Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16419 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 23/11/2015, dep. 05/08/2016), n.16419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16247-2010 proposto da:

D.C.P., elettivamente domiciliato in ROMA V.LE BRUNO BUOZZI

82, presso lo studio dell’avvocato ENRICO IANNOTTA, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI CARLO TENUTA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI COSENZA;

– intimato –

avverso il provvedimento n. 473/2009 della COMM.TRIB.REG. della

Calabria, depositata il 07/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2015 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il controricorrente l’Avvocato MARCHINI che ha chiesto

l’inammissibilità e in subordine il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 7 dicembre 2009 la C.t.r. della Calabria ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e confermato l’avviso di rettifica notificato il 27 dicembre 1999 a D.C.P., titolare dell’omonima ditta individuale, per l’omessa fatturazione di di merci nell’anno d’imposta 1994.

Premesso che nel corso della verifica a carico della Soc. ” V.A.” di D.C.P. e D.C.M., esercente attività commerciale nel settore della pellicceria e degli abiti da sposa, era stata rinvenuta una bolla di accompagnamento di merci “in conto visione”, emessa il 16 marzo 1994 dalla ditta individuale ” P.D.C.”, esercente un laboratorio di pellicceria sino al 31 dicembre 1994 e poi cessata, il giudice d’appello ha rilevavo che i verificatori avevano appurato che per i trentotto capi descritti nella bolla non erano state trovate nè la fattura per l’acquisto da parte della Soc. ” V.A.”, nè la bolla di accompagnamento per la eventuale restituzione alla ditta ” P.D.C.”. Ha osservato, inoltre, che la ditta ” P.D.C.” non aveva neppure emesso per tali merci la fattura prescritta in caso di cessazione di attività.

Per la cassazione di tale decisione, il contribuente ha proposto ricorso affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente, nel denunciare ex art. 360 c.p.c., n. 4 il mancato esame dell’eccezione di omessa autorizzazione all’appello, trascura che Il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013).

Comunque, per completezza, si osserva che la questione sollevata dal contribuente è manifestamente infondata alla luce del seguente consolidato principio di diritto: “Nel processo tributario, la disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere

previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000 – la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia. A seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, infatti, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie (…) di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali” (Cass. Sez.5, Sentenza n. 13158 dell’11/06/2014; conf. Sez.U, n.604 del 2005; Sez.5, n.16430 del 2011 e n.24451/2013).

2. Il secondo motivo è infondato.

L’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra la denunciata violazione della legge processuale (art. 132 c.p.c.; art. 118 att.; art. 34 proc. trib.), suscettibile di ricorso per cassazione (art. 360 c.p.c., n. 4), solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. Sez.5, Sentenza n.25972 del 10/12/2014), il che non si verifica che nella sentenza in esame attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione sopra compendiate in parte narrativa.

3. Il terzo motivo è infondato.

Il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato.

Perciò non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Cass. Sez.U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010).

Nella specie, invece, la C.t.r. ha individuato l’infrazione dell’obbligo di fatturazione a carico della ditta ” P.D.C.”, per la merce consegnata alla Soc. ” V.A.”, giusta bolla di accompagnamento del 16 marzo 1994, perchè tale merce deve intendersi ceduta mancando sia la bolla di restituzione alla ditta ” P.D.C.”, sia la cd. “fattura di autoconsumo “all’atto della cessazione dell’attività da parte della ditta (art. 2, n. 5 del decreto IVA). Si tratta di rilievi che non sono per nulla in contrasto logico e circostanziale tra di loro.

4. Il quarto motivo è infondato.

La tesi svolta dal ricorrente è nel senso che, una volta verificatasi la estinzione o la cessazione dell’attività d’impresa, i beni residuati all’imprenditore singolo, che dopo tale momento vengano ceduti a terzi, esulino dall’area di applicazione dell’imposta, sicchè ritenere che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, occorra emettere fattura, concretizze-rebbe violazione dello stesso art. 21 nonchè del cit. D.P.R., artt. 2 e 35.

Sennonchè il mezzo, già di per sè non autosufficiente mancando la trascrizione della bolla di accompagnamento e delle parti salienti dei relativi atti di accertamento che la riguardano, non può essere

Infatti non risulta che i trentotto capi in questione siano stati acquisiti al patrimonio personale dell’imprenditore individuale cessato, mediante l’applicazione dell’imposta di autoconsumo esterno (art. 2, n. 5 cit.) da esporsi nell’ultima dichiarazione annuale (art. 35, comma 4 cit.) così da esulare dal campo dell’imposizione sul valore aggiunto (conf. circ. n.54/2002, 16.3).

Del resto, la Corte di giustizia ha stabilito che è irrilevante, ai fini della soggettività passiva d’imposta, la circostanza che l’interessato non sia o non sia più – registrato come soggetto IVA, dovendosi determinare, secondo le circostanze del caso concreto, se il ritenuto soggetto passivo agisca in quanto tale, tenuto conto di tutti gli elementi delle fattispecie, ivi compresa la natura del bene considerato (C. giust. UE, 09/07/2015, C-183/14).

Nella specie si tratta di ben trentotto capi inviati dalla ditta ” P.D.C.”, esercente un laboratorio di pellicceria sino al 31 dicembre 1994, alla Soc. ” V.A.”, esercente attività commerciale nel settore della pellicceria e degli abiti da sposa. Dunque la fattispecie rientra, contrariamente all’assunto del contribuente, nel normale ambito della soggettività passiva ai fini dell’imposizione sul valore aggiunto.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1785 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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