Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16410 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/07/2017, (ud. 24/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8732/2013 proposto da:

F.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

TEMPIO 1/A, presso lo studio dell’avvocato ANGELO MALEDDU,

rappresentato e difeso dall’avvocato RODOLFO MELONI;

– ricorrente –

contro

A.P. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO PLAISANT;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2012 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 12/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato RODOLFO MELONI, difensore del controricorrente, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con ricorso depositato il 3 agosto 2001 A.P. proponeva denuncia di nuova opera nei confronti di F.F. esponendo:

di essere comproprietario di un lotto di terreno sito nel Comune di Pula, ricompreso nel piano di lottizzazione approvato con Delib. C.C. 29 dicembre 1992, confinante con altro lotto compreso nel medesimo Piano di lottizzazione, inizialmente assegnato ai coniugi Z. e S., successivamente trasferito alla SO.PRI.MA. ed infine pervenuto al convenuto;

verso la metà del mese di giugno del 2001 il F. aveva iniziato dei lavori di recinzione e di scavo per (erezione delle fondazioni di un’erigenda costruzione;

nell’esecuzione di detti lavori il convenuto aveva occupato una porzione del contiguo lotto di esso attore, per una profondità di circa 6 metri, per tutta la sua lunghezza, pari a mt. 26, 86 (ove aveva accatastato materiali, attrezzi ed altre sterpaglie) ed aveva realizzato lo scavo a solo 1 mt. dall’originario confine dei fondi.

Tanto premesso, chiedeva la sospensione dei lavori per il pericolo di danno derivante dall’occupazione del proprio fondo e dal mancato rispetto della distanza minima tra edifici, pari in quell’area a 10 mt.

Il F., costituitosi, affermò di aver avviato i lavori in piena conformità con il piano di lottizzazione ed al piano planivolumetrico sottoscritto dal procuratore dello stesso ricorrente, all’interno della propria area e nel rispetto della distanza di 7 metri in conformità alla concessione edilizia rilasciatagli.

Con ordinanza del 18.3.2002 il Giudice Designato ordinò la sospensione dei lavori di costruzione dell’edificio di proprietà del F..

Successivamente, disposta la riunione di detto procedimento con altro, avente il medesimo oggetto, proposto dall’ A., il Tribunale di Cagliari dichiarò l’illegittimità delle opere realizzate dal F. al confine del suo terreno con quello di proprietà dell’attore;

condannò il F. alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mediante arretramento del proprio fabbricato fino alla distanza di 5 mt. dalla linea di confine della proprietà A. ed al rilascio della porzione di immobile di proprietà dell’attore di mq. 135 sul confine tra le due proprietà e la conseguente demolizione del muro edificato sul confine medesimo;

condannò ancora il convenuto al risarcimento dei danni, con liquidazione demandata a separato giudizio.

La Corte d’Appello di Cagliari confermò la sentenza di primo grado.

Il Giudice del gravame, in particolare, premesso che i terreni di proprietà delle parti facevano parte di una lottizzazione, oggetto di una convenzione stipulata con il Comune di Pula, affermò che, con riferimento al confine tra i diversi lotti non era possibile riconoscere efficacia negoziale al piano planivolumetrico allegato al piano di lottizzazione predisposto dai proprietari delle aree interessate, il quale, sebbene sottoscritto dai proprietari medesimi, aveva la precipua funzione di rappresentare graficamente le aree da lottizzare e sottoporre all’approvazione del Comune, dovendosi invece, ai fini dell’esatta consistenza dei lotti, far riferimento unicamente al contenuto del successivo atto di riordino e di riassegnazione.

Ad avviso della Corte territoriale, con il c.d. atto di riordino e riassegnazione, infatti, i co-lottizzanti avevano operato reciproci trasferimenti di porzioni delle proprietà originarie, al fine di riequilibrare la situazione venutasi a creare a seguito della cessione gratuita al Comune di Pula di una rilevante parte dell’area originaria, al fine di reintegrare il rapporto di proporzionalità tra la superficie – e la capacità edificatoria – del lotto originario e quello concretamente utilizzabile a fini edificatori.

Tale negozio era inoltre dotato di autonomia causale rispetto alla lottizzazione originaria, e non meramente attuativo della stessa, ed era dunque idoneo a modificarla.

Secondo la valutazione della Corte territoriale, il contenuto dell’atto di riordino risultava chiaro ed in esso erano chiaramente indicati i dati identificativi degli immobili facenti parte dei singoli lotti, così come risultanti dalle cessioni reciproche tra i condividenti. Il giudice di appello riteneva, altresì, pienamente condivisibili gli accertamenti e le conclusioni della ctu espletata nel giudizio di primo grado, che, dato atto che la ripartizione in lotti era quella risultante dal frazionamento con i numero attribuiti nel piano di lottizzazione, mentre le proprietà dovevano individuarsi sulla base degli atti di compravendita e riassegnazione dei lotti, ha accertato che le dimensioni attuali dei lotti di proprietà delle parti (nn. 10 e 11) non corrispondevano a quelle del frazionamento originario e che il muro realizzato dal convenuto ricadeva nel lotto n. 11 di proprietà dell’attore, determinando un’occupazione della relativa area di circa 135 mq..

Il giudice di appello disattendeva altresì le censure poste dal F. all’espletata ctu, la quale aveva accertato che la nuova fabbrica eretta del convenuto era stata edificata in violazione delle norme sui distacchi minimi che, secondo le prescrizioni urbanistiche del Comune di Pula prevedevano una distanza minima dei fabbricati dal confine di 5 mt. e degli edifici di 10 mt. Rilevava inoltre l’inammissibilità, per novità, della questione, sollevata dal F. solo in sede di appello, della effettiva distanza minima da osservarsi secondo le prescrizioni urbanistiche vigenti, ritenuta, in ogni caso, nel merito infondata.

Il giudice di appello rilevava, infine, che le pattuizioni della convenzione di lottizzazione, tra cui quella che prevedeva la rinuncia tra i partecipanti a far valere reciprocamente violazioni attinenti ai rapporti privatistici coinvolti, soprattutto in materia distanze, doveva ritenersi superata dal successivo atto negoziale di riordino. Confermava infine la statuizione di condanna del F. al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il F., con tre motivi.

Il signor A. resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 950, 1362 c.c. e segg., artt. 112 e 115 c.p.c., L. n. 1150 del 1942, art. 28, deducendo che la sentenza impugnata si fonda su una evidente violazione dei canoni di ermeneutica negoziale, per aver apoditticamente ritenuto che l’atto di riordino del 5.5.1994 non dovesse interpretarsi sulla base dell’utilizzo di tali canoni, dovendo al contrario interpretarsi sulla base dei criteri di cui agli artt. 1362, 1363, 1366 e se del caso 1367.

Il motivo è inammissibile per genericità.

Ed invero secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale (nella specie una transazione), non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di esercitare, nei termini esattamente individuati dal ricorrente, il proprio sindacato sull’ applicazione della disciplina normativa (Cass. 25728/2013).

In ogni caso, nella fattispecie in esame, il criterio interpretativo adottato nella sentenza impugnata è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui, in materia di interpretazione del contratto, sebbene i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., siano governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la “comune intenzione delle parti stipulanti”, la necessità di ricostruire quest’ultima senza “limitarsi al senso letterale delle parole”, comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacchè il significato delle dichiarazioni negoziali costituisce l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore (Cass. 14432/2016).

Ed invero, nel caso di specie la Corte territoriale nell’affermare l’autonomia della successiva convenzione redistributiva, rispetto all’originaria convenzione di lottizzazione ha messo in evidenza come la necessità di una modifica del suo contenuto nei rapporti interni tra i singoli lottizzanti nascesse dalla cessione di una rilevante parte del terreno originario al Comune di Pula, con conseguente necessità di revisione della ripartizione originaria.

La Corte, dunque, nell’affermare l’autonomia del c.d. atto di riordino rispetto alla lottizzazione, non si è limitata al senso letterale delle espressioni ivi contenute, ma ha valutato la funzione economica del negozio, in relazione alla Convenzione che regolava i rapporti con il Comune di Pula, e, con valutazione logica ed adeguata ha affermato che il contenuto letterale del c.d. atto di riordino era chiaro ed univoco nell’individuare con certezza i dati identificativi degli immobili facenti parte dei singoli lotti, come risultanti a seguito delle reciproche cessioni tra i condividenti.

Come si è già evidenziato, tale statuizione, che costituisce il fulcro dell’iter logico seguito da ambedue i giudice di merito, non risulta efficacemente contestato nel ricorso, non risultando specificamente riportati i passi dell’atto negoziale che implicavano la necessità di integrarne le previsioni con il contenuto della lottizzazione originaria. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione falsa applicazione degli artt. 869, 870, 872 e 873 c.c., in relazione al D.M. del 1968, art. 9, alla L. n. 1150 del 1942, art. 28, nonchè della L. n. 1865 del 2248, artt. 4 e 5 e degli artt. 2699, 2700, 2714, 2715 e 2718 c.c., lamentando l’errata applicazione della normativa regolamentare sulle distanze, integrativa delle disposizioni del codice civile, applicabile al caso di specie e deducendo la mancanza di una norma che prevedesse distacchi minimi del fabbricato dal confine. Rileva dunque che la norma regolamentare, nel prevedere distacchi massimi del fabbricato dal confine, non conteneva alcun errore materiale, fermo restando il distacco minimo tra edifici e la possibilità di costruire in aderenza.

Pure tale motivo è infondato.

La Corte territoriale, con motivazione adeguata, ha infatti ritenuto che la previsione contenuta in materia di parametri edilizi al punto 4.5.3. degli all. A e B della Convenzione di lottizzazione e dell’Atto di riordino, che prevedeva una distanza massima dal confine, fosse affetta da errore materiale, in quanto del tutto al di fuori della disciplina in materia di distanze tra edifici, essenzialmente finalizzata ad evitare intercapedini nocive e garantire un soddisfacente assetto del territorio.

Ed invero, in tema di distanze legali, le norme degli strumenti urbanistici integrano la disciplina dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli artt. 873 c.c. e segg., in quanto tendano ad armonizzare l’interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico del territorio con l’interesse privato relativo ai rapporti intersoggettivi di vicinato sicchè vanno incluse in tale novero le disposizioni del piano regolatore generale dell’ente territoriale che stabiliscano la distanza minima delle costruzioni dal confine del fondo (e non tra contrapposti edifici), (Cass. 20107/2014), risultando invece sostanzialmente priva di utilità e di significato una disposizione che preveda una distanza massima della costruzione dal confine.

Tale previsione, inoltre, divergerebbe dalla disposizione omologa contenuta nelle norme di attuazione del Programma di fabbricazione Comune di Pula, allegate alla Delib. C.C. 26 maggio 1989, n. 19, approvate dalla Regione Sardegna, in data 21/12/1989, costituenti parte integrante della Convenzione che prevede per gli edifici un distacco dal confine di 5 mt, non risultando alcuna disposizione del comune di Pula che preveda una distanza massima dal confine.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1031, 869, c.c. e segg., in relazione agli artt. 1362 c.c. e segg., della L. n. 1150 del 1942, art. 28, nonchè della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, lamentando che la Corte avrebbe omesso di considerare che con la convenzione di lottizzazione i partecipanti si erano reciprocamente obbligati a rispettare quanto previsto nel Piano di lottizzazione, così rinunciando a far valere reciprocamente violazioni attinenti ai rapporti privatistici coinvolti, soprattutto in materia di distanze, ed obbligandosi a conformare i propri comportamenti alla integrale realizzazione delle previsioni del piano.

Pure tale motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia impugnata.

Come già evidenziato, la Corte territoriale, con motivazione adeguata, ha ritenuto che la conformazione dei lotti, quale risultante dalla originaria convenzione di lottizzazione era stata modificata, e dunque superata, dal successivo atto di riordino, che, realizzato con la finalità di riequilibrare tra i partecipanti le rispettive quote di proprietà edificabile in proporzione all’originaria proprietà fondiaria, aveva determinato, mediante i reciproci trasferimenti, il definitivo assetto tra i partecipanti medesimi delle rispettive attribuzioni territoriali.

Non erano dunque più efficaci le reciproche servitù e limitazioni nascenti dal piano di lottizzazione.

Del pari infondata, l’ulteriore censura con al quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe invaso l’ambito riservato all’Autorità amministrativa, revocando sostanzialmente la concessione edilizia n. 10) rilasciata all’odierno ricorrente, il quale, proprio in forza della concessione suddetta, ed in conformità alla previsioni del piano di lottizzazione, aveva intrapreso l’esecuzione dei lavori per cui è causa.

Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, le controversie tra proprietari di fabbricati vicini aventi ad oggetto questioni relative all’osservanza di norme che prescrivano distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo anche a tale materia applicabile il principio secondo il quale nei rapporti tra privati non si pone una questione di giurisdizione, essendo la posizione di interesse legittimo prospettabile solo in rapporto all’esercizio del potere della P.A., che, invece, in tali controversie non è parte in causa. Nè a tal fine rileva l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, atteso che il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto soggettivo, può incidentalmente accertare l’eventuale illegittimità della concessione edilizia medesima, onde disapplicarla (Cass. Ss.Uu. 9555/2002; Cass. Ss.Uu. 21578/2011).

Va infine disattesa la richiesta formulata dal controricorrente di condanna del F. per lite temeraria, da valutarsi ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3, applicabile ratione temporis al presente ricorso, alla luce della complessità della controversia che ne esclude la temerarietà.

La reiezione del ricorso comporta peraltro la condanna del ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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