Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16413 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/07/2017, (ud. 31/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dagli Avvocati Lorenzo Profeta

e Daniele Ciuti, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo

in Roma, via Giuseppe Pisanelli, n. 2;

– ricorrente –

contro

S.F. e G.G., rappresentati e difesi dagli Avvocati

Gabriele Bruyere e Cinzia De Micheli, con domicilio eletto nello

studio di quest’ultima in Roma, via Tacito, n. 23;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1420 in data

23 luglio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31 maggio 2017 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso ex art. 703 c.p.c. e artt. 1168 e 1170 c.c., B.S. chiese al Tribunale di Torino di essere reintegrato nel possesso di una servitù di passaggio sul ballatoio di proprietà di S.F. e G.G., assumendo di esservi sempre transitato per accedere al vano sottotetto del proprio edificio confinante attraverso un’apertura esistente sulla parete, disponendo del resto delle chiavi del cancello di accesso al ballatoio medesimo, sino a quando i convenuti avevano arbitrariamente murato l’apertura e sostituito le chiavi del cancello.

S.F. e G.G. si costituirono negando che il B. fosse mai transitato attraverso il ballatoio o avesse chiesto loro l’autorizzazione a farlo, non essendovi mai stata alcuna apertura ed anzi essendo il transito ostruito da un armadio collocato sul ballatoio dal conduttore del loro immobile; specificarono che in un’unica occasione, risalente a due anni prima, alcuni operai, incaricati dal B. di effettuare lavori di manutenzione del tetto, avevano chiesto l’autorizzazione ad accedere al ballatoio, ottenendo copia delle chiavi, e verosimilmente realizzato l’apertura, dalla quale comunque nessuno era mai transitato.

Il Tribunale accolse la domanda.

2. – La Corte d’appello di Torino, investita del gravame proposto da S.F. e G.G., lo ha accolto, riformando integralmente la impugnata decisione.

2.1. – La Corte distrettuale ha ritenuto in proposito non provato l’esercizio del possesso nell’anno anteriore alla domanda di reintegrazione, poichè l’unico testimone che ne aveva riferito non aveva frequentato l’immobile nell’ultimo anno e gli accertamenti eseguiti sullo stato dei luoghi avevano escluso la presenza di un’apertura nel ballatoio finalizzata al passaggio del B., sicchè doveva ritenersi che quest’ultimo aveva effettuato passaggi risalenti ed in modo sporadico e discontinuo, ovvero inidoneo a configurare un possesso tutelabile.

3. – Avverso la sentenza della Corte d’appello B.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, chiedendo il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità della Camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto “in relazione alle vere e proprie risultanze istruttorie (c.t.u. e deposizioni testimoniali) ed agli artt. 1140 e 1168 c.c.”. Il ricorrente censura la sentenza là dove “non ha ritenuto provato il possesso della servitù di passaggio a favore del B. senza tenere conto delle risultanze processuali che comprovano l’esercizio della servitù, seppure occasionale, o, comunque, senza tener conto del possesso”.

1.1. – Il motivo si appalesa inammissibile.

Con logico e motivato apprezzamento delle risultanze probatorie, la Corte d’appello – dopo avere dato atto che i reiterati passaggi sono riferiti dalla sola teste M., la quale non abita in loco, mentre il teste L. (conduttore di alloggio al secondo piano) ed il teste Bu. (conduttore dell’immobile S.) non hanno visto transiti di B. diretti al sottotetto, e che l’amministratore del condominio non ha parlato di un varco preesistente nella muratura e funzionale al passaggio di B. – ha rilevato:

che se le informazioni testimoniali non sono tra loro convergenti, tuttavia è pacifico in causa che, al posto della asserita apertura di accesso al sottotetto B., da anni l’inquilino Bu. aveva posizionato un armadio, elemento oggettivamente di ostacolo agli asseriti passaggi;

che in relazione al transito nell’ultimo anno anteriore alla domanda di spoglio, la situazione è stata affermata dal Tribunale in base alla deposizione della teste M., che è generica sul punto, giacchè la teste andava nei luoghi quando viveva la madre e quindi non nell’ultimo anno, nonchè in base allo stato dei luoghi, argomento di per sè inconferente ed efficacemente contestato dal consulente tecnico di parte appellante;

che non si può invocare la tematica dell’esercizio saltuario del passaggio e quindi la natura discontinua della servitù, presupponendo questa la prova, carente in causa, di una stabile relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente.

Il motivo si risolve in una mera critica della valutazione delle prove compiuta dal giudice d’appello.

Invero, i profili relativi al merito della valutazione delle prove sono insindacabili in sede di legittimità, quando – come nel caso di specie risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la loro decisione, sicchè deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste – manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque, come nella specie, preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

La critica articolata peraltro neppure intacca la ratio decidendi in punto di difetto di valida prova dell’esercizio di un passaggio nell’anno anteriore alla proposizione della domanda.

D’altra parte, la deduzione secondo cui l’acquisizione della prova testimoniale del Bu. sarebbe inficiata dal fatto che lo stesso aveva un interesse nella causa (essendo il conduttore della S. e del G. e non intendendo “più sopportare il passaggio del B. per contrasti relativi all’uso del sottotetto del B. stesso”) non considera che in tema di prova testimoniale, l’eccezione di nullità della testimonianza per incapacità a deporre deve essere sollevata immediatamente dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del procuratore della parte all’incombente istruttorio, entro la successiva udienza, restando, in mancanza, sanata (Cass., Sez. lav., 19 agosto 2014, n. 18036). Nella specie il ricorrente non ha precisato se, come e quando abbia sollevato l’eccezione relativa (riproducendola in parte qua, nell’osservanza del principio di specificità).

Inoltre, non è idonea ad integrare un vizio della sentenza la circostanza che la Corte d’appello abbia disatteso la c.t.u. Come osserva esattamente il pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte, con puntuale richiamo alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass., Sez. 1, 3 marzo 2011, n. 5148), la c.t.u. non ha efficacia vincolante per il giudizio di merito, il quale è soltanto onerato di motivare le ragioni del dissenso, come è accaduto nella specie, avendo la pronuncia argomentato in ordine al perchè ha disatteso (peraltro in parte e in relazione a profili neppure di carattere tecnico) le conclusioni del consulente d’ufficio.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., per avere la Corte d’appello palesemente errato in diritto nel non ritenere nella specie sussistere il requisito dell’apparenza. Ad avviso del ricorrente, nel caso in questione “non solo esiste l’opera (soletta le cui foto sono allegate alla c.t.u.), ma dalla conformazione della stessa e della ringhiera, quest’ultima più corta rispetto alla lunghezza del balcone, si evince la destinazione della medesima, quella cioè di consentire il passaggio sul ballatoio per accedere al sottotetto: se così non fosse non esisterebbe tale prolungamento della soletta ma tra il balcone ed il muro del basso fabbricato del B. ci sarebbe un vuoto come nella parte soprastante al terzo piano e sottostante primo piano”.

2.1. – Anche il secondo motivo è inammissibile, perchè si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali e nella sollecitazione di un sindacato in punto di fatto.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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