Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16430 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/07/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 27/07/2011), n.16430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.P.G., in proprio e quale legale rappresentante pro

tempore della DEL. PRI. SNC di Del Priore Giuseppina e Danilo e da

DEL PRIORE DANILO, rappresentati e difesi, giusta delega a margine

del ricorso, dall’Avv. PLACIDI Giampiero, elettivamente domiciliati

nel relativo studio in Roma, Via Flaminia, 79, già Via Barberini,

86;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

nei cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 11/10/2009 della Commissione Tributaria

Regionale di Roma – Sezione n. 10, in data 23/10 -17/12 -2008,

depositata il 20 febbraio 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06

aprile 2011 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Sentito, per i ricorrenti, l’Avv. Giampiero Placidi;

Sentito, pure, per la controricorrente, l’Avv. Sergio Fiorentino,

dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Udito, altresì, il P.M. dr.ssa ZENO Immacolata, che ha chiesto

l’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I contribuenti in epigrafe indicati impugnavano in sede giurisdizionale gli avvisi di accertamento, ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno 1998, con cui la competente Agenzia accertava ricavi non contabilizzati nè dichiarati, anche in relazione all’applicazione di una percentuale di ricarico, al costo del venduto, del 26%.

L’adita CTP di Viterbo, previa riunione dei tre distinti ricorsi, li accoglieva, parzialmente, annullando la pretesa erariale relativa ai maggiori ricavi non contabilizzati.

In particolare, la CTP valorizzava l’inattendibilità della metodologia utilizzata nel determinare le rimanenze di magazzino, con particolare riferimento al breve periodo di tempo preso a riferimento.

L’Agenzia appellava tale decisione, deducendo che l’elemento temporale valorizzato dai primi giudici era irrilevante ai fine della determinazione della percentuale di ricarico applicata.

I contribuenti si costituivano e chiedevano il rigetto dell’appello.

La CTR, con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, accoglieva l’appello dell’Agenzia.

Con ricorso notificato il 26-29 maggio 2009, i contribuenti, sulla base di sei mezzi, hanno chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimata Agenzia, giusta controricorso, ha chiesto che l’impugnazione venga dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata.

I contribuenti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia, ritenendo che la percentuale di ricarico fosse stata calcolata correttamente, sulla base di “atti e fatti del periodo oggetto di verifica – dal 1 gennaio al 12 marzo 1998, quindi non certo su dati non riferibili al periodo d’imposta oggetto di rettifica”, ed opinando, altresì, che “il metodo di verifica utilizzato dalla G. di F. ha raggiunto risultati certi, in quanto ha preso in considerazione le risultanze contabili espresse dalla società, elaborando gli stessi non già con criteri astratti, bensì concretamente desunti dalla stessa contabilità sociale”.

Con il primo mezzo i contribuenti censurano l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 22, comma 1 e art. 53, comma 2 deducendo che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile, in quanto, insieme all’appello non risultava essere stata depositata copia della ricevuta di spedizione delle relative raccomandate. Il mezzo è a ritenersi infondato, in base al condivisi principio secondo cui, in tema di contenzioso tributario, non costituisce motivo di inammissibilità, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex artt. 53 e 33 dell’appello notificato a mezzo posta il fatto che, all’atto della costituzione, l’appellante depositi l’avviso di ricevimento del plico inoltrato per raccomandata, in luogo del prescritto avviso di spedizione. Anche l’avviso di ricevimento, infatti, riporta la data della spedizione, per cui il relativo deposito deve ritenersi perfettamente idoneo ad assolvere la funzione probatoria che la norma assegna all’incombente (Cass. 4615/2008).

Infatti, nel caso, risulta che insieme all’appello, giusta nota di deposito del 14 aprile 2008, sono stati depositati l’elenco delle raccomandate presentate per l’inoltro, in data 26.03.2008 all’Agenzia di base di Viterbo, fra le quali risultano annotate quelle in questione, nonchè i relativi avvisi di ricevimento, dai quali si evince la data (26 marzo 2008) di spedizione dell’atto.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52 sostenendosi che l’appello dell’Agenzia non era stato autorizzato e, quindi, doveva essere dichiarato inammissibile.

Trattasi di censura infondata, sulla base del condiviso principio, dal quale nel caso non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui “Nel processo tributario, la disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000 – la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57 che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia. A seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, infatti, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie (nella specie, l’Agenzia delle Entrate) di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali” (Cass. SS.UU. n. 604/2005).

Con il terzo mezzo, la decisione d’appello viene censurata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, art. 62 sexies, comma 3 del D.L. n. 331 del 1993, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54art. 115 c.p.c., deducendosi l’irrilevanza delle contestate incongruenze.

La doglianza, della quale pur si colgono profili di inammissibilità, in quanto dedotta come vizio di violazione di legge, pur riguardando accertamenti in fatto, risulta infondata sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui “In tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Fattispecie relativa all’accertamento compiuto in base alle gravi incongruenze tra i costi, compensi e ricavi dichiarati e quelli ragionevolmente previsti sulla base delle caratteristiche dell’attività esercitata)(Cass. 17038/2002).

Rileva il Collegio che la doglianza non coglie, oltretutto, nel segno, tenuto conto che i dati di base sono stati desunti dalla contabilità aziendale e che dagli stessi si ricavavano gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e quelli ragionevolmente desumibili, che legittimavano l’accertamento e ponevano una inversione dell’onere probatorio.(Cass. N. 24434/2008, 979/2003). Con il quarto motivo, sotto altro profilo, si deduce violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e art. 115 c.p.c., rilevando l’omessa ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, rappresentato dall’erroneità della percentuale di ricarico applicata.

I due profili di censura risultano inammissibili, in quanto, per un verso, la decisione non contiene alcuna affermazione in diritto contraria alle richiamate norme e sotto altro aspetto, non vengono indicati i concreti elementi, che sarebbero stati pretermessi, in ipotesi idonei a giustificare una diversa decisione.

Con il quinto mezzo, ancora, ci si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 1 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e art. 115 c.p.c., deducendosi l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, avuto riguardo al fatto che la percentuale di ricarico applicata era stata erroneamente calcolata sulla base di dati relativi ad annualità precedenti e, comunque, solo in parte limitata, tratti dal periodo oggetto di verifica.

La censura è infondata, sia perchè non vengono indicati i concreti elementi pretermessi idonei a giustificare un diverso decisioni, sia anche perchè la stessa, in effetti, è sottesa a conseguire una diversa valutazione rispetto a quella operata dal giudice di merito.

Con l’ultimo mezzo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54art. 115 c.p.c. e art. 53 Cost.. Trattasi di censura inammissibile alla stregua del condiviso principio secondo cui “La parte concretamente vittoriosa nel merito non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare eccezioni o questioni che risultano superate o assorbite; essa è, tuttavia, tenuta a riproporre le une e le altre in modo espresso fino alla precisazione delle conclusioni, operando altrimenti la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ. con conseguente formazione del giudicato implicito” (Cass. n. 27570/2005, n. 12696/2001, n. 17888/1998). Risulta, infatti, che parte ricorrente non si è attenuta a tale principio, dal momento che non consta abbia riproposto in appello, in modo espresso, la data eccezione concernente i costi, che era rimasta assorbita in primo grado, limitandosi, anche in questa sede, ad un generico richiamo per relationem all’atto di controdeduzioni.

Per l’effetto, operando la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., sulla questione doveva ritenersi formato il giudicato implicito, con la conseguente preclusione, per il Giudice di appello, di conoscere e pronunciare. Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi Euro tremila/00, oltre quelle prenotate a debito.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio, in ragione di complessivi Euro tremila/00, oltre spese prenotate a debito. Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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