sinteticamente maggiori redditi, con conseguente recupero delle maggiori imposte dovute, sulla base di due beni indice comprati nel 2005, ovvero un motociclo di 250 c.c. di cilindrata acquistato per 4.200,00 Euro ed un immobile pagato 165.000,00 Euro;

la Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso del contribuente mentre la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello affermando che il contribuente aveva documentato di aver venduto nel 2005 un proprio bene immobile per la somma di 126.000,00 Euro, di aver concluso dei contratti di apertura di credito negli anni tra il 2005 e il 2008 e di poter contare sulle risorse dei propri genitori.

Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato ad un unico motivo di impugnazione, mentre la parte contribuente si costituisce con controricorso.

Sulla proposta del relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 nonchè artt. 2728,2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Commissione Tributaria Regionale non aveva fatto corretta applicazione dei principi in materia in tema di onere della prova, ritenendo erroneamente che la documentazione fornita dal contribuente per dimostrare una disponibilità finanziaria giustificativa degli incrementi patrimoniali contestati potesse costituire idonea prova contraria relativamente all’entità dei redditi e alla durata del loro possesso;

ritenuto che il motivo è fondato in quanto, secondo questa Corte: la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati per un significativo arco temporale compatibili con gli incrementi patrimoniali verificatisi ma anche la dimostrazione di circostanze sintomatiche che ne denotino l’utilizzo per effettuare proprio le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della “durata” del relativo possesso (Cass. n. 14068 del 2020; Cass. n. 29067 del 2018; Cass. n. 19132 del 2019);

in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicchè, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass. n. 16637 del 2020);

ritenuto infatti che l’art. 38 cit. richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, occorrendo che il contribuente dimostri che debba escludersi che i suddetti redditi siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertati, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati (Cass. n. 14068 del 2020; Cass. n. 7389 del 2018), occorrendo dunque che il contribuente dimostri non solo la “coincidenza temporale” – circostanza peraltro che la Commissione Tributaria Regionale, pur indicando le date delle spese e dei redditi pervenuti non ha ben evidenziato – tra la disponibilità della somma e il pagamento da cui è dipeso l’incremento patrimoniale, ma anche la “durata” del possesso, ossia la prova che non vi sia stata soluzione di continuità nella disponibilità della somma dal momento in cui tale disponibilità è stata conseguita e quello dell’esborso patrimoniale (Cass. n. 14068 del 2020; Cass. n. 7389 del 2018);

ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi là dove – affermando che il contribuente ha allegato, oltre alla possibilità di poter contare sui propri genitori, movimentazioni bancarie relativi a delle aperture di credito e la vendita di un immobile, in sostanziale coincidenza temporale con l’acquisto dell’immobile dal quale l’Agenzia delle entrate ha principalmente inferito l’esistenza di una maggiore capacità reddituale, idonea a dimostrare una disponibilità finanziaria giustificativa degli incrementi patrimoniali contestati – non ha fatto buon governo dei principi in materia in tema di onere della prova (che grava in capo alla parte contribuente) e ha interpretato la necessità della permanenza in capo al contribuente della durata del possesso solo come mero dato temporale, mentre la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati per un significativo arco temporale compatibili con gli incrementi patrimoniali verificatisi ma anche la dimostrazione di circostanze sintomatiche che ne denotino l’utilizzo per effettuare proprio le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della “durata” del relativo possesso, nè risulta documentato il ricorso da parte del contribuente a finanziamenti da parte dei genitori.

Infine, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, non possono essere considerati disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati gli indebitamenti da scoperto di conto corrente, che invece presuppongono una ancora maggiore capacità contributiva, presupponendo un reddito legalmente prodotto per il relativo sostentamento.

Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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