Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1641 del 23/01/2017


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Cassazione civile, sez. un., 23/01/2017, (ud. 10/01/2017, dep.23/01/2017),  n. 1641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sezione –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del Curatore pro tempore,

domiciliato in Roma, via di Val Gardena 3, presso l’avv. Lucio De

Angelis, rappresentato e difeso dall’avv. Edoardo Staunovo Polacco,

come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.E. e C.R., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Pompeo Magno 10/B, presso lo studio dell’avv. Francesco

Caroleo, che li rappresenta e difende unitamente agli avv. Giorgio

Albe e Cristiano Bettinelli per procure speciali, in atti;

– resistenti –

contro

Diedron s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4213/2013 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 18 novembre 2013;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

uditi i difensori avv. Edoardo Staunovo Polacco – per il fallimento

ricorrente, avv. Francesco Caroleo per i C.;

Udite le conclusioni del P.M. Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano si è pronunciata sulle domande di risarcimento dei danni proposte dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l. nei confronti degli amministratori della società fallita, C.E. e C.R., e della Diedron s.r.l., società in favore della quale erano stati erogati finanziamenti qualificati come ingiustificati ed eseguiti pagamenti contestati come preferenziali nel procedimento penale per bancarotta definito con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

I giudici di appello hanno ribadito l’esclusione della legittimazione del curatore del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. a proporre l’azione di responsabilità degli amministratori della società fallita per pagamenti preferenziali di crediti della Diedron s.r.l., eseguiti in violazione della par condicio creditorum. Hanno ritenuto che l’azione di responsabilità non possa essere esercitata dal curatore nè ai sensi dell’art. 2393 c.c., nè ai sensi dell’art. 2394 c.c., in mancanza di una lesione del patrimonio sociale, di cui il pregiudizio subito dai creditori costituisca un mero riflesso. Infatti, hanno precisato, la lesione della par condicio creditorum conseguente al pagamento preferenziale della Diedron S.r.l. “può al limite generare una contesa tra le posizioni soggettive individuali dei singoli creditori ma non anche un pregiudizio per la massa creditoria considerata nel suo complesso, la quale mantiene, comunque, la medesima consistenza anche in caso di pagamento preferenziale qualunque sia il creditore beneficiato dal pagamento lesivo della par condicio tra quelli aventi diritto a partecipare al concorso”. Del resto, hanno aggiunto, “il pregiudizio subito individualmente da ciascun creditore per effetto dei pagamenti preferenziali eseguiti dalla società prima della dichiarazione di fallimento si delinea compiutamente e definitivamente solo con l’esecuzione del riparto finale nonchè all’esito dell’esperimento infruttuoso o insufficiente di eventuali azioni revocatorie”. Hanno altresì ribadito i giudici d’appello il rigetto della domanda di risarcimento dei danni che il curatore assumeva provocati mediante i finanziamenti alla Diedron s.r.l., ritenendo che mancasse la prova della estraneità di tali erogazioni al rapporto di affitto di azienda intercorso tra le due società.

In parziale riforma della decisione di primo grado, la corte d’appello ha invece accolto la domanda di risarcimento dei danni per l’indebita protrazione dell’attività aziendale anche dopo il manifestarsi dell’insolvenza.

Contro la sentenza d’appello il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione, illustrati anche da memoria; mentre non hanno proposto controricorso gli intimati.

La terza sezione civile di questa corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha chiesto la rimes-sione alle Sezioni unite, ritenendo che sia di particolare importanza la questione di massima della legittimazione del curatore fallimentare a esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società fallita che abbiano eseguito pagamenti preferenziali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il fallimento ricorrente si duole del disconoscimento della sua legittimazione all’azione di responsabilità per i pagamenti preferenziali eseguiti dagli amministratori.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la liquidazione del danno da aggravamento del dissesto derivante dalla protrazione dell’attività aziendale dopo il manifestarsi dell’insolvenza.

Con il terzo e il quarto motivo il ricorrente si duole del rigetto della domanda di risarcimento dei danni derivanti dalle erogazioni effettuate in favore della Diedron s.r.l., benchè qualificate come ingiustificate nel procedimento penale definito con sentenza di patteggiamento.

Con il quinto, il sesto e il settimo motivo il ricorrente si duole del rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta contro la Diedron s.r.l. e censura l’omessa pronuncia sull’eccezione di tardività dell’eccezione di prescrizione proposta dalla Diedron s.r.l..

2.1- E’ il primo motivo d’impugnazione che ha determinato la rimessione del ricorso alle Sezioni unite, in quanto vi si deduce la violazione della L. Fall., artt. 216 e 240, nella parte in cui riconoscono al curatore la legittimazione esclusiva a costituirsi parte civile nel procedimento penale, anche contro il fallito, per i reati previsti nel titolo VI della legge fallimentare, inclusa dunque la bancarotta preferenziale (L. Fall., art. 216, comma 3), che lede l’interesse della massa al pari trattamento dei creditori.

Il fallimento ricorrente rileva infatti che, pur essendo stata ammessa la sua costituzione di parte civile nel processo penale a carico degli amministratori della società fallita, C.E. e C.R., era tuttavia rimasto escluso dal procedimento penale in seguito all’ammissione degli imputati al procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, perchè l’art. 444 c.p.p., comma 2, prevede che in tal caso, “se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda”.

Ha pertanto proposto nella sede propria l’azione civile sia per i danni cagionati dal reato (art. 185 c.p.) sia facendo valere, a norma della L. Fall., art. 146, la responsabilità degli amministratori.

2.2- La questione posta dal fallimento ricorrente, e sulla quale le Sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi, attiene alla possibilità di ricondurre a una “azione di massa” la domanda proposta dal curatore fallimentare per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dal fallito che, “prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti” (L. Fall., art. 216, comma 3).

Secondo la giurisprudenza di questa corte, “nel sistema della legge fallimentare, difatti, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni c. d. di massa – finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo” (Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, m. 590934).

Nel caso in esame si pone tuttavia l’esigenza di affrontare innanzitutto due questioni preliminari.

2.3- Come s’è detto, il fallimento ricorrente, escluso di diritto dal processo penale nel quale s’era costituito parte civile, ha dedotto in questo giudizio un doppio titolo di legittimazione, perchè ha inteso far valere sia la generale azione aquiliana da fatto illecito (art. 185 c.p., e art. 2043 c.c.) sia le specifiche azioni di responsabilità contro gli amministratori L. Fall., ex art. 146, in relazione agli artt. 2393 e 2394 c.c.. La corte d’appello si è pronunciata invece solo sulla legittimazione del curatore a far valere la responsabilità degli amministratori a norma degli artt. 2393 e 2394 c.c.; sicchè potrebbe ipotizzarsi che l’esclusione di questo titolo di legittimazione non valga a escludere anche il titolo di legittimazione ex art. 185 c.p., in quanto concorrente.

Si pone allora il problema di verificare quale possa essere il rapporto tra i due concorrenti titoli di legittimazione dedotti in giudizio, atteso che nella giurisprudenza penale è controverso se vi sia una piena “sovrapponibilità” tra esercizio dell’azione civile nel processo penale ed esercizio dell’azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c., come talora si è ritenuto (Cass., sez. 5^, 16 dicembre 2004, Capozzi, m. 231415), ovvero questa sovrapposizione resti esclusa “già dal rilievo che la prima investe anche il danno non patrimoniale risarcibile, a norma dell’art. 2059 c.c., quando, tra l’altro, il fatto illecito sia appunto astrattamente configurabile come reato” (Cass., sez. 5^, 17 marzo 2016, Lande, m. 267404).

In realtà, come questa corte ha avuto già modo di chiarire, le stesse azioni di responsabilità degli amministratori, benchè esperibili cumulativamente dal curatore fallimentare, hanno e mantengono titoli distinti e autonomi; ma il curatore “non potrebbe pretendere di esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita, cui dette azioni concorrono” (Cass., sez. 1^, 12 giugno 2007, n. 13765, m. 601317, Cass., sez. 1^, 4 dicembre 2015, n. 24715, m. 638140).

Nondimeno l’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c., ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c., ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale (Cass., sez. 1^, 22 ottobre 1998, n. 10488, m. 519978, Cass., sez. 1^, 20 settembre 2012, n. 15955, m. 623922). Sicchè il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l’azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali “azioni di massa” in ragione della L. Fall., art. 146 (Cass., sez. 1^, 3 giugno 2010, n. 13465, m. 613663). E il titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2394 c.c., può certamente risultare riferibile anche al danno da reato ex art. 185 c.p..

D’altro canto, secondo la giurisprudenza di questa corte, “la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c.”, sicchè anche alla responsabilità contrattuale può cumularsi la responsabilità per danno morale (Cass., sez. L, 3 febbraio 2015, n. 1918, m. 634611, Cass., sez. L, 24 febbraio 2006, n. 4184, m. 587299).

Ne consegue che anche per la responsabilità da reato può aversi una responsabilità concorrente, sia contrattuale sia extracontrattuale, degli amministratori della società fallita, perchè a entrambe può essere ricondotto anche il danno lamentato ex art. 185 c.p., e art. 2043 c.c.. E a questa concorrenza di titoli di responsabilità corrisponde una legittimazioni unitaria del curatore fallimentare sia in sede penale sia in sede civile per tutte le azioni esercitabili nei confronti degli amministratori.

2.4- La seconda questione preliminare si pone perchè viene qui in discussione la responsabilità degli amministratori di una società a responsabilità limitata, tale essendo la forma della società fallita.

Infatti, prima della riforma del diritto delle società varata nel 2003, le azioni di responsabilità contro gli amministratori di società a responsabilità limitata erano disciplinate dall’art. 2487 c.c., con un richiamo alle norme sulle società per azioni. Sicchè non si dubitava della legittimazione del curatore del fallimento di una s.r.l. all’esercizio delle azioni di responsabilità, benchè il testo originario della L. Fall., art. 146, richiamasse solo gli artt. 2393 e 2394 c.c., relativi agli amministratori di società per azioni.

Il D.Lgs. n. 6 del 2003, ha poi disciplinato autonomamente la responsabilità degli amministratori di s.r.l., eliminando ogni richiamo alla disciplina delle s.p.a.. Si discute pertanto se il curatore fallimentare sia ancora legittimato all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l..

La questione deve ritenersi tuttavia superata dalla considerazione che la L. Fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.. E questa interpretazione risulta ora confermata dallo stesso legislatore, perchè il nuovo testo della L. Fall., art. 146, come sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede semplicemente che il curatore è legittimato a esercitare “le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori” della società fallita.

Sicchè deve concludersi che il curatore può esercitare qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società (Cass., sez. 1^, 21 luglio 2010, n. 17121, m. 614347).

2.5- Venendo dunque alla questione prospettata dalla terza sezione civile, si rileva che in definitiva il disconoscimento della legittimazione attiva del curatore fallimentare da parte dei giudici del merito si fonda sull’assunto che il pagamento preferenziale possa arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perchè si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito.

Si tratta tuttavia di assunto palesemente erroneo, perchè il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Infatti la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare. Tanto che, secondo la giurisprudenza di questa corte, “in tema di revocatoria fallimentare, la legge in nessun caso richiede l’accertamento di un’effettiva incidenza dell’atto che ne è oggetto sulla “par condicio creditorum”, sicchè è evidente che la funzione dell’azione revocatoria fallimentare è esclusivamente quella di ricondurre al concorso chi se ne sia sottratto, e ciò esclude anche che un’effettiva lesione della “par condicio creditorum” possa assumere rilevanza sotto il profilo dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), essendo evidente che l’interesse del curatore ad agire ha natura procedimentale, in quanto inteso ad attuare il pari concorso dei creditori, e va accertato con riferimento al momento della proposizione della domanda, perchè si fonda sul già dichiarato stato di insolvenza del debitore, non sui prevedibili esiti della procedura concorsuale, mentre potrebbe assumere rilevanza solo l’eventuale impossibilità di qualificare come “bene” la cosa oggetto dell’azione” (Cass., sez. 1^, l settembre 2004, n. 17524, m. 576574, Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7028, m. 591009, Cass., sez. 1^, 19 dicembre 2012, n. 23430, m. 624800).

Del resto, anche dal punto di vista strettamente contabile, il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Vero è che, secondo la giurisprudenza penale, “nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti “de quibus” e non già di qualsiasi altro credito” (Cass., sez. 5^, 12 marzo 2014, Consol, m. 260221, Cass., sez. 5^, 28 maggio 1991, Martelli, m. 187698). Ma ancora una volta la legittimazione del curatore a costituirsi parte civile va accertata “con riferimento al momento della proposizione della domanda”, attenendo alla sua ammissibilità, non al suo fondamento. Come ha chiarito la giurisprudenza penale, infatti, “ai fini dell’ammissibilità della costituzione di parte civile rileva esclusivamente la “legitimatio ad causam” e non anche la persistenza di un danno tuttora risarcibile, la cui valutazione attiene al merito dell’azione risarcitoria e non alla legittimazione a stare in giudizio” (Cass., sez. 4^, 27 settembre 2007, Pasqualetti, m. 237888).

Si può dunque concludere con l’accoglimento del primo motivo del ricorso, enunciando il seguente principio di diritto:

“Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori”.

3. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile, perchè propone censure attinenti al giudizio di fatto relativo alla liquidazione del danno da indebita protrazione dell’attività aziendale dopo la manifestazione dell’insolvenza.

Il ricorrente si duole che l’importo del danno liquidato sia stato decurtato dell’intero debito erariale risalente al 1996 e non vi sia stata computata la perdita dell’avviamento. Ma la motivazione esibita in proposito dai giudici del merito, integrandosi le sentenze di primo grado e d’appello (Cass., sez. L, 22 maggio 2012, n. 8053, m. 623010, Cass., sez. L, 11 febbraio 2011, n. 3367, m. 616039), risulta incensurabile, perchè appartiene appunto al giudizio di fatto l’individuazione dell’effettiva incidenza dell’indebito differimento della liquidazione della società.

4. Sono fondati il terzo e il quarto motivo del ricorso, con i quali il ricorrente censura il rigetto della domanda di risarcimento dei danni derivanti dagli investimenti effettuati in favore della Diedron s.r.l., amministrata dallo stesso C.E..

La corte d’appello ha riconosciuto che la richiesta di applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p., implichi un’ammissione di responsabilità (Cass., sez. L, 29 febbraio 2016, n. 3980, m. 638849), ma ha ritenuto nondimeno carente la prova, incombente al curatore fallimentare, di un effettivo depauperamento del patrimonio sociale.

Tuttavia, come risulta dall’imputazione riportata nel ricorso, l’addebito mosso a C.E. e C.R. con riferimento agli investimenti nella Diedron s.r.l. era riferito all’effettiva capacità della (OMISSIS) s.r.l. di sostenerli e al conseguente aggravamento del dissesto. Sicchè, essendo evidentemente il depauperamento del patrimonio sociale conseguenza necessaria del riconosciuto aggravamento del dissesto, la sentenza d’appello è palesemente contraddittoria. Infatti l’aggravamento del dissesto, per cui i C. hanno ammesso la propria responsabilità, non può esservi senza il depauperamento del patrimonio sociale, di cui la corte d’appello assume carente la prova.

5. Sono infondati il quinto e il sesto motivo del ricorso.

Benchè il ricorrente si dolga di omessa o immotivata pronuncia, i due motivi pongono in realtà la questione della tardività dell’eccezione di prescrizione proposta dalla Diedron s.r.l., perchè, essendo dedotta una decadenza, spetta a questa corte accertare direttamente l’inammissibilità dell’eccezione, quale error in procedendo, indipendentemente dalla pronuncia e dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass., sez. 1^, 30 luglio 2015, n. 16164, m. 636503, Cass., sez. L, 21 aprile 2016, n. 8069, m. 639483). Infatti “l’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale; pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità” (Cass., sez. 1^, 28 luglio 2015, n. 15843, m. 636550).

Ciò posto, deve rilevarsi che, come ben argomentato dal tribunale già in primo grado, non sussiste la dedotta decadenza dall’eccezione di prescrizione formulata dalla Diedron s.r.l. con la memoria D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 7, applicabile ratione temporis.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, nel rito societario, le eccezioni sono proponibili sino alla seconda memoria difensiva depositata D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ex art. 7, comma 1, “in quanto, ai sensi dell’art. 4 del menzionato decreto, le eccezioni non rilevabili d’ufficio non rientrano tra le attività che la parte deve compiere tassativamente con la comparsa di risposta” (Cass., sez. 6^, 18 aprile 2014, n. 9028, m. 631158), come si desume anche dal D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10, comma 2, che prevede quale effetto solo dell’avvenuta notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza la decadenza dalle iniziative relative alla definizione del “thema decidendum” e del “thema probandum” (Cass., sez. 1^, 6 maggio 2016, n. 9135, m. 639598).

6. Con il settimo motivo il ricorrente deduce che comunque l’eccezione di prescrizione proposta dalla Diedron s.r.l. è infondata, perchè vi si applica il termine lungo previsto dall’art. 2947 c.c., comma 3, per la responsabilità da reato, in quanto C.E. era amministratore anche della Diedron s.r.l..

Il motivo è fondato.

Vero è che, secondo la giurisprudenza citata dallo stesso ricorrente, “in tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947 c.c., u.c., per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato)” (Cass., sez. 3^, 16 dicembre 2005, n. 27713, m. 587381). Sicchè è necessario che vi sia una responsabilità almeno indiretta per il fatto costituente reato, perchè possa applicarsi l’art. 2947 c.c., comma 3 (Cass., sez. 3^, 6 febbraio 1989, n. 729, m. 461769, Cass., sez. 6^, 14 novembre 2014, n. 24347, m. 633307, con esplicito riferimento all’art. 2049 c.c.; sez. 3^, 25 luglio 2008, n. 20437, m. 604274, con generico riferimento alla responsabilità indiretta); non è sufficiente che si risponda solidalmente per l’obbligazione risarcitoria conseguente a un fatto cui il coobbligato è estraneo (Cass., sez. 1^, 7 novembre 2014, n. 23872, m. 633174).

Tuttavia nel caso in esame è indiscusso che C.E. operò come amministratore non solo della società fallita ma anche della Diedron s.r.l.. Sicchè la Diedron s.r.l. risponde civilmente per l’illecito penale commesso dal suo amministratore, appunto a norma dell’art. 2049 c.c. (Cass., sez. 1^, 5 dicembre 1992, n. 12951, m. 479917, Cass., sez. 3^, 10 febbraio 1999, n. 1135, m. 523112, Cass., sez. 6^, 28 dicembre 2011, n. 29260, m. 620731). E a tale obbligazione si applica il termine di prescrizione previsto dall’art. 2947 c.c., comma 3, trattandosi di responsabilità indiretta per il medesimo fatto (Cass., sez. 3^, 19 dicembre 2013, n. 28464, m. 629131).

7. In conclusione, dunque, sono accolti il primo, il terzo, il quarto e il settimo motivo del ricorso, inammissibile il secondo, infondati il quinto e il sesto motivo. La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti.

PQM

La Corte accoglie il primo, il terzo, il quarto e il settimo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, rigetta il quinto e il sesto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2017

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