Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16408 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.A.P., S.F., S.G., rappresentati e

difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato

Maria L. Passanante, elettivamente domiciliati in Roma, via

Mirandola n. 20, preso lo studio dell’Avvocato Mario Ranucci;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta n.

890/2014, depositato il 9 luglio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

maggio 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Caltanissetta il 31 agosto 2012, S.A.P., S.F. e S.G. chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un processo di espropriazione immobiliare, iniziato nei loro confronti nel 1993, ancora pendente alla data della domanda;

che la Corte d’appello rigettava la domanda rilevando che dalla documentazione prodotta da parte ricorrente, comprensiva del pignoramento notificato dal creditore Banco di Sicilia su ventitrè immobilie e dall’estratto storico informatico del fascicolo, non era possibile desumere se la procedura esecutiva presupposta fosse stata definita, con conseguente impossibilità di verificare la tempestività della domanda;

che avverso questo decreto S.A.P., S.F. e S.G. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo;

che l’intimato Ministero della giustizia non ha svolto difese.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e art. 3, e 3, comma 5, artt. 6, 8 e 13 della CEDU, nonchè degli artt. 2056 e 1226 c.c., e motivazione insufficiente, incongrua, illogica e contorta, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo non offerta la prova della dedottapendenza del procedimentoespropriativo, e ciò pur se essi ricorrenti avevano fatto richiesta di acquisizione degli atti del procedimento presupposto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, ratione temporis applicabile;

che il ricorso è fondato;

che questa Corte ha infatti affermato il principio, che il Collegio condivide, per cui “in tema di equa riparazione, per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5 – di richiedere alla corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo; difatti la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui all’art. 737 c.p.c. e ss., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001, sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere” (Cass. n. 16367 del 2011; Cass. n. 17873 del 2015);

che la Corte d’appello, all’evidenza, si è discostata da tale principio, ancorchè sulla base dello stesso abbia emesso la propria pronuncia, atteso che ha omesso di considerare che i ricorrenti avevano adempiuto il proprio onere di allegazione riferendo i dati necessari ai fini della individuazione della domanda proposta, e richiedendo, come la normativa ratione temporis vigente consentiva, l’acquisizione di ufficio dei documenti relativi al procedimento presupposto;

che il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio della causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame della domanda e perchè provveda alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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