Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16421 del 05/08/2016

Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 23/11/2015, dep. 05/08/2016), n.16421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7035-2010 proposto da:

ACHELIT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. ANTONELLI 47, presso lo

studio dell’avvocato FLAVIANO MINDOPI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FEDERICO DI MAIO, GIANNI BERRETTA giusta

delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 91/2009 della COMM.TRIB.REG. di della

Lombardia, depositata il 24/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2015 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato DAMASCELLI per delega orale

dell’Avvocato DI MAIO che si riporta agli scritti;

udito per il controricorrente l’Avvocato MARCHINI che si riporta al

controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La società ACHELIT s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 91/32/09 dell’1.07.2009, depositata il 24.07.2009, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in riforma della la decisione di prime cure, ha disatteso l’impugnazione della contribuente contro l’avviso di accertamento a fini Iva, Irpeg ed Irap dell’anno 1998, con cui l’Agenzia delle entrate, riscontrata l’omessa dichiarazione dei redditi (dall’anno 1997 al 2002 per le imposte dirette, dal 1999 al 200 per Iva e mod. 770), ha proceduto all’accertamento induttivo dell’imponibile, sulla base della percentuale media del reddito dichiarato dalle imprese della stessa tipologia ed ubicazione, determinando il reddito complessivo in Euro 25.984,00 e recuperando a tassazione la maggiore imposta di Euro 5.197,00.

Al ricorso, affidato a cinque motivi e corredato da memoria ex art. 378 c.p.c., l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato come “omessa motivazione sul punto, decisivo per la controversia, dell’effetto dell’avvenuto versamento del tributo in assenza di dichiarazione”, la società ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare “se, in base al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’omessa dichiarazione del contribuente, legittima l’Amministrazione finanziaria ad avvalersi della regola portata dall’art. 41 anzichè di quella portata dall’art. 39, per rideterminare il reddito implicitamente dichiarato con il versamento del tributo e così disattendere l’esito della verifica effettuata dalla Guardia di Finanza che quel reddito ha accertato come corretto”.

2. Con il secondo mezzo, rubricato come “omessa motivazione in punto di effetto del verbale redatto dalla Guardia di Finanza che ha certificato la regolarità della contabilità, elemento decisivo della controversia”, la ricorrente chiede inoltre di verificare “se l’Agenzia delle entrate è legittimata a disattendere l’esito del verbale della Guardia di Finanza che ha accertato la fonte del reddito e l’avvenuto versamento del corrispondente tributo in assenza della dichiarazione del contribuente”.

3. Il terzo motivo, che risulta invece rubricato come “errore di diritto nel valutare gli effetti della dichiarazione dei redditi quanto a rideterminazione del volume di affari sul quale recuperare la maggior imposta dovuta rispetto a quella effettivamente corrisposta”, si conclude con il quesito “se alla Amministrazione è consentito di applicare la facoltà concessa dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 sulla scorta della omessa dichiarazione del contribuente pur in costanza del versamento del tributo corrispondente al volume di affari accertato dalla Guardia di Finanza come vero”.

4. Analogamente, con il quarto mezzo, rubricato come “errore di diritto nel valutare la legittimità delle presunzioni semplici a fronte del contributo corrisposto e accertato essere corrispondente al reddito e al volume di affari effettivamente prodotto – errore di diritto nel determinare la inversione dell’onere della prova ponendolo a carico del contribuente”, si chiede “se le norme che regolano l’accertamento induttivo concedono all’Amministrazione finanziaria la libertà incondizionata nel procedere all’accertamento, oppure se gli consentano la facoltà di esperire mezzi istruttori per individuare la realtà del reddito tassabile del contribuente, tenendo presenti quelli già esperiti dalla medesima Amministrazione”.

5. Infine il quinto motivo deduce la “omessa motivazione in punto di inammissibilità del ricorso nell’appello notificato dall’Ufficio”, con riguardo sia al difetto dell’autorizzazione ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, sia al deposito di copia dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.

6. Tutti i motivi, per come formulati, presentano plurimi profili di inammissibilità.

7. In primo luogo, essi operano una costante confusione tra le censure di error in iudicando e vizio motivazionale, nonchè (l’ultimo) in ipotesi anche di error in procedendo, distintamente ascrivibili all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 5) e 4), lamentando al tempo stesso l’omessa motivazione e l’erronea applicazione di specifiche norme di legge, se non proprio la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia (si veda il tenore del quinto motivo).

In secondo luogo, gli stessi quesiti conclusivi rivolti a questa Corte appaiono incongrui rispetto allo svolgimento dei rispettivi motivi, se non del tutto generici (come per il quarto motivo) e, soprattutto, contengono continui riferimenti ad asseriti presupposti di fatto – segnatamente, l’esito del verbale della Guardia di Finanza circa la regolarità della contabilità della contribuente (secondo motivo), la verifica da parte di quest’ultima della correttezza del reddito implicitamente dichiarato dal contribuente con il versamento dei tributi (primo motivo), nonchè l’accertamento della verità del volume di affari (terzo motivo) – in relazione ai quali il motivo difetta anche di autosufficienza.

8. Peraltro, è la stessa parte ad ipotizzare che la lamentata mancanza di motivazione sui punti sopra segnalati possa derivare dal fatto che il giudice d’appello abbia ritenuto “in via implicita, assorbente la questione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41” (come si legge a pag. 16 del ricorso). Ed invero nella sentenza impugnata viene espressamente e chiaramente argomentato che, “in caso di omessa dichiarazione” – circostanza pacifica nel caso di specie – “l’Ufficio si deve attenere al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41”, in base al quale è “legittimato a procedere all’accertamento indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità, determinando induttivamente l’ammontare imponibile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti” (in linea con i principi affermati da questa Corte: da ultimo v. Cass. n. 1240 del 2014 e n. 16036 del 2015), potendo altresì “utilizzare, in deroga alla normativa generale, presunzioni semplici e la prova contraria deve essere fornita dalla controparte”.

9. Analogamente, la doglianza di omessa motivazione sulle eccezioni processuali di inammissibilità dell’appello dell’amministrazione finanziaria resta superata – anche alla luce di quanto dedotto sul punto nel controricorso – dal rilievo di una pronuncia implicita di rigetto da parte del collegio regionale, tanto più che la ricorrente si limita a denunciare l’omessa pronuncia, senza contestare nel merito la sottesa decisione reiettiva.

10. Da ultimo, per completezza, sulla questione di improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 369 c.p.c. si richiama la consolidata giurisprudenza di questa Corte nel senso che, per un verso, l‘indisponibilità dei fascicoli delle parti (che ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo, e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poichè detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla Suprema Corte ex art. 369 c.p.c., comma 3 (Cass. S.U. n. 22726/11; conf. ex plurimis Cass. sez. 5, nn. 8654/15 e 24322/14); per altro verso, che l’omessa produzione e la mancata richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio è causa di improcedibilità del ricorso per cassazione soltanto nell’ipotesi in cui l’esame del fascicolo delle precedenti fasi sia veramente necessario ai fini della risoluzione delle questioni proposte nel ricorso stesso (Cass. S.U. n. 20316/06; conf. Cass. sez. 5, n. 20265/13), mentre nel caso di specie tale necessità non è emersa, ferme restando le specifiche controdeduzioni svolte da parte ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c..

11. In conclusione, il ricorso va respinto e la società ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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