Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16426 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. II, 30/07/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 30/07/2020), n.16426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18768/2015 R.G. proposto da:

M.G., difeso e rappresentato dall’Avv. Daniele Dorsi,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Augusto

D’Ottavi, sito in Via del Banco di Santo Spirito n. 48, Roma;

– ricorrente –

contro

Z.R., e R.T., difesi e rappresentati dagli

Avv.ti Raffaella Pellini, e Fabrizio Cataldo, elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. Fabrizio Cataldo sito in via

Ennio Quirino Visconti n. 20, Roma;

– controricorrenti –

e contro

B.S., e MI.EL., difesi e rappresentati

dall’Avv. Silvia Mannelli, elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’Avv. Giovanni Bonaccio, sito in Piazzale Clodio n. 56,

Roma;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 83/2015

depositata in data 20 gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Pesaro – Sezione distaccata di Fano, adito dai condomini Z.R., R.T., B.S. ed Mi.El., per ottenere la revoca giudiziale di M.G., in qualità di amministratore del condominio “(OMISSIS)”, disponeva il provvedimento richiesto in data 7 maggio 2005, decisione che però veniva poi annullata dalla Corte di Appello di Ancona in data 14 dicembre 2005, pur avendo riscontrato le irregolarità contabili lamentate che tuttavia non valutava sì gravi da giustificare la revoca.

Dinanzi lo stesso Tribunale di Pesaro – Sezione distaccata di Fano, l’Amministratore evocava i condomini Z., R., B. e Mi. proponendo domanda risarcitoria che, con sentenza n. 52/2011, veniva accolta con liquidazione del danno in Euro 15.714,62 in ragione delle molteplici iniziative giudiziali assunte dai convenuti, mentre veniva rigettata la riconvenzionale di risarcimento dei convenuti per i danni conseguenti all’operato dell’Amministrazione;

– in virtù di appello interposto dai condomini, la Corte di appello di Ancona, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 83/2015, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglieva il gravame limitatamente alla originaria domanda attorea che, per l’effetto, rigettava, escludendo un intento persecutorio da parte degli appellanti, i quali davano adeguata contezza delle ragioni del risarcitoria spiegata nei confronti dell’amministratore, per le loro iniziative processuali, confermando il rigetto della domanda non essere state allegate nè provate le conseguenze negative dei suoi comportamenti;

– avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona il M. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi;

– gli intimati Z. e R., nonchè B. e Mi., resistono con separati controricorsi;

– in prossimità della Camera di consiglio tutte le parti hanno depositato memorie illustrative, ad eccezione dei B. – Mi..

Atteso che:

– va pregiudizialmente rilevato che sebbene nell’intestazione del controricorso dei Z. – R. risulti indicata la proposizione di un ricorso incidentale, tuttavia nell’atto non viene formulata alcuna autonoma censura, per cui va esaminato solo per le difese svolte;

– passando all’esame del merito del ricorso, con il primo motivo parte ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1725 e 2043 c.c.. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso l’esame delle domande proposte, con le quali richiedeva il pagamento dei compensi a lui spettanti (danno da mancato guadagno) ed il risarcimento per i procurati danni all’immagine. Prosegue poi il ricorrente illustrando i presupposti della domanda (richiamando le SSUU di questa Corte n. 20957/2004) e le voci di danno.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 96 c.p.c., comma 1.

I motivi che, per la loro stretta connessione meritano una trattazione congiunta, non possono trovare accoglimento, in quanto non colgono la ratio decidendi della pronuncia impugnata.

E’ preliminare ricostruire l’interpretazione che questa Corte ha dato, con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 20957 del 2004, (richiamata dallo stesso ricorrente) in materia di revoca giudiziale dell’amministratore, con la quale è stato chiarito che la natura delle ipotesi, tassative, in presenza delle quali è data la possibilità, anche al singolo condomino, di proporre al giudice l’istanza di revoca dell’amministratore (violazione dell’obbligo di portare a conoscenza dell’assemblea condominiale le citazioni e i provvedimenti amministrativi il cui contenuto esorbitino dalle attribuzioni dell’amministratore; omesso rendiconto della gestione per due anni; esistenza di fondati sospetti di gravi irregolarità), nonchè la struttura del relativo procedimento camerale, conferiscono al provvedimento giudiziale di revoca il carattere di procedimento e di provvedimento tipicamente cautelari, non dissimile da quello previsto dall’art. 2409 c.c. (per l’ipotesi di “sospetto delle gravi irregolarità” commesse da amministratori e sindaci delle società per azioni).

In particolare, è stato evidenziato il carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare, della potestà attribuita al giudice in una materia nella quale in via ordinaria il potere di revoca può essere esercitato, in ogni tempo, dall’assemblea dei condomini; solo l’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela, superiore rispetto a quella dei singoli condomini e dei diritti dell’amministratore, a una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore, può giustificare un siffatto intervento del giudice, suscettibile di risolvere anzitempo il rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, senza che, peraltro, si renda necessaria la partecipazione al giudizio del condominio o degli altri condomini. Le suddette caratteristiche di rapidità, informalità e officiosità del procedimento, hanno condotto la Corte a ritenere il carattere non contenzioso del provvedimento che lo definisce.

La natura del provvedimento naturalmente non preclude all’amministratore di chiedere tutela giurisdizionale piena del suo diritto ad esercitare il mandato legittimamente conferito, inciso dall’attivazione della procedura, in forma risarcitoria o per equivalente.

Nella specie, il M. assume l’omesso esame, da parte dei giudici territoriali, delle domande di risarcimento del danno da mancato guadagno e da danno all’immagine, nonchè l’erronea applicazione dell’art. 96 c.p.c., alla fattispecie, senza tenere conto dell’ordito argomentativo della sentenza impugnata.

In realtà, il giudice della cognizione ordinaria, investito dal M. ai soli fini risarcitori, nell’esaminare le voci di danno esposte ha osservato, seppur con un riferimento in modo improprio dell’art. 96 c.p.c., comma 1, che il danno lamentato discendeva dall’avere taluni condomini intrapreso l’azione e dunque a detto momento dovevano essere accertati i requisiti per la sussistenza dell’illecito. In tal senso è stato fatto richiamo all’elemento soggettivo da valutare, comunque, in relazione all’esistenza della giusta causa posta a sostegno dell’istanza di revoca. Nè del resto il giudizio ordinario che consegua alla mancata revoca può risolversi in un sindacato del provvedimento camerale, per diversità dell’oggetto e delle finalità dei procedimenti. Nello svolgimento di siffatto accertamento la Corte distrettuale ha effettuato una valutazione complessiva degli eventi che avevano caratterizzato il contrasto fra amministratore e taluni condomini, constatando l’esistenza comunque di irregolarità contabili nell’amministrazione del condominio ed ha concluso per l’esclusione di un intento persecutorio da parte degli appellanti avverso l’amministratore, per l’adeguata contezza delle ragioni delle loro iniziative processuali.

Per tali ragioni, il giudice di merito, in modo discrezionale ed autonomo, ha valutato i presupposti di fatto e di diritto utili ai fini del proprio convincimento, ritenendo non sussistenti le ragioni e le circostanze per procedere alla liquidazione del danno, così come prospettate dal M., e dette argomentazioni non hanno formato oggetto di una specifica critica da parte del ricorrente.

In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, sempre a carico della parte ricorrente, soccombente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore di ciascun dei due gruppi di controricorrenti in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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