Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16415 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 30/01/2015, dep. 05/08/2016), n.16415

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

GERVASIO CALZATURE srl;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione 02, n. 179, depositata il 18 settembre 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30

gennaio 2015 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

udito l’avvocato dello Stato Barbara Tidore, per la riccorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità ed in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento, emesso a carico della srl Gervasio Calzature, con il quale, per l’anno 1998, veniva determinato un maggior reddito d’impresa, e quindi maggiori IRPEG, IRAP ed IVA.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto infondata la pretesa dell’ufficio in quanto: a) in ordine all’ampia documentazione extra contabile acquisita, l’illegittimità dell’accesso (autorizzato per il domicilio dell’amministratore, ma in concreto eseguito in altro immobile, costituente domicilio della madre di quello) “provata inconfutabilmente” aveva determinato “l’inammissibilità delle prove raccolte nel corso dell’attività ispettiva”; b) in ordine alla verifica dei movimenti sui conti correnti bancari, essi erano intestati “ad altri soggetti d’imposta, persone fisiche, senza mai dimostrare (l’ufficio) un collegamento diretto e/o indiretto con la società verificata”, laddove nel riscontro dei c/c propriamente intestati alla srl Gervasio Calzature, i movimenti bancari erano “risultati congrui, corretti e conformi alle risultanze contabili evenienti dalla verifica delle scritture contabili della medesima società (libro giornale, mastro ecc.)”.

La società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il Collegio dà atto di aver rinvenuto, dopo l’udienza di discussione e la relativa camera di consiglio, nel fascicolo del giudizio rubricato rgn. 21303/2009, tra le medesime parti e trattato nella medesima udienza del 30 gennaio 2015, l’avviso di ricevimento della raccomandata concernente la notificazione del ricorso qui in esame, allegato a nota di deposito del 22 ottobre 2009 relativa a “N.R.G 21386/09”.

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7, e art. 39, comma 1, “l’amministrazione ricorrente assume che, ai fini dell’accertamento di maggiori redditi d impresa, i prelevamenti ed i versamenti su conti bancari intestati ai soci, ma che siano comunque utilizzati per il compimento di operazioni riferibili alla società contribuente si presumono inerenti a ricavi non contabilizzati, qualora lo stesso contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto ai fini della determinazione del reddito o che non riguardano l’attività d’impresa, e che pertanto sarebbe illegittima la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che i prelevamenti ed i versamenti risultanti dai conti intestati ai soci, recanti movimentazioni finanziarie assolutamente incompatibili con le loro proprie personali attività e fonti di reddito, non costituissero prova dei maggiori redditi ascritti alla società.

Con il secondo motivo denuncia insufficiente motivazione su tali punti decisivi della causa, esaurendosi la motivazione stessa in poche ed apodittiche affermazioni, che non tengono nessun conto degli elementi su cui concretamente si basa l’accertamento, e cioè sulle movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soci ed utilizzati per il compimento di operazioni societarie, e più specificamente per il pagamento di svariate forniture esattamente individuate dai verificatori.

I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto legati, si rivelano fondati.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.” “Ne consegue in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 impone alla società contribuente di dimostrare la estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa” (Cass. n. 16575 del 2013; n. 20199 del 2010).

Il giudice d’appello incorre in entrarti i vizi ad esso addebitati, affermando: che “i rilievi di diritto, esposti dall’ufficio ed oggetto di appello appaiono pretestuosi, inammissibili e comunque non sopportano l’accertamento neanche con labili indizi e/o prove che possano far collegare tali indizi ad operazioni commerciali della società accertata”; “riportandosi alle motivazioni”, trascritte in sentenza, della decisione di primo grado, secondo cui era escluso “che potesse attribuirsi una qualsiasi rilevanza ai risultati della verifica parziale effettuata sui conti correnti bancari dei soci, risultati che ben potevano essere posti a base e fondamento di accertamenti nei confronti dei titolari dei conti correnti quali persone fisiche, ma non utilizzabili quali elementi di collegamento con operazioni commerciali fiscalmente rilevanti riconducibili in capo al soggetto accertato”; rilevando – a fronte della contestazione che le movimentazioni dei conti dei soci non trovavano corrispondenza con le scritture contabili e si riferivano nella massima parte a fornitori e clienti della società contribuente -, che “il riscontro dei movimenti bancari della srl Gervasio Calzature sono risultati congrui, corretti e conformi alle risultanze contabili evenienti dalla verifica delle scritture contabili della medesima società (libro giornale, mastro ecc.)…, e a nulla rileva che alcuni soci della medesima società avessero C/C personali con movimentazioni di somme non collegabili a clienti/fornitori della società”.

Con il quarto motivo l’amministrazione denuncia “illogica motivazione su punti decisivi della controversia”, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto, condividendo le statuizioni rese con la sentenza della L.R. Campania n. 272 del 2005, depositata il 24 febbraio 2005, l’illegittimità dell’accesso, eseguito nell’ambito di una precedente fase di indagine, presso il domicilio di un socio al (OMISSIS), e cioè in luogo diverso da quello autorizzato.

Il motivo è inammissibile, in quanto questa Corte, con le sentenze n. 21779 e n. 21780 del 2011, costituenti nel presente giudizio, sul punto, giudicato esterno, rigettando il ricorso dell’amministrazione (nel secondo caso, avverso la pronuncia della L.R. Campania da ultimo richiamata), ha confermato, nel giudizio introdotto con l’impugnazione da parte della srl Gervasio Calzature dell’iscrizione di ipoteca e del sequestro conservativo, l’annullamento delle misure, in quanto l’acquisizione dei documenti su cui era fondata la richiesta era avvenuta in domicilio, (OMISSIS), non contemplato nell’autorizzazione della Procura della Repubblica di S. Angelo dei Lombardi, che si riferiva ad altri luoghi (sul tema, oltre a Cass. n. 21779 del 2011, rv. 619845, cfr Cass. n. 4498 del 2013).

Con il terzo motivo, l’Agenzia delle entrate denuncia vizio di insufficiente ed illogica motivazione, per non avere la sentenza impugnata spiegato il nesso tra l’asserita illegittimità dell’accesso eseguito presso il domicilio di un socio nel corso di una precedente verifica generale, e l’accertamento in esame, fondato su un’autonana indagine bancaria, insensibile ai vizi di un atto compiuto nel corso della fase precedente.

Con il quinto motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54 degli artt. 270 e 2727 c.c., l’amministrazione assume che l’illegittima acquisizione di documenti contabili effettuata dai verificatori nel corso dell’accesso domiciliare non debitamente autorizzato comporterebbe come unica conseguenza l’inutilizzabilità della documentazione illegittimamente acquisita, e non anche la nullità di altri atti di indagine che siano assolutamente autonomi ed indipendenti dall’attività viziata.

I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente legati, sono fondati. Con riguardo al terzo motivo, e sotto il profilo del vizio di motivazione, la sentenza è equivoca sul punto. Per il resto, è sufficiente considerare che, secondo il principio affermato da questa Corte, “l’inutilizzabilità delle prove acquisite a mezzo di un accesso domiciliare illegittimo riguarda solo le prove e/o le fonti di prova per le quali l’accesso medesimo costituisca una condizione necessaria e non quelle che trovano nell’accesso una mera occasione, con la conseguenza che sono utilizzabili le informazioni di terzi e le dichiarazioni del contribuente raccolte nell’ambito di un accesso non autorizzato, rispettando i criteri di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 norma dettata in materia di Iva ma applicabile con riferimento alle imposte dei redditi in virtù del richiamo operato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 – in quanto le stesse sono collegate all’accesso in rapporto di nera occasionalità, potendo essere ugualmente acquisite sull’uscio dell’abitazione, per strada o negli uffici dell’organo deputato all’indagine” (Cass. n. 25335 del 2010).

Nella specie le operazioni di verifica dei movimenti bancari costituiscono attività del tutto estranea all’accesso domiciliare.

In conclusione, vanno accolti il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo del ricorso, mentre va dichiarata l’inammissibilità del quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo del ricorso, e dichiara l’inammissibilità del quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2015 e, in seconda convocazione, il 3 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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