Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16426 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 21/12/2015, dep. 05/08/2016), n.16426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23589-2010 proposto da:

LIGABUE CATERING SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DARIO STEVANATO, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 56/2010 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 12/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2015 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato LUCISANO CLAUDIO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per l’accoglimento per quanto

di ragione del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2002 notificato alla società LIGABUE CATERING s.r.l. in data 6.11.2006, l’Agenzia delle entrate contestava ai fini Irpeg ed Irap (per quanto qui rileva) l’indebita deduzione di costi di varia natura, compresi quelli afferenti a servizi cd. infragruppo, in quanto non documentati ovvero ritenuti non inerenti.

La C.T.P. di Varese, tenuto conto anche delle decisioni già rese su precedenti anni di imposta, accoglieva integralmente il ricorso della contribuente ed annullava l’avviso.

La C.T.R. della Lombardia riteneva insufficiente la motivazione del giudice di prime cure, limitata al richiamo di precedenti pronunce, e nel merito accoglieva solo parzialmente l’appello dell’Ufficio, limitatamente ai costi per servizi infragruppo, che riteneva mancanti del requisito di determinatezza o determinabilità, poichè la fatturazione della somma di Euro 635.000,00 (indicata nella voce “fatture da ricevere” dell’esercizio 2002) era avvenuta solo in data 15.6.2004 – ossia nel secondo esercizio successivo a quello di riferimento – e gli stessi accordi tra le parti rinviavano la fatturazione al momento in cui sarebbe stata acquisita la disponibilità dei dati consuntivi necessari alla determinazione dei criteri di ripartizione dei costi tra le varie società del gruppo. Riteneva altresì l’irrilevanza dei controlli eseguiti, con esito positivo, dai collegio sindacale e dalla società di revisione, in quanto limitati all’aspetto contabile.

Quanto all’appello incidentale della contribuente, osservava che delle eventuali perdite pregresse si sarebbe potuto tener conto nella liquidazione delle imposte dovute per l’anno 2002 soltanto nel momento in cui esse fossero state definitivamente accertate, mentre gli accertamenti relativi agli anni precedenti erano ancora in discussione.

Per la cassazione della sentenza d’appello n. 56 del 12.3.2010, la contribuente propone ricorso affidato a cinque motivi, integrato dalle memorie depositate ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta la “insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, qual è quello della assenza di dimostrazione da parte della contribuente delle

condizioni richieste dall’art. 75 ai fini della deducibilità dei costi per servizi c.d. intercompany, oggetto di disconoscimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; omessa valutazione delle prove offerte dalla parte”.

2. Con il secondo mezzo si deduce la “illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e delle norme in materia di ripartizione dell’onere della prova, nonchè di insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, qual è quello della valenza probatoria delle certificazioni compiute dalla società di revisione sul bilancio e sull’effettività dei costi per servizi c.d. intercompany, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

3. Analogamente, il terzo mezzo attiene alla “illegittimità della sentenza impugnata per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, qual è quello relativo all’inammissibile mutamento del titolo della pretesa impositiva da parte dell’Amministrazione finanziaria nel giudizio di seconde cure. Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la “illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, nella parte in cui ritiene non rispettato dalla contribuente il principio di competenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: i costi per servizi c.d. intercompany, ripesi a tassazione, erano certi e oggettivamente determinabili nel periodo d’imposta in cui sono stati dedotti ovvero nel 2002”.

5. Con il quinto mezzo viene infine lamentata la “illegittimità della sentenza impugnata per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, qual è quello relativo alla insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, (1) per omessa considerazione della documentazione e delle spiegazioni offerte dalla Società in sede di verifica e (2) per essere disancorata dalle risultanze dell’istruttoria procedimentale. Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e del combinato disposto della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7, 10 e 12 e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

6. Tutti i motivi, ad eccezione del quarto, sono affetti da profili di inammissibilità.

7. In particolare, il primo integra una contestazione sul merito della decisione, con riguardo alla valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il controllo di adeguatezza e logicità del giudizio di fatto – consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella versione vigente ratione temporis – non può sostanziarsi nella revisione del ragionamento decisorio, altrimenti risolvendosi in una vera e propria riformulazione del giudizio di fatto, incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità (tra le più recenti, Cass. nn. 959, 961 e 14233 del 2015), spettando in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (ex plurimis, Cass. n. 26860 del 2014 e n. 962 del 2015).

8. Il secondo, il terzo ed il quinto sono invece inammissibili in quanto propongono cumulativamente distinti mezzi di impugnazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), e prospettano censure eterogenee – errores in iudicando in uno, ora a vizi motivazionali, ora ad errores in procedendo – così di fatto devolvendo a questa Corte il compito (che non le spetta) di interpretare, enucleare ed esplicitare i diversi profili contenuti in ciascuno dei motivi di impugnazione formulati in termini globali (ex plurimis, Cass. n. 1906 e n. 9470 del 2008; n. 9793 e n. 12248 del 2013).

8.1. Il giudizio di cassazione è invero un giudizio a critica vincolata, al cui interno i motivi di ricorso svolgono una funzione identificativa e devono perciò necessariamente possedere i caratteri della tassatività e specificità, non potendosi risolvere in una critica generalizzata, tale da accorpare sotto un unico mezzo molteplici profili di censura (Cass. nn. 19959 e 26018 del 2014).

8.3. Costituisce infatti ius receptum di questa Corte il principio per cui non è consentito alla parte mescolare i mezzi d’impugnazione riferiti ai diversi casi disciplinati dal codice di rito, poichè una simile tecnica espositiva rimette al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure e ricondurle ai singoli mezzi d’impugnazione cumulativamente enunciati, individuando quelle che siano ad essi correlate e quindi utilizzabili allo scopo, ma così finendo per attribuirgli impropriamente un compito che non gli compete, cioè quello di dare forma e contenuto alle doglianze della parte ricorrente, ai fini della decisione su di esse (Cass. nn. 5471/08, 19443/11, 21611/13, 22404/14, 25982/14, 26018/14, 5954/15, 12762/15; conf., da ultimo, Cass. n. 5696/16 e 7857/16).

9. Peraltro, con riguardo al terzo motivo può anche aggiungersi che, per un verso, dalla sentenza impugnata emerge che l’Agenzia delle entrate ebbe a proporre appello “riproponendo le argomentazioni già svolte in primo grado a sostegno della indeducibilità dei costi contestati” e, per altro verso, che nello stesso ricorso introduttivo si dà atto dell’ampiezza dell’originaria contestazione, secondo la quale il costo degli elementi negativi di reddito era stato illegittimamente contabilizzato in quanto “non certo, non determinato nè determinabile, non inerente ed, infine, non idoneamente documentato”, sicchè è ragionevole inferire che le eccezioni sollevate siano state implicitamente rigettate dal giudice d’appello. Analogamente, e con riguardo al quinto motivo, la motivazione resa dalla C.T.R. – incentrata, nel merito, sulla tardiva fatturazione dei costi in discussione – supera ed assorbe, di fatto, la censura di omessa pronuncia del giudice d’appello sulla contestazione relativa alla mancata “considerazione delle prove a discarico offerte dal contribuente” (v. pag. 57 del ricorso), che sarebbe stata sollevata con appello incidentale condizionato.

10. Risulta invece meritevole di accoglimento il quarto motivo.

11. Come anticipato, la motivazione della sentenza impugnata, nel confermare la ripresa a tassazione del costo di Euro 635.000,00 per le “cosiddette prestazioni intergruppo”, è incentrata sul fatto che detto costo, pur “indicato alla voce “fatture da ricevere”, non poteva essere considerato determinato o determinabile”; la C.T.R. invero, dopo aver premesso che “nel contratto che regola i rapporti fra le diverse società del gruppo è previsto che la fatturazione finale dei servizi venga effettuata non appena disponibili i dati consuntivi necessari”, rileva che “la fatturazione da parte della società capogruppo è avvenuta il 15 giugno 2004, nel secondo esercizio successivo a quello di cui ci si occupa”, a conferma “che, al termine dell’esercizio 2002, i dati consuntivi non erano ancora in possesso della capogruppo”.

12. Parte ricorrente contesta che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), comma 1, – applicabile ratione temporis – dopo aver posto come principio generale di imputazione dei ricavi, delle spese e degli altri componenti positivi e negativi del reddito d’impresa, quello dell’esercizio di competenza, aggiunge che solo i componenti per i quali, in detto esercizio, “non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obbiettivo l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”; osserva quindi che, nel caso di specie, i costi in questione si riferivano pacificamente a prestazioni di servizi svolte nel 2002, il cui ammontare era stato all’epoca precisamente quantificato nella somma di Euro 635.000,00, puntualmente contabilizzata nel bilancio 2002 tra le “fatture da ricevere” (nella memoria ex art. 3678 c.p.c. parte ricorrente segnala anche la voce “costi per servizi”, di pari importo, indicata nella nota integrativa al bilancio, riguardante i “servizi centralizzati prestati dalle controllanti per servizi descritti nella relazione sulla gestione”).

13. Il rilievo è fondato, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte per cui, “in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito – inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario – seguono il principio di “competenza economica”, stabilito in generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, il quale implica che gli elementi reddituali (attivi e passivi) derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio, non già con riferimento alla data del pagamento o dell’incasso materiale del corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa maturazione, appunto con l’ultimazione della prestazione. Il costo, perciò, inerisce temporalmente all’esercizio in corso al momento dell’ultimazione della prestazione, indipendentemente dalla data della fatturazione e dell’effettivo pagamento del corrispettivo imputato nel conto economico” (Cass. n. 24474/06, n. 16253/07, 24055/09, 3418/10, 9096/12, 3484/14, 27296/14, 10903/15).

14. Di conseguenza, sotto il profilo dell’onere probatorio è stato precisato che incombe sull’Amministrazione finanziaria – la quale, assumendo un’erronea imputazione, pretende una maggiore imposta – dimostrare che in realtà le prestazioni sono state ultimate in un anno diverso da quello di imputazione, mentre compete al contribuente la dimostrazione che in detto anno i costi sono diventati certi e determinabili nell’ammontare (Cass. n. 2582/15).

15. Nel caso di specie, come visto, è la stessa C.T.R. ad attestare che nell’esercizio 2002 “il costo di Euro 635.000,00” era stato specificamente contabilizzato e puntualmente “indicato alla voce “fatture da ricevere””, sicchè non vi è dubbio che esso era divenuto determinabile, o meglio era stato puntualmente determinato, nell’esercizio di competenza del 2002.

16. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata e, non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento del ricorso originario anche con riguardo alla ripresa a tassazione oggetto di disamina in questa sede.

17. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; le peculiarità della vicenda processuale giustificano invece la compensazione delle spese dei gradi di merito.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi, primo, secondo, terzo e quinto; accoglie il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie per quanto di ragione l’originario ricorso del contribuente.

Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori di legge, con compensazione delle spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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