Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16421 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 13/07/2010), n.16421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34462/2006 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA T. MONTICELLI

12, presso lo studio dell’avvocato FILEGGI ANTONIO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34,

presso lo studio dell’avvocato PALLADINO LUCIANO, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati DAVERIO FABRIZIO, FLORIO

SALVATORE, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6604/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/12/2005 R.G.N. 3951/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica, udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE PICONE;

udito l’Avvocato PILEGGI ANTONIO;

udito l’Avvocato PALLADINO LUCIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione rigetta l’appello di B.L. e conferma la decisione del Tribunale di Roma n. 3235 del 1 febbraio 2002, di rigetto della domanda proposta contro Credito Italiano SpA – poi Unicredit Banca SpA – per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato il 3.6.1997 per superamento del periodo di comporto e l’emanazione delle consequenziali statuizioni di condanna.

2. I motivi dell’appello sono ritenuti privi di fondamento dalla Corte di Roma sulla base di queste considerazioni: a) il recesso era stato sufficientemente motivato con l’indicazione del superamento del numero di 540 assenze per malattia nell’arco di diciotto mesi nel triennio precedente, come previsto dal contratto collettivo; b) le specificazioni fornite in giudizio dalla Banca circa i giorni di assenza non costituivano modificazioni dell’originaria motivazione ma assolvimento dell’onere di provare la causa del licenziamento; c) era provato (in base alla documentazione prodotta della Banca, alla prova testimoniale ed a presunzioni, anche desunte dalla mancata allegazione di altra causa di assenza dal lavoro), che il B. era stato assente per malattia nel periodo 17.5.1995 – 4.6.1995 e tale fatto, considerati i fatti in discussione, era sufficiente per ritenere superato il periodo di comporto.

3. Il ricorso di B.L. si articola in tre motivi; resiste con controricorso Unicredi Banca SpA., che deposita altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso si sostiene che, in base al disposto dell’art. 2110 c.c., e alla L. n. 604 del 1966, nonchè dei principi generali in materia di licenziamento, la motivazione del recesso della Banca doveva essere ritenuta di contenuto completamente generico, non recando indicazione alcuna dei periodi di malattia e risultando perplessa sul numero complessivo delle assenze per malattia, genericità cui non era possibile porre rimedio con precisazioni rese soltanto in giudizio; si deduce altresì che, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la sentenza impugnata aveva ritenuto che non fossero stati chiesti i motivi del recesso, mentre l’impugnazione del recesso, proposta con lettera raccomandata del 14.7.1997, conteneva espressamente questa richiesta.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 437 c.p.c., comma 2, e del principio di immutabilità dei fatti posti a base del licenziamento. Si espone che la Banca, dopo avere genericamente indicato della lettera di licenziamento il superamento del periodo di comporto, neppure nella memoria di costituzione in giudizio aveva precisato i periodi di assenza per malattia, limitandosi ad affermare che dai 52 referti medico – legali dell’Inps e dai certificati medici risultavano n. 550 giorni di assenza, ma in realtà un numero di assenze maggiore (589 giorni) erano evidenziate dal sistema automatico di controllo degli accessi; si censura la sentenza impugnata anche per avere, sulla base delle note autorizzate della Banca del 21 e del 13 novembre 2001, ammesso di ufficio prova documentale e testimoniale in relazione alle 19 assenze del periodo 17.5.1995 – 4 giugno 1995 (non risultanti dai certificati di malattia), così indebitamente esonerando la Banca dall’onere della prova e consentendole precisazioni che avrebbe dovuto essere date già in sede di intimazione del licenziamento.

3. I primi due motivi del ricorso devono essere esaminati congiuntamente perchè denunciano violazione di norme di diritto sotto profili contrassegnati da connessione logico giuridica. Esito dell’esame è il giudizio di non fondatezza.

4. Il ricorrente muove dal presupposto che al recesso del datore di lavoro per superamento del periodo di comporto (art. 2110 c.c.) sia applicabile, nella parte non derogata dalla disciplina speciale, la L. n. 604 del 1966. La tesi è in linea con la giurisprudenza assolutamente maggioritaria della Corte (vedi per tutte, tra le pronunzie recenti, Cass. 13 agosto 2009, n. 18283).

4.1. Ma ciò comporta anche, con riferimento al licenziamento che trovi giustificazione nelle assenze per malattia del lavoratore, l’applicazione delle regole dettate dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, (modificato dalla L. n. 108 del 1990, art. 2) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, poichè nessuna norma speciale è al riguardo dettata dall’art. 2110 c.c.. Conseguentemente, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, e solo nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, delle assenze non contestate non può tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto (vedi Cass. 24 gennaio 1997, n. 716).

4.2. Nel caso di specie, però, deve ritenersi che il lavoratore non abbia provveduto a richiedere la specifica motivazione del recesso.

Anche in disparte la questione se il B. abbia rispettato il termine di decadenza di quindici giorni dalla comunicazione del licenziamento, è assorbente il rilievo che la richiesta dei motivi è stata formulata nello stesso atto di impugnazione del recesso. Non è questo il senso della regola dettata dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, che, da una parte ammette che sia efficace un licenziamento privo di motivazione, da impugnare pur sempre, quindi, nel termine di decadenza; dall’altra, intende perseguire la finalità sia di garantire il possibile interesse dello stesso dipendente a che una motivazione non sia espressa, sia di evitare impugnazioni “al buio”, onerando il datore di lavoro di fornire la motivazione entro il prescritto termine di decadenza. Queste finalità sono incompatibili con l’impugnazione del licenziamento, anche stragiudiziale (che realizza l’effetto di consentire al lavoratore di agire in giudizio del termini prescritto per l’azione di annullamento negoziale); l’avvenuta impugnazione, infatti, esprime l’intento di contestare in ogni caso la conformità a legge del recesso, anche in difetto di una motivazione, e non può ritenersi idonea a determinare, con la richiesta dei motivi, l’onere del datore di lavoro di precisarli.

5. Stabilito che, per le ragioni sopra precisate, il datore di lavoro era abilitato ad enunciare nel giudizio i fatti che avevano determinato il superamento del periodo di comporto, non essendo configurabile in ciò integrazione e modificazione di una motivazione che, ad avviso dello stesso ricorrente, non vi era stata per l’estrema genericità dell’enunciazione, anche le altre censure non sono fondate.

5.1. E’ lo stesso ricorrente a riferire che, nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, la Banca aveva allegato n. 550 giorni di assenza risultanti da n. 52 referti medico-legati dell’Inps, e n. 589 assenze risultanti dal sistema aziendale di controllo automatico degli accessi; non può quindi sostenere che non fossero precisati nella memoria i periodi di assenza, agevolmente ricavabili dalla documentazione.

5.2. In ordine ai mezzi di prova (documentale e per testimoni) ammessi di ufficio dal giudice di appello, la censura del ricorrente si pone in contrasto con il principio di diritto secondo il quale, nel rito del lavoro, se la decadenza in primo grado esclude la possibilità di una produzione di documenti, ovvero l’ammissione di una prova per testi eventualmente articolata solo con gli atti introduttivi del giudizio d’appello o successivamente, tuttavia, la necessità di armonizzare dette preclusioni con un opportuno contemperamento tra principio dispositivo ed esigenze di ricerca della verità materiale, induce a leggere la previsione in ordine ai nuovi mezzi di prova di cui all’art. 437 c.p.c., comma 2, che possono ammettersi solo se dal giudice dell’appello ritenuti indispensabili ai fini della decisione, nel senso che l’ingresso d’ufficio delle prove è legittimo qualora siano relative a fatti allegati dalle parti o emersi nel processo a seguito del contraddittorio, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti (Cass., sez. un., 20 aprile 2005, n. 8202, pronunciata a composizione di contrasto di giurisprudenza). Di conseguenza, deve escludersi che la Corte di Toma sia incorsa nel denunciato error in procedendo.

6. Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e vizio di motivazione in relazione alla pretesa assenza per malattia per i 19 giorni compresi nel periodo 17.5.1995 – 4 giugno 1995: l’assenza di certificazione medica relativa al detto periodo doveva essere considerata come indizio univoco del fatto che il dipendente non fosse malato; la teste Romagnoli, dipendente della Banca e addetta all’amministrazione, chiaramente interessata a difendere il suo operato, aveva comunque dichiarato di non essere in grado di riferire su accadimenti specifici di oltre dieci anni prima, ma soltanto del fatto che il B. fosse assente dal lavoro, ed ancora, che lo stesso era di frequente assente per permessi sindacali e che il sistema automatico di rilevamento delle presente spesso non funzionava, come riconosciuto dalla stessa sentenza in contraddizione con la valorizzazione dei dati risultanti dai tabulati; nessun elemento presuntivo poteva trarsi dalla circostanza che vi fossero state assenze per malattie fino al 16.5.1995 e dal 5.6.1995, anzi, al contrario, la presenza di certificati medici per i periodi anteriori al 16 maggio e successivi al 5 giugno dovevano indurre a presumere che il B. non fosse malato nell’intervallo tra i due periodi; le date erronee inserite sui referti di visita di controllo non potevano offrire alcuna dimostrazione in ordine all’inizio della malattia in data 15.5.1995.

6.1. Anche questo motivo non può trovare accoglimento.

Si deve premettere che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata; questi vizi non possono, invece, consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (vedi, tra le numerose decisioni conformi, Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; 6 marzo 2008, n. 6064).

6.2. L’applicazione del principio enunciato rende prive di fondamento tutte le censure contenute nel terzo motivo di ricorso.

La sentenza impugnata, ritenuta l’irrilevanza dell’erronea indicazione di alcune date sui referti Inps, esamina in modo approfondito tutto il materiale probatorio ed osserva che, in relazione al periodo 17.5.1995 – 4.6.1995 non era stata acquisita alla causa alcuna certificazione medica; che tuttavia erano stati acquisiti alla causa elementi che offrivano la prova presuntiva che in quel periodo vi fosse stata assenza per malattia: dai tabulati del sistema automatico di controllo degli ingressi e delle presenze il B. risultava assente nel periodo in contestazione; invero, ai tabulati non poteva attribuirsi dignità di prova (i dipendenti potevano accedere al luogo di lavoro anche senza attivare il sistema automatico mediante uso del badge ed inoltre era emerso che non sempre funzionava), ma la testimonianza della dipendente addetta all’amministrazione aveva confermato il fatto dell’assenza; altri indizi potevano trarsi da ulteriori fatti: il B. era sicuramente in malattia subito prima e subito dopo il periodo in questione; secondo la teste Romagnoli, l’assenza era stata imputata a malattia anche senza certificato medico, sulla base delle indicazioni del dipendente, e tale imputazione non era mai stata contestata prima del giudizio; nessuna indicazione aveva fornito il B. circa una precisa imputazione dell’assenza nel periodo ad una causale diversa dalla malattia.

Come si può constatare, non vi sono punti decisivi della controversia non considerati o considerati insufficientemente in alcuni profili, nè il ragionamento del giudice del merito scende sotto la soglia della plausibilità logica che segna il confine del sindacato di legittimità, cosicchè le critiche del ricorrente si risolvono nella pretesa, inammissibile, che la Corte, all’esito di valutazioni di segno diverso, sostituisca il giudizio di merito.

7. Il ricorrente è condannato al rimborso delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, nella misura determinata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso: condanna il ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, liquidate le prime in Euro 75,48, oltre spese generali, iva e cpa, e i secondi in Euro 3.000,00 (tremila/00).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

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