Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16432 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. I, 13/07/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 13/07/2010), n.16432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25240/2008 proposto da:

P.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso l’avvocato PETRETTI

Alessio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PESCE

TULLIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositato il

11/08/2007, n. 55/07 R.G.V.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2010 dal Presidente Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 10.7-11.8.2007 la Corte d’Appello di Torino dichiarava inammissibile il ricorso per equa riparazione proposto in data 19.1.2007 da P.F. in relazione al giudizio penale iniziato il 23.1.1996 e conclusosi, con la sentenza di inammissibilità dell’impugnazione pronunciata dalla Corte d’Appello di Genova il 23.1.2006 per sopravvenuta rinuncia al gravame da parte del P.M. che aveva reso irrevocabile l’assoluzione pronunciata in primo grado. Al riguardo rilevava che la rinuncia all’impugnazione determina “ipso iure” l’estinzione del gravame nel momento in cui la dichiarazione abdicativa perviene all’organo giudicante, rendendo irrevocabile la decisione all’atto delle lettura del dispositivo e determinando così il contestuale passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in quanto in tal caso la pronuncia di inammissibilità è insuscettibile di impugnazione da parte dell’imputato indipendentemente dal fatto che trattasi di inammissibilità successiva anzichè originaria. Conseguentemente riteneva che, decorrendo il termine di decadenza di mesi sei di cui all’art. 4 dal 23.1.2006 – cioè dalla data della pronuncia della Corte d’Appello che ha determinato nei confronti del P. il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale non più modificabile – ovvero, al più, dal 21.4.2006, data di deposito della relativa motivazione, il ricorso proposto in data 19.1.2007 era da considerarsi tardivo anche tenuto conto del periodo di sospensione feriale dei termini.

Avverso tale decreto propone ricorso per cassazione P.F., deducendo tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso P.F. denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 591 e 648 c.p.c.. Lamenta che la Corte d’Appello, nel ritenere che la pronuncia di inammissibilità dell’appello per intervenuta rinuncia al gravame non sia impugnabile con conseguente sua irrevocabilità coincidente con la soia lettura del dispositivo avvenuta il 23.1.2006, non abbia considerato che una tale pronuncia non riguarda un’ipotesi di inammissibilità originaria ma sopravvenuta e che pertanto la sua definitività non può che coincidere con la scadenza del termine di quarantacinque giorni decorrente dalla data della notifica dell’estratto della sentenza al contumace.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 568 c.p.p., comma 4. Deduce che la Corte d’Appello non ha tenuto conto che egli, in qualità di imputato, aveva interesse a dolersi della pronuncia di inammissibilità che non gli avrebbe consentito di confutare le argomentazioni a suo carico esposte dal P.M. nell’atto di appello, così come un tale interesse era ravvisatile nella parte civile e nello stesso P.M..

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4. Lamenta che la Corte d’Appello non abbia considerato che la decorrenza del termine semestrale, pur individuandosi nel momento del passaggio in giudicate della sentenza che definisce il giudizio, presuppone la conoscenza di tale momento e che nel caso in esame ciò era avvenuto solo in data 5.6.2006, vale a dire con la notifica dell’estratto della sentenza, eseguita in quanto egli rimasto contumace in quel grado.

Le esposte censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, meritano accoglimento.

L’art. 648 c.p.p., che individua il momento in cui le pronunce del giudice penale devono considerarsi irrevocabili, prevede espressamente al comma 2 la loro irrevocabilità con riferimento all’inutile decorso del termine per proporre impugnazione avverso la sentenza o l’ordinanza che la dichiari inammissibile.

Nel caso in esame, a seguito della rinuncia all’appello proposto nel procedimento penale presupposto dal P.M. avverso la decisione di primo grado di assoluzione dell’odierno ricorrente, la Corte d’Appello, all’esito del giudizio riguardante anche altri imputati, dichiarava con sentenza del 23.1.2006 l’inammissibilità dell’impugnazione nei confronti di P.F. rimasto contumace.

Pertanto, in base alla sopra richiamata disciplina, la irrevocabilità, contrariamente a quanto affermato con il decreto impugnato in questa sede, non si è verificata al momento della pronuncia dibattimentale ma quando è spirato il termine (pacifico nel caso in esame) di quarantacinque giorni di cui all’art. 585, comma 2, lett. d) decorrente dalla notifica dell’estratto contumaciale della sentenza (5.6.2007-21.7.2007).

Nè a sostegno della tesi dell’immediata irrevocabilità della sentenza potrebbe invocarsi l’art. 568 c.p.p., comma 4, che richiede espressamente la presenza di un interesse per proporre impugnazione in quanto anche in tal caso la relativa pronuncia potrebbe essere impugnata per dedurre l’esistenza invece di un interesse, con la conseguenza che l’eventuale inammissibilità di una tale impugnazione non potrebbe a sua volta che essere dichiarata dal giudice (art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a)).

Pertanto, il ricorso introduttivo del presente giudizio, essendo stato proposto in data 19.1.2007, deve ritenersi ampiamente tempestivo ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, anche senza considerare la sospensione del periodo feriale, certamente applicabile comunque nell’ipotesi in esame.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato.

L’applicabilità dei parametri europei, per quanto riguarda sia la durata non ragionevole che la determinazione dell’indennità, consente una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Tenuto conto quindi dei due gradi di giudizio, la cui durata ragionevole deve ritenersi pari ad anni cinque (3+2) e considerato che nemmeno dal ricorso risulta se e quando il ricorrente abbia avuto notizia delle indagini preliminari, il termine di cinque anni non può che decorrere dal momento in cui il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio, vale a dire da quando si ha la prova certa della emersione all’esterno degli atti che riguardavano l’indagato.

Conseguentemente, essendo la pronuncia penale divenuta irrevocabile, in virtù delle considerazioni sopra esposte, il 21.7.2007, la durata non ragionevole, nell’ambito del processo protrattosi complessivamente per anni nove, deve determinarsi in anni quattro.

Quanto all’entità dell’indennizzo, può determinarsi in Euro 1.000,00 per anno, anzichè in Euro 750,00 che rappresenta la misura minima, avuto riguardo alla natura penale del procedimento presupposto.

L’Amministrazione va pertanto condannata al pagamento della complessiva somma di Euro 4.000,00 con gli interessi dalla domanda.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo sia per il giudizio di merito che per quello di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 4.000,00 oltre agli interessi dalla domanda. Condanna inoltre lo stesso Ministero al pagamento delle spese processuali che liquida, quanto al giudizio di merito, in Euro 378,00 per diritti, in Euro 600,00 per onorario ed in euro 50,00 per spesele, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 700,00 per onorario ed in Euro 50,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

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