Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16412 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. I, 13/07/2010, (ud. 19/10/2009, dep. 13/07/2010), n.16412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. MARRA Alfonso Luigi, per

legge domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di

Cassazione, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli Uffici di questa

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 29

gennaio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19 ottobre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Onofrio Fittipaldi.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, nella relazione depositata il 1 luglio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:

” F.G. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 6.10.97, avente ad oggetto la misura del t.f.r.,non ancora definito.

La Corte d’appello, con decreto del 29.1.2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, ritenuto violato il relativo termine per anni 5 e mesi 8, liquidava per il danno non patrimoniale, facendo riferimento ai criteri del giudice europeo e di questa Corte, Euro 840,00 per ogni anno di ritardo (in mancanza di più precise indicazioni da parte del ricorrente, e tenuto conto della natura del diritto e del comportamento della parte, consistente nella mancata presentazione di istanza di prelievo), quindi complessivi Euro 4.760,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso F. G., affidato a nove motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

1.- Con i primi sette motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001, e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno. Secondo l’istante, una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00 (secondo motivo) e nella specie il decreto non ha motivato in ordine alla mancata osservanza di detto parametro (terzo motivo). Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia diritti dei lavoratori ed è formulato il seguenti quesito: spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quarto motivo) ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda e ciò costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c. (quinto motivo) e comporterebbe un difetto di motivazione (sesto motivo); il decreto avrebbe ridotto la quantificazione della somma liquidata, in considerazione dello scarso valore della controversia, che rileva invece al solo fine della sua determinazione all’interno dei parametri stabiliti dalla Corte EDU (sono richiamate sul punto alcune sentenze di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito il modesto valore della controversia può costituire elemento atto ad escludere il diritto all’equa riparazione ovvero è idoneo a ridurre l’equo indennizzo? (settimo motivo).

1.1.- I motivi ottavo e nono denunciano violazione e falsa applicazione di legge ed erronea compensazione delle spese processuali, sul presupposto della contumacia della parte resistente, nonchè vizio di motivazione in ordine alla disposta compensazione ed alla dichiarazione di irripetibilità delle spese (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ed è formulato il seguente quesito di diritto: in ipotesi di contumacia della PA e di accoglimento della domanda deve seguire la condanna alle spese di lite? (ottavo motivo) e il decreto sarebbe carente nella motivazione in ordine alla disposta compensazione ed alla dichiarazione di irripetibilità delle spese del giudizio (nono motivo).

2. – I motivi indicati nel 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007). Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria. In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno ed ai motivi dal 2^ al 7^, va ribadito che deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere come ha invece sostenuto l’istante una ulteriore, più elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il ed. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006;

n. 19029 del 2005) , purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul ed. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008). In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in relazione ai quesiti posti con i motivi in esame, con conseguente con conseguente manifesta infondatezza di detti mezzi.

Il decreto ha, infatti, applicato il parametro della Corte EDU e, liquidando Euro 840,00 per anno di ritardo, quale indennizzo per il danno non patrimoniale, si è discostato dal parametro minimo in misura non irragionevole, compiutamente motivando con riferimento:

all’entità della posta in gioco, al comportamento della parte (il mancato deposito dell’istanza di prelievo non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto quale elemento espressivo dell’interesse della parte alla decisione della controversia). Rispetto a tale motivazione, congrua, coerente e sufficiente, le argomentazioni svolte dall’istante sono manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicità, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entità della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi già nella fese di merito. Peraltro, con il settimo motivo, incongruamente l’istante prospetta la questione della legittimità della negazione dell’indennizzo nel caso di modesto valore della controversia, che è conclusione neppure affermata nel decreto, che ha riconosciuto il diritto in esame. La deduzione relativa all’inammissibilità della riduzione in considerazione del valore della controversia è infondata, poichè la posta in gioco, come affermato nelle sentenze sopra richiamate, costituisce elemento che può essere apprezzato al fine della quantificazione dell’indennizzo.

2.1.- I motivi indicati nel par. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrano manifestamente fondati.

La compensazione delle spese processuali spetta al potere discrezionale del giudice del merito, che può disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altri giusti motivi; la relativa motivazione è censurabile in questa sede ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie.

Nella specie, il decreto ha dichiarato irripetibili le spese con la mancata costituzione in resistenza dell’amministrazione convenuta, che, peraltro, non avrebbe dato causa al giudizio. Siffatta ragione è al tempo stesso erronea, dacchè il giudizio di equa riparazione è stato causato dall’apparato giudiziario dei cui comportamenti risponde per scelta legislativa la Presidenza del Consiglio dei ministri; essa è, inoltre, illogica, poichè la contumacia di chi è stato convenuto in giudizio non può essere di per sè ritenuta giusto motivo di compensazione delle spese affrontate dall’attore (Cass. n. 29407 del 2008; n. 2389, n. 2384, n. 775 del 2009).

In relazione alle censure accolte il decreto potrà essere cassato nella parte concernente le spese; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa potrà essere decisa nel merito, disponendo la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri alle spese del giudizio di merito. Le spese della fase di legittimità potranno essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, tenuto conto del parziale accoglimento della domanda, mentre la residua parte potrà seguire la soccombenza.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici, sono condivisi dal Collegio;

che il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione alla censura accolta e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito: fermo restando l’accoglimento della domanda del ricorrente nei termini già decisi dalla Corte d’appello con la conseguente condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri, quest’ultima va condannata al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo, che si compensano per il presente giudizio nella misura di due terzi in ragione del rigetto della maggior parte dei motivi;

che le spese vanno distratte in favore del difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso, cassa il decreto impugnato limitatamente alle spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese processuali – nell’intero quanto al giudizio di merito e per 1/3 in relazione a quello di cassazione, compensandosi la restante parte -, spese distratte in favore dell’Avv. Alfonso Luigi Marra, e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 887,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 420,00 per onorari ed Euro 367,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, nella misura, ridotta per effetto della disposta parziale compensazione, di Euro 285,00 (di cui euro 35 per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

 

 

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