Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16419 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 13/07/2010), n.16419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.C., R.D.A., R.R.,

P.M.A., P.G., PA.GI.,

P.B., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI 8, presso io studio dell’avvocato PELLICANO’ ANTONINO, che

li rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 395/2006 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 30/05/2006 r.g.n. 1845/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. TOFFOLI Saverio;

udito l’Avvocato PELLICANO’ ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 31 luglio 2001 il Tribunale di Palmi, in funzione di giudice del lavoro, nel condannare l’INPS al pagamento in favore degli odierni ricorrenti delle somme corrispondenti all’adeguamento della indennita’ di disoccupazione percepita nella misura di L. 800 giornaliere, per gli anni da ciascuno indicati, compensava per meta’ le spese del giudizio e attribuiva la restante meta’ al difensore dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., da calcolarsi sull’intero liquidato in complessive L. 3.000.000, di cui L. 1.600.000 per onorario e L. 1.400.000 per diritti ed esborsi.

La Corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciando sull’appello dei lavoratori in ordine alla liquidazione delle spese, ha osservato che la parte appellante non aveva adempiuto, come le spettava, l’onere di specificare nell’impugnazione i singoli esborsi asseritamente non riconosciuti e le singole voci delle competenze e degli onorari per le quali sarebbero stati violati gli importi previsti come minimi, e che, d’altra parte, non risultava ictu oculi la sicura violazione dei minimi tariffari, considerata la trattazione congiunta degli originari ricorsi, il numero dei ricorrenti da porre in relazione agli importi complessivamente liquidati e tenuta altresi’ presente, la mancanza di prova del valore della controversia.

La Corte osservava poi che, anche a prescindere da tali rilievi, comunque l’appello meritava di essere rigettato. Infatti facendo riferimento alle note spese relative al primo grado del giudizio comunque prodotte dall’appellante, e assumendone l’astratta esattezza, doveva considerarsi la “facile trattazione delle cause”, riguardo al loro oggetto (adeguamento dell’indennita’ di disoccupazione agricola), per cui i diritti e gli onorari andavano liquidati in misura inferiore ai minimi R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60. In base a tale criterio le spese potevano essere liquidate nell’intero, a prescindere dal valore della causa, proprio nella misura indicata dal primo giudice, addirittura superiore a quella comunemente liquidata dalla Corte in cause analoghe.

La Corte ha infine rilevato che gli appellanti avevano tardivamente sollevato – solo con le note di udienza – la doglianza relativa alla compensazione della meta’ delle spese, e ha compensato fra le parti le spese del giudizio d’appello.

La cassazione della sentenza e’ richiesta dai lavoratori con ricorso basato su quattro motivi.

L’INPS ha depositato procura ai difensori. Memoria dei ricorrenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) e carenza assoluta di motivazione, sostenendosi che le censure sollevate con l’atto di appello erano specifiche ed erano state anche illustrate con successive note difensive e che, peraltro, il giudice d’appello avrebbe dovuto d’ufficio determinare il valore della causa e verificare per ciascuna voce della nota spese il rispetto dei minimi tariffari.

Il secondo motivo, con censure articolate in vari punti e vari quesiti di diritto, denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 60 e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4 nonche’ carenza assoluta di motivazione.

Nel rilevare che il richiamo del cit. art. 60 implica l’accertamento di una violazione dei minimi tariffali, si lamenta la mancanza di motivazione circa l’effettiva sussistenza dei presupposti legali della norma indicata.

Si assume poi (punto A) che illegittimamente la sentenza impugnata abbia fatto applicazione del richiamato art. 60, trattandosi di norma non piu’ in vigore perche’ sostituita dalla L. n. 794 del 1942, art. 4 che ha previsto il criterio della “facile trattazione” in luogo di quello della “particolare semplicita’” della causa e ha introdotto un preciso limite al potere del giudice di attribuire onorari inferiori al minimo di tariffa; stabilendo che la riduzione puo’ essere operata (solo) “fino alla meta’ dei minimi”.

Si ribadisce quindi (punto B) la censura di carenza di motivazione, rilevandosi che manca ogni riferimento alla durata del processo, al numero di cause separatamente proposte, al loro valore, alla loro riunione solo in fase di discussione. Si deduce l’inidoneita’ del solo riferimento all’oggetto del processo.

Si rileva che comunque l’ari. 60 prevede la riduzione dei solo onorari (punto C) e non anche dei diritti di procuratore e degli esborsi.

Si lamenta infine (lett. D) il mancato accertamento della necessaria “‘manifesta sproporzione”, necessaria ai sensi dei citt. artt. 60 e 4 perche’ si possa operare la riduzione degli onorari.

Con il terzo motivo si lamenta violazione della L. n. 794 del 1942, art. 24 per il mancato rispetto da parte del giudice di primo grado dei minimi tariffati in sede di liquidazione delle spese giudiziali.

Il quarto motivo denuncia “omessa decisione” e vizio di motivazione, lamentandosi che la Corte territoriale abbia ritenuto non proposta con tale atto la censura relativa alla compensazione della meta’ delle spese. Si sostiene che la parziale compensazione non costituiva un capo autonomo della decisione e che l’appello era rivolto contro l’intero capo relativo alle spese.

Il primo motivo e’ infondato alla stregua dell’orientamento espresso da questa Corte in analoghe controversie (cfr. Cass. n. 20088 del 2008; n. 23085 del 2008, e altre conformi), al quale il Collegio intende dare continuita’ (cosi’ superandosi l’indirizzo di cui ad altre pronunce: cfr. Cass. n. 3137 del 2009 e altre, emesse in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.).

Ed infatti e’ pur vero che in materia di liquidazione degli onorari agli avvocati il giudice d’appello, in presenza di contestazioni sul valore della causa e quindi della tariffa applicabile, nonche’ dei criteri di applicazione delle voci liquidate a titolo di onorari e di diritti, non puo’ limitarsi ad una generica conferma della liquidazione globale imposta dal primo giudice, ma deve rideterminare, in presenza di una nota specifica prodotta in primo grado dalla parte vittoriosa, l’ammontare del compenso dovuto al professionista, specificando il sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile alla controversia, onde consentire l’accertamento della conformita’ della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, anche in relazione all’inderogabilita’ dei minimi e dei massimi tariffari (Cass. n. 21932 del 2006); ma qui la Corte territoriale, sul presupposto che la censura in appello riguardava esclusivamente la violazione dei minimi tariffari, ha ritenuto la genericita’ della medesima in quanto non specificata con l’indicazione degli importi nonche’ delle singole voci riportate nella nota spese. E, d’altra parte, in questa sede di legittimita’ la ricorrente non ha puntualmente censurato tale accertamento contenuto nella sentenza qui impugnata.

Ne’ maggiore specificita’ poteva ricavarsi da note illustrative successive, dovendosi precisare che la funzione di note e memorie non e’ quella di formulare censure ma solo quella di chiarire le censure gia’ tempestivamente formulate (Cass. n. 2012 del 1995, Cass. n. 24817 del 2005, Cass. n. 20088 del 2008 cit).

In conclusione, deve ritenersi che la parte che censuri la sentenza di primo grado con riguardo alla liquidazione delle spese di giudizio, lamentando la violazione dei minimi previsti dalla tariffa professionale, ha l’onere di fornire al giudice d’appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando, in maniera specifica, gli importi e le singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado; ne’ tali indicazioni possono essere desunte da note o memorie illustrative successive, la cui funzione non e’ quella di formulare censure ma solo quella di chiarire le censure tempestivamente formulate.

Il rigetto del primo motivo e la relativa conferma di una ragione di inammissibilita’ dell’appello quanto alla liquidazione delle spese del giudizio determina l’assorbimento del secondo e del terzo motivo.

Non e’ fondato neanche il quarto motivo.

L’interpretazione che la sentenza impugnata ha dato del contenuto dell’atto di appello non merita le censure che le sono rivolte. Come ripetutamente affermato dalla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 9378 del 2002, Cass. n. 20261 del 2006), nel giudizio di appello – che non e’ un “novum iudicium” – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificita’ esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico – giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Nel caso, poi, in cui sia ravvisabile un difetto di motivazione riguardo a una specifica statuizione, e’ necessaria che con la parte argomentativa dell’appello si denunci il relativo vizio. Non e’ sufficiente invece la mera richiesta di riforma della sentenza, ipotesi configurabile nella specie, visto che gli odierni ricorrenti ancora oggi, insistono nel sostenere la sufficienza – ai fini di una corretta impugnazione (anche) della statuizione di compensazione – della prospettata illegittimita’, nella sua interezza, del capo della sentenza relativo alla regolamentazione delle spese e della conclusiva espressa richiesta di riforma di tale capo. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non si deve provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio, in mancanza di attivita’ difensiva da parte dell’Istituto.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

 

 

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