Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16414 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. III, 10/06/2021, (ud. 04/12/2020, dep. 10/06/2021), n.16414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36444/2018 proposto da:

REGIONE ABRUZZO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

B.G., rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI DI

ALBERTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 525/2018 del TRIBUNALE di L’AQUILA depositata

il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’8/6/2018 il Tribunale di L’Aquila ha respinto il gravame interposto dalla Regione Abruzzo in relazione alla pronunzia G. di P. Lanciano n. 237 del 2015, di accoglimento della domanda nei confronti della medesima, nonchè della Provincia di Chieti – poi estromessa dal giudizio – proposta dal sig. B.G. di risarcimento dei danni subiti dall’autovettura di sua proprietà in conseguenza dell’urto con un cinghiale avvenuto il (OMISSIS) mentre alla guida della medesima percorreva la S.P. n. (OMISSIS) (ex S.S. n. (OMISSIS)), direzione (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la Regione Abruzzo propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso il B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e/o falsa applicazione” della L. n. 157 del 1992, art. 1,L. n. 142 del 1990, art. 14, L.R. Abruzzo n. 30 del 1994, art. 2, L.R. Abruzzo n. 72 del 1998, art. 26, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che sia stata erroneamente ritenuta responsabile del sinistro sulla base di una sua mera “competenza normativa” e benchè l’attuazione della gestione della fauna selvatica sia stata delegata alla Provincia di Chieti, cui spetta “in forza di una competenza propria, derivante dall’autonomia ad essa attribuita dalla legge statale, anche indipendentemente da specifica delega” da parte della Regione.

Con il 2 motivo la ricorrente denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 354 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice del gravame non abbia rinviato la causa al primo giudice in ragione dell’erronea estromissione da parte del giudice di prime cure della Provincia di Chieti, originariamente convenuta nel giudizio di 1 grado, affermando che a carico della stessa sarebbe stata nella specie ravvisabile una concorrente responsabilità.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano redatti in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione ritualmente notificato”, alla “memoria di costituzione in primo grado”, all'”estromissione della Provincia”, alla sentenza del giudice di prime cure, all'”atto di citazione in appello”, agli “atti presenti nei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio, allegati”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

L’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono pertanto dall’odierna ricorrente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Senza sottacersi che, al di là della formale intestazione dei motivi, la ricorrente deduce in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie ovvero vizi di motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Deve sotto altro profilo porsi in rilievo che, a fronte della responsabilità dell’odierna ricorrente nella specie dai giudici di merito ritenuta sussistente ai sensi dell’art. 2043 c.c. (nel porre espressamente in rilievo che la “giurisprudenza di legittimità riconosce la responsabilità ex art. 2043 c.c., a quell’Ente a cui siano stati concretamente affidati – tramite delega – i poteri sul territorio e sulla gestione della fauna in essa insediata”, trovando “la suddetta responsabilità… riconoscimento a condizione che all’ente delegato sia stata conferita autonomia decisionale e operatività sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività stessa, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni, dei quali deve altrimenti rispondere l’ente delegante… per l’evidente ragione che una delega sfornita degli strumenti necessari -anche sul piano finanziario – a far fronte al compito delegato si tradurrebbe in una mera dismissione della funzione e della connessa responsabilità”, il giudice dell’appello ha escluso la configurabilità nella specie della responsabilità della Provincia ai sensi del combinato disposto di cui alla L.R. n. 10 del 2004, art. 2, L.R. n. 21 del 2004, art. 48,L.R. n. 10 del 2004, art. 55, L.R. n. 8 del 2005, L.R. n. 33 del 2005, per non avere la medesima ottenuto dall’ente delegante adeguati poteri e provviste per far fronte a ai “danni a cose o persone conseguenti a sinistri stradali”, giacchè “i finanziamenti a suo tempo stanziati dalla Regione per i risarcimenti inerenti incidenti stradali causati dalla fauna selvatica a persone o cose di cui alla L. n. 10 del 2003, sono stati destinati interamente al ristoro dei danni causati all’agricoltura e alla zootecnia di cui alla L.R. n. 10 del 2003 (vd. L.R. 12 febbraio 2005, n. 8, art. 1. Abrogata dalla L.R. 9 novembre 2005, n. 33, art. 1, comma 94). Nè può dirsi che una responsabilità della Provincia discenda direttamente dalla già citata L.R. n. 10 del 2003, espressamente e specificamente dedicata alla “Individuazione di specie animali di notevole interesse faunistico e disciplina dei danni causati dalla fauna selvatica”; detta legge prevede che nell’ambito del territorio regionale non compreso nel perimetro di Parchi nazionali o regionali “la Regione provvede al risarcimento dei danni per incidenti stradali provocati a veicoli e persone dalla fauna selvatica” (art. 1); le funzioni risarcitorie delegate alla Provincia dall’art. 3 attengono in realtà alle attività di mero accertamento e liquidazione dei danni, prevedendosi che tale Ente dovrà all’uopo dotarsi di specifiche strutture organizzative (art. 4 ter), senza tuttavia incidere sull’obbligo, che resta regionale, trattandosi dell’ente deputato al controllo della fauna, di rispondere dei danni. Basti osservare, sul punto, che… per quanto attiene al ristoro dei danni per incidenti stradali provocati a veicoli e persone dalla fauna selvatica, il successivo art. 4 bis prevede espressamente che “In relazione al verificarsi di incidenti stradali causati nel territorio regionale dalla fauna selvatica la Regione corrisponde contributi per i danni, non altrimenti risarcibili, a persone e a veicoli di loro proprietà o in loro affidamento avvenuti durante la regolare circolazione veicolare lungo qualsiasi strada aperta al pubblico transito” individuando la quota massima di contribuzione regionale sui danni ai veicoli e spese mediche e demandando ad un regolamento regionale i criteri di spartizione dei fondi tra le province. Tuttavia,… ed a dispetto della delega Regione/Provincia della funzione di controllo della fauna selvatica di cui alla L.R. n. 10 del 2004 – i fondi a suo tempo destinati a tale ultima categoria di danni sono stati distolti, lasciando l’ente delegato nell’impossibilità di farvi fronte”, sicchè “la legittimazione passiva per i danni oggetto del presente giudizio deve essere posta in capo alla Regione”.

Tale giudice ha ulteriormente ravvisato la responsabilità dell’odierna ricorrente argomentando dal rilievo dell’essere rimasto accertato come “non vi fosse in loco segnaletica di avvertimento del possibile attraversamento di animali selvatici”, benchè “già all’epoca si fosse profilata una situazione di carattere emergenziale dovuta all’elevatissimo numero di cinghiali presenti sul territorio, circolanti in branchi e fonte di continuo pericolo. Una situazione dunque ben nota alle Autorità, a fronte della quale non può dirsi che la funzione di controllo della fauna selvatica fosse stata diligentemente esercitata”.

Ha ulteriormente posto in rilievo come “sebbene sia ravvisabile un concorso di colpa in capo all’ente proprietario della strada – ossia la Provincia… per l’omessa segnalazione del possibile attraversamento della fauna selvatica… ciò non intacca, i per sè, il diritto del B. ad essere integralmente risarcito da ciascuno dei corresponsabili ex art. 2055 c.c. (vd. Cass., n. 2066 del 29/01/2018 ) e l’omessa impugnazione della sentenza nei confronti della Provincia preclude qualsivoglia statuizione nei confronti di tale ultimo ente”.

Orbene, all’esito del suindicato accertamento in punto di fatto nell’impugnata decisione il giudice dell’appello ha fatto invero piena e corretta applicazione dei principi da questa Corte in materia enucleati (anteriormente al revirement in base al quale la responsabilità è presunta ex art. 2052 c.c., salvo la prova del fortuito: v. Cass., 6/7/2020, n. 13848; Cass., 22/6/2020, n. 12113; Cass., 20/4/2020, n. 7969) sul piano della responsabilità come nella specie ravvisata fondata per violazione della sopra richiamata norma generale in tema di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (v., da ultimo, Cass., 27/02/2019, n. 5722 e Cass., 18/2/2020, n. 4004), essendosi al riguardo da questa Corte in particolare precisato che anche ove la Regione abbia delegato i propri compiti alle Province (ma anche nel caso in cui i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata risultino in concreto affidati ad altro ente – es., Ente Parco, Federazione o Associazione – da previsione di legge o in base a delega o concessione) è da ravvisarsi la persistente responsabilità della Regione allorquando non risulti all’ente delegato conferita un’autonomia decisionale ovvero come nella specie operativa, anche sotto il profilo dello stanziamento degli adeguati fondi al riguardo necessari e sufficienti a consentire di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (v. Cass., 21/2/2011, n. 4202), ovvero l’ente delegato risulti in realtà un mero nudus minister, senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa (v. Cass., 17/9/2019, n. 23151; Cass., 21/6/2016, n. 12727; Cass., 6/12/2011, n. 26197).

A fronte degli argomenti da tale giudice posti a base dell’adottata decisione l’odierna ricorrente si è invero limitata a ribadire, in termini di mera contrapposizione, la propria tesi difensiva già sottoposta all’attenzione dei giudici di merito e dai medesimi non accolta.

Emerge pertanto evidente come, le deduzioni della medesima, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvano nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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