Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16410 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.L.D.S.F., rappresentata e difesa da se

medesima ai sensi dell’art. 86 c.p.c., domiciliata presso la

Cancelleria della Corte suprema di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta n. 1063/14,

depositato il 17 luglio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

maggio 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Caltanissetta il 22 maggio 2012, B.L.d.S.F. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un procedimento civile iniziato dinnanzi al Tribunale di Palermo con citazione notificatale il 4 febbraio 1993, deciso in primo grado il 29 gennaio 2005, proseguito in appello, ove veniva deciso con sentenza depositata il 22 luglio 2009 e definito con sentenza della Corte di cassazione depositata il 2 febbraio 2012;

che la Corte d’appello accoglieva parzialmente la domanda ritenendo che il giudizio presupposto, protrattosi per diciassette anni e sette mesi, avesse avuto una durata irragionevole di sette anni e nove mesi, detratti la durata ragionevole di sei anni nonchè i segmenti processuali imputabili a comportamento delle parti, e liquidando in favore della ricorrente la somma di Euro 2.500,00, tenuto conto del valore della controversia, in cui si era avuta una condanna al risarcimento di un danno di Euro 2.050,00;

che la Corte d’appello escludeva poi il diritto della ricorrente agli interessi legali, in assenza di specifica domanda, e al danno patrimoniale;

che per la cassazione di questo decreto B.L.d.S.F. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi;

che l’intimato Ministero della giustizia non ha svolto difese.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dolendosi del fatto che la Corte d’appello, per una irragionevole durata accertata di sette anni e nove mesi, abbia liquidato un indennizzo di Euro 2.500,00 pari a circa 315,00 Euro per anno di ritardo, assumendo erroneamente quale criterio di liquidazione quello del valore della controversia anche se la domanda di equa riparazione non era soggetta, ratione temporis, all’applicazione delle disposizioni introdotte nel 2012 nella L. n. 89 del 2001;

che con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione dsell’art. 2697 c.c. e della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3 sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel non riconoscerle il danno patrimoniale, atteso che tale danno era in re ipsa, avendo ella lamentato che se il giudizio non si fosse protratto irragionevolmente la rivalutazione non sarebbe decorsa dal 1990, così come gli interessi legali non sarebbero stati dovuti per il periodo 1994-2012, e le spese legali sarebbero state liquidate in misura sensibilmente inferiore;

che con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., dolendosi della disposta compensazione delle spese sulla base della sola circostanza dell’avvenuta liquidazione di un indennizzo inferiore a quello richiesto;

che occorre premettere che la presente controversia non è soggetta, ratione temporis, all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla L. n. 134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione;

che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012 non può neanche riconoscersi natura di norme di interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non vi è nulla nel D.L. n. 83 del 2012 che possa indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva, avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione per la entrata in vigore della nuova disciplina;

che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è fondato, atteso che, come già rilevato e come disposto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 2, modificativo della L. n. 89 del 2001, le previsioni nello stesso contenute si applicano ai ricorsi depositati dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero dall’il settembre 2012;

che, essendo stato il ricorso in questione depositato in un momento antecedente a tale data, nessuna delle nuove disposizioni può essere ad esso direttamente applicata, con la conseguenza che il decreto impugnato è errato nella parte in cui ha determinato l’indennizzo assumendo quale criterio base il valore della causa presupposta;

che il secondo motivo è infondato;

che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, la natura indennitaria dell’obbligazione esclude la necessità dell’accertamento dell’elemento soggettivo della violazione, ma non l’onere del ricorrente di provare la lesione della sua sfera patrimoniale quale conseguenza diretta e immediata della violazione, esulando il pregiudizio dalla fattispecie del “danno evento”. Pertanto, sono risarcibili non tutti i danni che si pretendono relazionati al ritardo nella definizione del processo, ma solo quelli per i quali si dimostra il nesso causale tra ritardo medesimo e pregiudizio sofferto” (Cass. n. 18239 del 2013; Cass. n. 14775 del 2013);

che, nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che il danno patrimoniale – individuato dalla ricorrente nei minori importi che la stessa avrebbe dovuto sborsare se il giudizio presupposto si fosse concluso nei tempi ragionevoli – fosse insussistente, in quanto le maggiori somme derivavano da rivalutazione e da interessi, con la conseguenza che le stesse nulla aggiungevano rispetto all’originario valore intrinseco della somma dovuta;

che, con particolare riferimento alle spese processuali, le censure risultano inoltre generiche e meramente oppositive, non essendo stata dimostrata la inutilità delle udienze del giudizio di merito, nelle quali la ricorrente si è avvalsa della prestazione del proprio difensore, sicchè non può sfuggirsi al rilievo che le dette udienze si sarebbero del pari tenute anche ove il giudizio si fosse svolto in una durata complessivamente ragionevole;

che il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo;

che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, assorbito il terzo, il decreto impugnato va cassato in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta perchè, in diversa composizione, proceda a nuova determinazione dell’indennizzo dovuto nonchè alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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