Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16430 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. I, 13/07/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 13/07/2010), n.16430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11291/2008 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.G. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella

qualità di erede di S.D., elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso l’avvocato CAMICI GIAMMARIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GENTILESCHI Nunzio, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata

il 07/01/2008, n. 635/07 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ritenuto che con ricorso depositato il 21 settembre 2007, S. G. chiedeva che la Corte di Appello di Genova, previo accertamento della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, disponesse la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito in conseguenza del fatto che il proprio dante causa, S.D., mediante citazione del luglio 1991, aveva richiesto al Tribunale di Pistoia di accertare il suo diritto di proprietà sui terreni abusivamente occupati da R., F. e S.S. e che il giudizio era stato definito con sentenza depositata nel maggio 2002;

Che la Corte adita con decreto del 7 gennaio 2008,in parziale accoglimento delle domande ha condannato il Ministero al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di Euro 9.000,00 per danni morali,con interessi legali dalla domanda,osservando: a) che, essendo sorto il diritto all’equa riparazione con la L. 89 del 2001, ed essendo per contro S.D. deceduto l’ (OMISSIS), il figlio aveva diritto all’equa riparazione per l’intera durata del processo,non ancora definito (in grado di appello), alla data della citazione introduttiva del giudizio; b)che il periodo ragionevole di durata di quel procedimento doveva ritenersi pari a 4 anni per il primo grado ed a 3 anni per l’appello; per cui, essendo il giudizio durato (allo stato) circa 16 anni, in base ai parametri della CEDU per danni morali doveva al S. di essi essere liquidato un indennizzo pari ad Euro 1.000 per ogni anno di durata eccedente i 7;

Che per la cassazione della sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per un motivo,con il quale deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e par. 6, della Convenzione europea,censura la sentenza impugnata per avere calcolata una durata unica ed unitaria del processo presupposto senza considerate che invece occorreva scindere quella in cui era stato parte S. D., sostanzialmente corrispondente a 4 anni, in relazione alla quale il ricorrente agiva necessariamente quale erede; e quella in cui si era costituito iure proprio (1 luglio 2003) onde portare a compimento il giudizio iniziato dal suo dante causa.

Che il S. ha resistito con controricorso, osserva: le Sezioni Unite di questa Corte, superando l’originario orientamento restrittivo della giurisprudenza di legittimità, con sentenza 23 dicembre 2005 n. 28507, cui si sono uniformate le pronunce successive,hanno affermato che, in tema di equa riparazione per la irragionevole durata del processo ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, la fonte del riconoscimento del relativo diritto non deve essere ravvisata nella sola legge nazionale testè richiamata, coincidendo il fatto costitutivo del diritto attribuito da detta legge con la violazione della norma contenuta nell’art. 6 della Convenzione europea, di immediata rilevanza nell’ordinamento interno siccome ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 848 del 1955; onde il diritto all’equa riparazione del pregiudizio derivato dall’irragionevole durata del processo, verificatosi prima dell’entrata in vigore della citata L. n. 89 del 2001, va riconosciuto dal Giudice nazionale anche in favore degli eredi della parte che abbia introdotto, prima di tale data, il giudizio del quale si lamenta la durata eccessiva.

All’erede, spetta quindi, la legittimazione, in tale qualità a proporre la relativa domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo incardinato dal suo dante causa prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, onde gli va riconosciuta l’equa riparazione che sarebbe stata liquidata allo stesso dante causa per l’eccessiva durata del processo, da lui instaurato, sino alla data della sua morte; e spetta altresì,questa volta iure proprio e, quindi in aggiunta l’equa riparazione eventualmente per l’eccessiva durata della fase del processo medesimo successiva alla sua riassunzione (o prosecuzione), che deve quindi essere calcolata nuovamente ab initio al lume dei parametri stabili dall’art. 2.

Questa Corte, infatti ha ripetutamente rilevato che per tutto il tempo durante il quale, deceduta la parte originaria, gli eredi non abbiano ritenuto di costituirsi o non siano stati chiamati in causa, pur esistendo un processo non vi è la parte che della sua irragionevole durata possa ricevere nocumento; e che, per altro verso, pur se la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua irragionevole durata, è stata già acquisita nel segmento temporale nel quale parte era il “de cuius”, e permane anche in relazione alla valutazione della posizione del successore – che subentra, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole -, per la commisurazione dell’indennizzo da riconoscere, dovrà prendersi quale parametro di riferimento proprio la costituzione dell’erede in giudizio, posto che il sistema sanzionatorio delineato dalla Convenzione europea e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia subito danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed in relazione ad indennizzi modulabili in base al concreto patema subito.

Per cui solo a partire dal momento dell’assunzione di una tale qualità (nel caso verificatasi con la notifica dell’atto di appello in data 1 luglio 2003) deve calcolarsi ex novo, nei confronti dell’erede/parte, l’eventuale maturazione di una ulteriore ed autonoma eccedenza di durata del processo stesso ai fini dell’indennizzo in parola, secondo i noti parametri enunciati dalla Corte di Strasburgo, e non dalla data in cui il giudizio venne iniziato dal suo dante causa:non essendo evidentemente sostenibile che l’erede – oltre che nel diritto patrimoniale già maturato dal de cuius subentri anche nel patema d’animo o nell’ansia da aspettativa della decisione del medesimo, sicchè questa si perpetui e continui in lui (come sembra ritenere la Corte territoriale) dal momento stesso della sua costituzione nel giudizio in questione (Cass. 4842/2007; 26686/2006; 26931/2006; 23939/2006; 23055/2006).

Il decreto impugnato non si è attenuto a questi principi perchè ha riconosciuto al S. un unico indennizzo in relazione sia al segmento del procedimento in cui era parte il padre, sia in relazione a quello successivo alla morte di costui,sia in relazione a quello ancora successivo in cui detto giudizio è stato riassunto dal ricorrente; e perciò senza considerare neppure che dal momento dell’assunzione di tale qualità e della sua costituzione nel suddetto giudizio doveva calcolarsi “ex novo”.

Il provvedimento va conclusivamente cassato in relazione alle censure accolte e poichè non necessitano ulteriori accertamenti,avendo lo stesso già determinato il periodo di durata ragionevole del processo (anni 4 per il primo grado ed anni 3 per l’appello) , non impugnato da alcuna delle parti, nonchè il suo importo di Euro 1.000,00 per anno, il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando al S. un indennizzo di Euro 150,00 per il giudizio di primo grado (in cui era parte il genitore) ed in Euro 1.250,00 per quello di appello (1 luglio 2003-21 settembre 2007), per un importo complessivo di Euro 1.400,00.

Attesa la sproporzione tra la somma richiesta e quella effettivamente liquidata,e la sostanziale soccombenza del S. nel giudizio di legittimità, il Collegio ritiene di compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a S.G. la somma di Euro 1.400,00 con gli interessi dalla data della domanda. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

 

 

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