Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16421 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. III, 27/07/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 27/07/2011), n.16421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CICERONE 60, presso lo studio dell’avvocato PREVITI CARLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PREVITI STEFANO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO REGIONALE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL LAZIO

(OMISSIS) in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore T.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PARPAGLIONI MARA giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4868/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 25/6/2008, depositata il 24/11/2008,

R.G.N. 8827/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’ALESSANDRO;

udito l’Avvocato CARLA PREVITI;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.E. propone ricorso per cassazione, in base a sette motivi, illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che ha rigettato il gravame proposto contro la sentenza di primo grado, che lo aveva condannato al pagamento della somma di Euro 40.000,00, a titolo di risarcimento del danno in favore del Consiglio dell’Ordine Interregionale dei Giornalisti del Lazio e Molise per ingiuria e diffamazione a mezzo stampa e televisione, oltre Euro 5.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

Resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria, il Consiglio Regionale dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, succeduto in corso di causa all’originario attore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, censura la sentenza impugnata quanto all’affermazione che sussisterebbe “nel rito ordinario, ai sensi dell’art. 167 cod. proc. civ., l’onere del convenuto di prendere posizione sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda, così che il difetto di contestazione specifica implica l’ammissione di tali fatti costitutivi del diritto azionato”.

1.1.- Il primo motivo è infondato, in quanto il principio applicato nella sentenza impugnata è conforme alla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 19 agosto 2009, n. 18399; Cass. 5 marzo 2009, n. 5356).

2.- Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione, assumendo che l’epiteto “ubriachi” era pronunciato non con l’intenzione di ingiurare i consiglieri ma come reazione all’ingiusta apertura di un procedimento disciplinare.

2.1.- Il secondo motivo è inammissibile, in quanto nella sostanza si chiede una nuova valutazione circa la sussistenza dell’elemento oggettivo della diffamazione, individuato dal giudice di merito nell’epiteto di “ubriachi” – il cui significato appare inequivoco – e nell’accusa di uso strumentale a fini politici di un organismo istituzionale.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza ancora sotto il profilo del vizio di motivazione, lamentando che la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato sia stata desunta dalle stesse affermazioni utilizzate dal ricorrente per sostenere l’esimente della provocazione.

3.1.- Il terzo motivo è infondato. Escluso che l’esercizio dell’azione disciplinare da parte dell’organo a ciò preposto possa integrare una provocazione, nulla impedisce al giudice di merito di trarre la prova dell’elemento soggettivo del reato dalle dichiarazioni dello stesso convenuto al fine di sostenere la sussistenza dell’esimente, non perchè la volontà di reagire ad un (supposto) torto implichi necessariamente l’esistenza di un fine denigratorio ma perchè lo stesso F. avrebbe dichiarato di ritenere giustificata (così si legge in sentenza) “la particolare vivacità e l’utilizzo di espressioni forti”, con ciò dimostrando di essere pienamente consapevole del carattere offensivo delle espressioni usate.

4.- Con il quarto motivo, ancora sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento in concreto dell’esimente del diritto di critica.

4.1.- Il quarto motivo è infondato in quanto il giudice di merito, pur correttamente riconoscendo che la critica possa essere esternata anche con l’uso di un linguaggio “colorito e pungente”, esclude, con congrua motivazione, che in concreto ricorra l’esimente per il mancato rispetto del requisito della continenza, considerato l’uso di termini ritenuti “gratuitamente denigratori”.

5.- Con il quinto motivo, ancora sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente assume che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare la peculiarità dei servizi da lui mandati in onda ed avrebbe ingiustamente escluso l’esimente della provocazione.

5.1.- Il quinto motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Il ricorrente in sostanza lamenta che il giudice di merito non abbia tenuto conto della sua innocenza rispetto all’incolpazione, ma evidentemente non compete al giudice della diffamazione (e meno che mai a questo giudice di legittimità) effettuare o replicare il giudizio disciplinare, fermo restando che l’esercizio dell’azione disciplinare da parte dell’organo a ciò preposto non può mai integrare una provocazione, a prescindere dalla valutazione dell’incolpato riguardo alla fondatezza delle accuse.

6.- Con il sesto motivo il ricorrente, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 4, lamenta il vizio di ultrapetizione, quanto alla liquidazione, da parte del giudice di primo grado, del danno non patrimoniale ed al rigetto del relativo motivo di appello.

6.1.- Il sesto motivo è inammissibile. Il vizio di ultrapetizione avrebbe semmai inficiato la sentenza di primo grado, mentre la sentenza di secondo grado – che ha respinto l’appello sul punto – può al più essere censurata (non sotto il profilo della nullità per violazione dell’art. 112 cod. proc, civ. ma) per violazione di legge. La censura avrebbe dovuto dunque formularsi con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

7.- Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale si deduceva che la pena pecuniaria non potrebbe liquidarsi in materia di ingiuria e diffamazione a mezzo televisione.

7.1.- Il settimo motivo è infondato, essendo evidente che il mezzo è stato rigettato in quanto il giudice di merito ha irrogato la pena pecuniaria qualificando implicitamente come diffamazione a mezzo stampa quella perpetrata attraverso le dichiarazioni inviate per la pubblicazione all’ANSA. Non vi è d’altro canto ricorso su tale punto.

8.- Conclusivamente il ricorso va rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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