Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16432 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. II, 30/07/2020, (ud. 29/11/2019, dep. 30/07/2020), n.16432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19018/2017 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, V. DEI BAULLARI

129, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CONDEMI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore,elettivamente domiciliata in ROMA, presso la propria sede in

VIA NAZIONALE 91, rappresentata e difesa dagli avvocati STEFANIA

RITA MARIA R. CECI, ADRIANA FRISULLO, dell’Avvocatura della Banca

stessa;

– controricorrente –

e contro

B.G., PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE D’APPELLO ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 201/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Marcello Condemi, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Adriana Frisullo, difensore del resistente, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di accertamenti ispettivi di vigilanza condotti dalla Banca d’Italia dal 3 novembre 2009 al 5 febbraio 2010 presso la Banca Monte Parma S.p.A. è stata avviata la procedura sanzionatoria prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145, nei confronti degli esponenti aziendali, incluso M.R., che aveva ricoperto la carica di direttore generale della predetta banca dall’1 gennaio 2007.

Agli esponenti aziendali erano state contestate le seguenti irregolarità: 1) carenze nell’organizzazione e nei controlli interni; 2) carenze nell’istruttoria, erogazione, gestione e controllo del credito; 3) posizioni ad andamento anomalo e previsioni di perdita non segnalate all’organo di vigilanza; 4) inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza; 5) inosservanza delle disposizioni sulla portabilità dei mutui.

Con lettera del 14 maggio 2010 del Presidente del Consiglio di amministrazione, è stata chiesta una proroga del termine per la presentazione di controdeduzioni alle contestazioni. Analoga richiesta è stata formulata dall’ex direttore generale M.R. con lettera del 24 maggio 2010.

La Banca d’Italia ha accordato la proroga di quindici giorni con lettera del 4 giugno 2010.

Hanno via via presentato le loro controdeduzioni gli esponenti aziendali.

Conclusa la fase istruttoria la Commissione consultiva per l’esame delle irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza ha proposto l’applicazione delle sanzioni pecuniarie (riunione del 21 gennaio 2011).

Il Direttore generale della Banca d’Italia, su conforme parere dell’Avvocato Capo, con provvedimento del 15 febbraio 2011, ratificato dal Direttorio nella riunione del 21 febbraio 2011, richiamando e facendo proprie la motivazioni della citata proposta, ha irrogato la sanzione di Euro 30.000,00 per le infrazioni sopra indicate sub 1 e 2 (organizzazione e processo creditizio), la sanzione di Euro 14.000,00 per l’infrazione sub 3 (posizioni non segnalate all’organo di vigilanza) e la sanzione di Euro 5.160,00 per le infrazioni sub 4 e 5 (portabilità dei mutui e trasparenza), per complessive Euro 49.160,00.

L’interessato ha impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a seguito della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità dell’art. 133, comma 1, lett. l), art. 134, comma 1, lett. c), art. 135, comma 1, lett. c) del Codice del processo amministrativo.

A seguito della pronuncia del giudice amministrativo il M. ha proposto opposizione ai sensi dell’art. 145 T.U.B. dinanzi alla Corte d’appello di Roma.

La corte d’appello ha rigettato l’opposizione, condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite.

Per la cassazione della sentenza il M. ha proposto ricorso affidato a dieci motivi.

La Banca d’Italia ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145,L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, del provvedimento del Governatore della Banca d’Italia n. (OMISSIS) del 27 aprile 2004 e della L. n. 689 del 1981, art. 14 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

E’ oggetto di censura il mancato riconoscimento, da parte della Corte d’appello, della nullità della contestazione che ha dato avvio al procedimento disciplinare, in quanto essa proveniva dal direttore della sede di Bologna e non dagli organi competenti indicati dal provvedimento della Banca d’Italia n. (OMISSIS), nel quale si prevede che “l’avvio della procedura sanzionatoria disciplinata dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145 (…) è disposto dal Direttore Centrale, unitamente al Capo del Servizio competente per materia. Le competenti Filiali della Banca d’Italia provvedono a trasmettere la contestazione formale delle irregolarità alle persone e alle società o enti responsabili in solido”.

La corte d’appello ha rigettato la ragione di censura in base al rilievo che il documento del direttore della sede di Bologna era stato solo il “veicolo attraverso cui la contestazione della infrazione è stata portata a conoscenza degli incolpati”, ma la determinazione circa l’avvio della procedura proveniva dai competenti dirigenti dell’amministrazione centrale della Banca d’Italia.

Il ricorrente sostiene che la normativa di riferimento, correttamente applicata, implica che l’avvio del procedimento si debba concretizzare in un provvedimento formale motivato proveniente dagli organi competenti, che il direttore della Filiale avrebbe dovuto limitarsi a trasmettere ai destinatari.

1.1. Il primo motivo è infondato.

La corte di merito ha riconosciuto che il documento proveniente dall’organo periferico costituiva mera e pedissequa riproduzione della determinazione assunta in altra sede dagli organi competenti, cui doveva farsi risalire l’avvio del procedimento. Si legge testualmente nella sentenza impugnata che la provenienza della decisione era dimostrata dalla “sottoscrizione apposta sul documento denominato “Riepilogo delle risultanze relative all’ispezione” sotto la dicitura “si proceda alla formale contestazione delle irregolarità sanzionabili amministrativamente richiamate nel verbale del Gruppo Interservizi” (…). Inde su conformi istruzioni dell’Ispettore capo, tali contestazioni sono state pedissequamente riprodotte nella nota di comunicazione della locale Sede, che infatti afferma “Su decisione dei competenti uffici dell’Amministrazione centrale, Vigilanza Bancaria e Finanziaria, le suddette irregolarità, contenute nel rapporto ispettivo, si contestano formalmente alla S.V., nella qualità di amministratore di Banca Monte Parma, all’epoca in cui gli illeciti furono commessi ai sensi dell’art. 145 (…)”.

Insomma, secondo la valutazione della corte, la provenienza formale del documento dal direttore di sede lasciava l’organo periferico nella veste del soggetto che aveva provveduto solo a trasmettere all’interessato la contestazione formale delle irregolarità, nel pieno rispetto di quanto prescritto nel provvedimento della Banca d’Italia n. (OMISSIS).

Tale valutazione, fondata su un apprezzamento dei documenti di causa, sfugge pertanto a qualsiasi censura.

D’altronde il ricorrente non contesta che il direttore di sede si sia adeguato in tutto e per tutto a quanto stabilito dagli organi competenti a dare avvio alla procedura sanzionatoria, ma sostiene che il documento contenente la contestazione avrebbe dovuto essere formato dall’organo competente.

Un simile requisito formale non è richiesto nè dalla lettera, nè dalla ratio della norma regolamentare, volta “all’attuazione del principio della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie nell’ambito della procedura sanzionatoria (L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, comma 1”. E’ inoltre corretto il rilievo della controricorrente laddove si richiama l’art. 73 del regolamento generale della Banca d’Italia, approvato dal Consiglio superiore nella seduta del 21 dicembre 1989, e successive modificazioni. Ai sensi di tale norma la Banca d’Italia, per l’assolvimento, a livello periferico, delle funzioni previste dalla legge e dallo statuto, si avvale delle filiali dell’Istituto, che provvedono, tra l’altro, alle attività di vigilanza nei confronti degli enti creditizi e di altri intermediari finanziari aventi sede nella zona di competenza (Cass. n. 25141/2015).

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 262 del 2005, artt. 19 e 24 e relative norme di attuazione, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e degli artt. 21 e segg. dello Statuto della Banca d’Italia.

La corte di merito ha rigettato le censure con le quali l’opponente aveva denunciato l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio in quanto da esso non era possibile evincere quale organo della Banca d’Italia l’avesse adottato. Mancava, infatti, il numero di protocollo e non “risultava annotata la Delibera che avrebbe dovuto essere adottata dal Direttorio al quale, come organo competente all’irrogazione delle sanzioni, avrebbe dovuto ricondursi la decisione” (pag. 10 del ricorso).

Il ricorrente sostiene che la corte, nel rigettare la censura, ha identificato l’organo e il potere esercitato non in base all’esame del provvedimento, ma sulla base delle deduzioni operate in giudizio dalla Banca d’Italia. Fa notare inoltre che la Delibera del Direttorio non era stata indicata nel provvedimento sanzionatorio, nè allegata al medesimo.

2.1. Il secondo motivo è infondato.

In tema di sanzioni amministrative, l’opposizione non configura un’impugnazione dell’atto, ma introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l’ulteriore conseguenza che il giudice ha il potere – dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa – nell’ambito delle deduzioni delle parti – all’esame completo nel merito (Cass. n. 6778/2015; n. 12503/2918).

Nel caso di specie, la corte d’appello ha accertato che il provvedimento è stato emesso in via d’urgenza dal Direttore generale, nell’esercizio del potere di surroga consentito dallo Statuto della Banca d’Italia: l’urgenza è stata identificata nella necessità di rispettare il termine di 240 giorni previsto per la conclusione del procedimento sanzionatorio; ha accertato inoltre che il provvedimento assunto dal Direttore generale è stato poi ratificato dal Direttorio (seduta del 21 febbraio 2015), al quale era quindi riferibile il contenuto volitivo dell’atto adottato in via d’urgenza da uno dei suoi componenti. Nello stesso tempo la corte d’appello ha ritenuto irrilevante la mancanza sul provvedimento di uno specifico del numero di protocollo.

L’insieme di questa valutazioni, assunte dalla corte di merito quale “giudice del rapporto”, costituiscono apprezzamenti di merito che non rilevano errori logici o giuridici: esse, pertanto, sono insindacabili in questa sede.

A un attento esame il ricorrente non contesta che l’iter procedimentale si è svolto nei termini accertati dalla corte d’appello, ma pretende di far discendere l’invalidità del provvedimento, da un lato, dalla mancata menzione in esso della ragione di urgenza, dall’altro, dalla mancata indicazione della Delibera del Direttorio, sollevando, nel primo caso una contestazione di merito, impropriamente veicolata sotto la forma di una denuncia di violazione di legge, nel secondo, una irrilevante contestazione di pura forma, che non pone in discussione l’esistenza della ratifica e, quindi, la riconducibilità dell’atto al Direttorio, come correttamente ha ritenuto la corte d’appello.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme che fissano la durata del procedimento disciplinare in 240 giorni decorrenti dalla scadenza del termine per presentare le controdeduzioni alla contestazione delle infrazioni.

La corte d’appello, per quanto interessa in questa sede, ha rigettato la ragione di opposizione, riconoscendo che il provvedimento era stato adottato nel termine previsto, fatto decorrere, in conformità al regolamento della Banca d’Italia, dalla scadenza del termine (anche prorogato) per la presentazione delle controdeduzioni da parte dell’organo sociale che per ultimo aveva ricevuto la notifica della contestazione. Ciò posto la stessa corte, avendo identificato nel 20 giugno 2010 la data dell’ultima scadenza, ha riconosciuto che la norma sulla durata del procedimento non era stata violata, in quanto il provvedimento era stato emesso il 15 febbraio 2001, coincidente con il 240esimo giorno dal 20 giugno 2010.

Si sostiene che la corte ha erroneamente fatto riferimento alla data di adozione del provvedimento, mentre ciò che rileva è la data di notificazione.

Il ricorrente sollecita questa Corte a rivedere il proprio orientamento, secondo cui il provvedimento sanzionatorio non è atto ricettizio. A tal fine egli evidenzia la funzione afflittiva del provvedimento e la incidenza nella sfera giuridica del destinatario.

3.1. Il terzo motivo è infondato, dovendosi dare continuità all’orientamento secondo cui il provvedimento sanzionatorio non è ricettizio, ponendosi la notifica del medesimo quale requisito esterno all’atto che risponde alla diversa duplice esigenza, per l’interessato, di far valere le proprie ragione nei termini consentiti, e, per l’amministrazione, di far valere il diritto di riscuotere le somme dovute per le violazioni contestate (Cass. n. 4/2019; n. 6361/2019; n. 2537/2014; n. 13207/2006; n. 19323/2003).

Si deve ancora aggiungere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il termine conclusivo del procedimento sanzionatorio non ha carattere perentorio, in guisa che l’eventuale inosservanza non costituisce vizio di legittimità del provvedimento conclusivo (Cass. n. 18276/2017; n. 1591/2017; n. 17689/2016; n. 6469/2015).

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1 e art. 19, art. 97 Cost., L. n. 241 del 1990, art. 26.

La corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la censura con la quale l’attuale ricorrente aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento a causa della mancata comunicazione delle conclusioni raggiunte dagli uffici di vigilanza, con la conseguente impossibilità di svolgere attività difensiva dinanzi all’organo decidente.

Il ricorrente sostiene che la corte d’appello, nel disattendere la censura, si è rifatta al consolidato orientamento di legittimità, senza cogliere la portata innovativa della L. n. 262 del 2005, art. 24. I principi posti da tale norma implicano la possibilità della parte incolpata di conoscere le risultanze istruttorie e confutarle prima che la decisione venga assunta, in quanto solo per tale via si attuano i principi, posti dalla norma, della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione, della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione.

4.1. Il quarto motivo è infondato.

La decisione impugnata è conforme a un consolidato orientamento di questa Corte, al quale occorre dare ulteriore continuità, secondo cui la mancata comunicazione all’incolpato della proposta conclusiva formulata dalla Commissione per l’esame delle irregolarità al Direttorio della Banca d’Italia non comporta la violazione del diritto di difesa e dei principi sanciti dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (Cass. n. 8237/2019; n. 8210/2016). Sotto altro profilo la giurisprudenza di legittimità precisa che il rispetto del principio del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie, sancito dalla L. n. 262 del 2005, art. 24, non comporta la necessità che gli incolpati vengano ascoltati dinanzi al Direttorio della Banca d’Italia prima dell’applicazione della sanzione (Cass. n. 4725/2016; n. 25141/2015).

In quanto al diverso orientamento espresso dal Consiglio di Stato con le decisioni n. 1595 e n. 1596 del 2015, le considerazioni del giudice amministrativo, ampiamente richiamate dal ricorrente a sostegno del proprio assunto, trovano specifica e ampia confutazione in Cass. n. 8047/2019 intervenuta in relazione al regolamento della Consob nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla Delib. n. 29.159 del 2015. In tale occasione la Corte ha chiarito che il requisito del contraddittorio fra l’amministrazione e l’interessato, avendo carattere procedimentale, “può ritenersi soddisfatto se, prima dell’adozione della sanzione sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni”; senza che sia all’uopo necessaria nè la trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative nè la personale audizione dell’interessato (Cass. n. 23814/2019).

5. E’ infondato anche il quinto motivo, con il quale il ricorrente si duole perchè la corte d’appello non ha accolto la propria censura con la quale era stata denunciata la illegittimità del provvedimento sotto il profilo che in esso non erano esplicitate le ragioni della decisione, indicate solo per relationem alle proposte dell’organo che aveva svolto l’attività istruttoria, in assenza di autonoma valutazione dell’organo competente.

La decisione impugnata, infatti, su questo punto è conforme a un consolidato e risalente orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 4/2019; n. 389/2006), in base al quale i provvedimenti sanzionatori possono essere motivati per relationem, mediante il rinvio all’atto recante la proposta di irrogazione della sanzione, purchè quest’ultimo sia richiamato nel provvedimento con la precisa indicazione dei suoi estremi e sia reso disponibile agli interessati, secondo le modalità che disciplinano il diritto di accesso ai documenti della pubblica amministrazione (la ricorrenza di tali condizioni non è contestata nel caso di specie).

Il richiamo della L. n. 262 del 2005, artt. 19 e 24, non apporta argomento alla diversa tesi del ricorrente. Le norme impongono che gli atti dell’autorità siano motivati, ma non vincolano il modo della stessa motivazione, che ben può essere assolto per relationem con rinvio alla proposta della Commissione. Va quindi confermato il principio, già affermato da questa Corte nella specifica materia delle sanzioni della Banca d’Italia, che “il Direttorio (…), ove condivida le argomentazioni illustrate nella proposta dalla Commissione, non è tenuto a ripetere e ribadire le stesse argomentazioni” (Cass. n. 27038/2018)”.

6. Il sesto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 689 del 1981, art. 11.

La corte di merito ha rigettato la censura con la quale il ricorrente, con riferimento alla contestazione riguardante le carenze nell’organizzazione e nei controlli e alla contestazione riguardante carenze nell’attività creditizia, aveva lamentato che, nonostante la duplicità della contestazione, fosse stata applicata una unica sanzione complessiva, senza distinzione fra le due irregolarità.

Egli aveva sostenuto, e sostiene ancora in questa sede, che la riduzione a unità della duplice contestazione aveva comportato la creazione di una nuova fattispecie non prevista dalla legge.

6.1 Il sesto motivo è infondato.

La corte d’appello ha ritenuto che l’addebito riguardante la cattiva gestione del credito derivasse da carenze di tipo organizzativo, ritenendo quindi giustificato l’assorbimento di una censura nell’altra. Ha ancora aggiunto che la scelta dell’autorità si era comunque risolta in un vantaggio per l’incolpato; nello stesso tempo la corte ha escluso qualsiasi violazione dei principi di specificità e di legalità, posto che l’applicazione di una unica sanzione non aveva precluso all’interessato di prendere posizione sui fatti.

Tali rilievi della corte sfuggono a qualsiasi censura.

E’ indubbio che, nonostante l’irrogazione di un’unica sanzione, ciascuno degli illeciti oggetto di contestazione ha conservato immutati i connotati tipologici suoi propri: l’unificazione è avvenuta solo ed esclusivamente ai fini e agli effetti del trattamento sanzionatorio (Cass. n. 6361/2019). Si deve aggiungere che, in presenza di una duplice contestazione suscettibile di dar luogo all’applicazione di sanzioni separate, risulta difficile persino sul piano logico identificare il pregiudizio derivante all’incolpato dal fatto che sia stata applicata una unica sanzione indistinta, corrispondente per entità sia all’una, sia all’altra. La tesi del ricorrente, sviluppata nelle sue logiche implicazioni, porterebbe infatti a ritenere che la violazione non ci sarebbe stata se il Direttorio avesse applicato sanzioni distinte per ciascuna violazione, con il conseguente aggravio della sua posizione.

7. Il settimo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il ricorrente aveva contestato nel merito, sotto il profilo dell’eccesso di potere e del difetto di motivazione, le irregolarità di cui ai numeri 4, 7 e 8 del provvedimento sanzionatorio. Egli rileva che fra i profili oggetto di contestazione erano compresi quelli riguardanti la inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza (irregolarità n. 7) e sulla portabilità dei mutui (irregolarità n. 8).

Si sostiene che su tali specifici profili di censura la corte non si è pronunciata.

7.1. Il settimo motivo è infondato.

La corte d’appello, nella sintesi del relativo motivo di opposizione, ha compiutamente richiamato gli aspetti oggetto di contestazione, cui ha fatto seguire il rilievo, riferito al complesso della doglianze, che “le singole censure contenute nel motivo appaiono apodittiche, non fondate cioè su idonei riscontri documentali, in modo da non consentire a questa Corte di operare una effettiva analisi di riscontro circa la loro fondatezza nel merito in termini differenti rispetto alle conclusioni ispettive e neppure di disporre CTU onde apprezzarne la consistenza”.

E’ vero che, nel seguito dell’esame, la corte ha poi approfondito solo alcune delle contestazioni, ma è altrettanto chiaro che, in presenza della enunciazione inziale sopra trascritta, l’assenza di un esame analitico non importa il vizio di omissione di pronuncia. Secondo principi consolidati, il vizio ricorre “quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Cass. n. 7653/2012; n. 28308/2017; n. 18797/2018). Diversamente la presa di posizione iniziale della corte (sopra trascritta), in quanto riferita al complesso delle contestazioni, costituisce statuizione esplicita (negativa) sulla intera censura, compresi gli aspetti che non hanno costituito oggetto di particolare approfondimento.

8. L’ottavo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., commi 2 e 4 e dell’art. 111 Cost..

Il ricorrente rileva che, con riferimento alla contestazione riguardante la gestione dei crediti, aveva eccepito che c’era stata una illegittima duplicazione della sanzione, posto che il fatto doveva essere ricondotto al profilo del corretto esercizio dell’attività creditizia e, quindi, a quello basilare dell’organizzazione della banca e dell’efficienza dei controlli interni.

Il giudice di merito ha recepito acriticamente le difese della Banca d’Italia, omettendo di pronunciarsi sulle specifiche argomentazioni dell’opponente, che aveva denunciato l’applicazione di un’autonoma sanzione per fatti che dovevano ritenersi assorbiti nella più ampia contestazione.

“E’ evidente, dunque, come la sentenza impugnata manchi del tutto di pronuncia sul motivo (…) ovvero contenga una motivazione del tutto apparente in relazione al contenuto della censura come formulata nel motivo (…)”.

8.1. L’ottavo motivo è infondato.

Come riconosce il ricorrente la corte, nell’esaminare l’addebito riguardante le posizioni ad andamento anomalo e previsioni di perdita, ha rigettato la doglianza con cui si deduceva la duplicazione di sanzioni, “trattandosi di contestazione autonoma rispetto alle irregolarità gestionali e organizzative, avendo ad oggetto la violazione di un obbligo di segnalazione all’Autorità di vigilanza”.

La corte di merito ha quindi pronunciato sulla ragione di censura e tanto ha fatto in base ad argomentazioni che consentono di identificare le ragioni del decisum, indicate nella riconosciuta autonomia delle contestazioni.

9. Il nono motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., commi 2 e 4.

La corte di merito ha rigettato, con motivazione apparente, i rilievi con i quali l’opponente aveva negato nel merito che ci fossero i presupposti per la segnalazione delle partite creditorie anomale.

9.1. Il nono motivo è infondato.

La corte ha richiamato le considerazioni del provvedimento impugnato, riproponendo la considerazione, già fatta in termini generali nell’esame del settimo motivo di opposizione circa “l’elevato grado di attendibilità conoscitiva” degli accertamenti ispettivi, aggiungendo che “in difetto di allegazioni specifiche di elementi oggettivi sulla cui base procedere a diversa qualificazione delle posizioni creditizie in questione, non può accedersi una CTU, che si manifesta meramente esplorativa”.

Sotto la veste della denuncia dell’error in procedendo il ricorrente denuncia perciò l’apprezzamento del giudice di merito in quanto tale, senza tuttavia formulare alcuna censura conforme al paradigma prescritto dall’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

10. Con il decimo motivo il ricorrente censura ancora una volta la sentenza per omissione di pronuncia e motivazione apparente, perchè la corte di merito ha rigettato la richiesta di diversa determinazione della misura della sanzione. Egli sostiene che la decisione assunta su questo punto era afflitta dagli stessi vizi denunciati nei motivi dal sesto al nono.

10.1. Il motivo è infondato.

Esso si coordina con le censure di cui ai precedenti motivi, che sono stati tutti rigettati, restando da aggiungere che la censura investe un accertamento di merito incensurabile in cassazione (Cass. n. 20934/2009).

Per completezza di esame si osserva che la corte di merito ha rilevato che il totale delle sanzioni si ragguaglia a una somma inferiore alla metà della sanzione edittale prevista per una sola infrazione; quindi ha ritenuto congrua la sanzione irrogata “in considerazione delle funzioni svolte e quindi dei compiti specifici allo stesso assegnati e altresì alla pluralità e gravità obiettiva delle infrazioni”.

11. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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