Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16426 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 10/06/2021), n.16426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9821-2020 proposto da:

J.K., elettivamente domiciliato in ROMA, alla via Teofilo

Folengo n. 49, presso lo studio dell’Avvocato Faucilla Giovanni

Maria, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale apposta

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. cronol. 5000/2019 della CORTE DI APPELLO di

VENEZIA, depositata il 12/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. J.K. ricorre per cassazione, affidandosi a cinque motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 5000/2019, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che, – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto inattendibile, e della concreta situazione sociopolitica del suo Paese di provenienza (Gambia), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va disattesa l’istanza (cfr. pag. 18 del ricorso) di emissione di “un provvedimento cautelare di sospensione che, nelle more del giudizio, disponga, in via preventiva, l’anticipazione degli fletti della sentenza finale”.

1.1. La Corte di cassazione, infatti, non ha competenza alcuna all’emissione di provvedimenti cautelari. Essa, in ogni caso, nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, non è competente a pronunciarsi sull’istanza di sospensiva dell’esecutività del provvedimento impugnato, poichè il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 attribuisce tale potere, in via esclusiva, al giudice che ha adottato quest’ultimo provvedimento, come già previsto, in via generale, dall’art. 373 c.p.c., comma 1; nè davanti al giudice di legittimità può essere impugnato il rigetto dell’istanza di sospensiva pronunciato dal giudice di merito, trattandosi di provvedimento non definitivo a contenuto cautelare, in relazione al quale è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (cfr. Cass. n. 11756 del 2020).

2. Venendo, poi, ai motivi di ricorso, con il primo di essi si lamenta la “violazione e/ o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n.. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11”, perchè non sarebbe stata fissata l’udienza di comparizione nonostante la mancanza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi la Commissione territoriale.

2.1. La censura è inammissibile non rinvenendosi traccia, nella decisione della corte lagunare oggi impugnata, di un’analoga doglianza prospettata in sede di appello.

2.2. In proposito, è sufficiente ricordare che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio (cfr., ex muli -, Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013). In quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000).

2.3. Per mera completezza, inoltre, va osservato che, ove pure volesse ritenersi oggi contestata la mancata audizione dello J. in sede di gravame, non potrebbe che trovare applicazione il principio per cui, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza Cass. n. 24544 del 2011, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 3003 del 2018 e Cass. n. 17838 del 2019).

3. Con il secondo motivo, rubricato “mancata assunzione dell’onere probatorio”, il ricorrente lamenta, sostanzialmente, l’erronea e parziale valutazione dei fatti da lui narrati, perchè la Commissione Territoriale avrebbe omesso di applicare il principio dell’onere probatorio attenuato previsto per i procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale e di attivare i poteri istruttori ufficiosi per verificare l’attendibilità della storia riferita dal richiedente.

3.1. Trattasi di doglianza palesemente inammissibile perchè le relative argomentazioni, piuttosto che dirette contro specifiche statuizioni della sentenza di appello, uniche sindacabili in sede di legittimità, ascrivono ripetutamente ed esclusivamente alla Commissione territoriale la condotta oggi contestata.

4. Con il terzo (“sussistenza del diritto di asilo”), il quarto (“sulla protezione sussidiario”) ed il quinto motivo (“applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6”), lo J. si duole, rispettivamente: i) del mancato riconoscimento del diritto di asilo, ex art. 10 Cost., che la corte di merito avrebbe dovuto accordare alla luce della condizione del Paese di origine, risultante da varie fonti internazionali; i:) del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria; della mancata applicazione, in proprio favore, del principio del cd. non refoulement previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6.

4.1. Le predette censure, suscettibili di esame congiunto, si rivelano complessivamente inammissibili.

4.2. Invero, la decisione impugnata ha evidenziato, in modo analitico

(cfr. pag. 5-7 da intendersi qui, per brevità, integralmente riportate) le ragioni per cui la Commissione Territoriale prima, ed il tribunale poi, hanno considerato non credibile la storia raccontata dall’odierno ricorrente. Le incongruenze evidenziate dal giudice di merito si riferiscono agli elementi essenziali della storia – le cause della descritta morte del fratello dello J., e quelle della sua fuga dal Gambia – e sono quindi idonee a minare la credibilità del richiedente la protezione.

4.2.1. Questa Corte, ancora recentemente (g%. Cass., n. 7112 del 2021; Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospet-tazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito Cass. n. 3340 del 2019). Alcunchè, però, si rinviene, su tale specifico punto (e con il rispetto degli oneri sanciti da Cass., SU. n. 8054 del 2014, per il vizio motivazionale predetto) nelle argomentazioni delle censure suddette che si risolvono, sostanzialmente, in una elencazione di normativa e di principi giurisprudenziali senza, però, il benchè minimo confronto di questi ultimi con le specifiche argomentazioni della sentenza della corte lagunare.

4.2.2. Quest’ultima, peraltro, ha esaurientemente esaminato la situazione interna del Gambia, richiamando plurime fonti internazionali aggiornate (analiticamente indicate) e dando atto delle informazioni specifiche da esse ricavate, escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (la ritenuta inattendibilità dell’odierno ricorrente, invece, preclude, da sola, la riconoscibilità della protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b), della medesima disposizione. Cfr. Cass. n. 16925 del 2018).

4.3. Infine, la corte veneziana ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria sulla base, sostanzialmente, della non credibilità della storia riferita dal richiedente e dell’assenza di profili di vulnerabilità dipendenti dal suo allontanamento dall’Italia (insufficiente rivelandosi, sul punto, il solo, eventuale, svolgimento di attività lavorativa in Italia).

4.3.1. Questo secondo aspetto, con cui quella corte, all’esito della valutazione comparativa tra le condizioni di vita dello J., in Italia e nel Paese di origine, ha implicitamente escluso che il ricorrente si sia allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva sotto il profilo specifico della grave e sistematica violazione individualizzata dei diritti umani o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, non è stato specificamente attinto dalla generica doglianza proposta dal ricorrente in relazione al rigetto della protezione umanitaria, che si risolve in una mera elencazione di norme e principi, avulsa da qualsivoglia loro contestualizzazione con la vicenda personale propria del ricorrente stesso, oltre che priva di indicazione di concreti elementi da cui poter desumere l’effettiva esistenza di una situazione di vulnerabilità di quest’ultimo.

5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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