Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16431 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/07/2017, (ud. 10/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17463/2015 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

ANTONELLI 4, presso lo studio dell’avvocato DANILO LOMBARDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO GIUDICE;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190 –

POSTE ITALIANE, presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DORA DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2073/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 30 dicembre 2014, la Corte di appello di Palermo confermava la decisione di primo grado di rigetto della domanda di L.G. intesa all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto con Poste Italiane s.p.a., stipulato ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, così come modificato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, per il periodo dal 1 febbraio al 31 marzo 2006;

che, per la cassazione di tale decisione propone ricorso il L. affidato a due motivi cui resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a.; che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., art. 12 preleggi e della Direttiva 1999/70 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere il giudice del gravame, con una motivazione errata in diritto oltre che laconica, ritenuto che nel contratto fossero state specificate le ragioni obiettive che legittimavano l’apposizione del termine e che la norma di cui all’art. 2, comma 1 bis cit. non fosse violativa della normativa comunitaria; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, della cd. “clausola di contingentamento” nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) per avere ritenuto osservato il limite percentuale fissato per le assunzioni a termine avendo riguardo al numero complessivo dei lavoratori in organico in Poste Italiane laddove, invece, detto limite percentuale doveva essere valutato con riferimento solo ai dipendenti addetti ai servizi postali escludendo quelli adibiti a servizi ulteriori (ad es. finanziari);

che il primo motivo è infondato in quanto le questioni di diritto ivi agitate sono state già risolte da questa Corte nella sentenza delle sezioni unite (Cass. n. 11374 del 31/05/2016) e dalla Corte di Giustizia UE;

– ed infatti con la predetta pronunzia, per quel che qui rileva, si è precisato che le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non necessitano anche delle indicazioni delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 del medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal Legislatore;

– quanto alla questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’art. 8 della direttiva 1999/70 la stessa è stata dichiarata infondata dalla Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6, 11/11/2010, n. 20, Vino contro Poste Italiane s.p.a.), che ha valorizzato l’assunto secondo cui l’adozione dell’art. 2, comma 1 bis, perseguiva uno scopo distinto da quello consistente nella garanzia dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio. Nella stessa ordinanza il giudice europeo ha chiarito che la clausola 5 dell’accordo quadro, la quale riguarda la prevenzione contro l’uso abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, verte unicamente sul rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione e non si applica, pertanto, alla conclusione di un primo ed unico contratto di lavoro a tempo determinato; da ciò discende la infondatezza del dubbio di compatibilità con la clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva europea, sollevato in relazione al primo ed unico contratto a termine concluso nella fattispecie di causa;

che il secondo motivo di ricorso è infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui nulla la norma dispone in relazione alla tipologia delle mansioni esercitate dai dipendenti ai fini della possibilità di assunzione a termine e che una tale limitazione è estranea anche alle motivazioni adottate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214/2009 (cfr. Cass. n. 1029 del 20 gennaio 2016; Cass. 2324 del 5 febbraio 2016, alle cui motivazioni si rimanda);

che, alla luce di quanto esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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