Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16408 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/07/2017, (ud. 09/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16408

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17807/2013 proposto da:

TRAMONTI SRL, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato VANIA ROMANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato EDOARDO MELLI;

– ricorrente –

contro

P.E., F.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

BIANCHI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIOVANNI SALVATORE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 286/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/01/2013.

Fatto

Con atto di citazione notificato in data 07.04.2008 F.M. ed P.E. convennero innanzi al Tribunale di Pavia la società Tramonti s.r.l. deducendo di aver subito per diversi anni, sin dal loro trasferimento in (OMISSIS), nell’anno 1995, le immissioni sonore provenienti dall’esercizio commerciale sottostante, denominato “Bar (OMISSIS)”, eccedenti il limite della normale tollerabilità, in orario notturno, dalle ore 22 alle ore 6;

in assenza di qualsiasi intervento idoneo ad eliminare tale situazione da parte della società proprietaria del locale, avevano proposto ricorso ex art. 700 c.p.c., chiedendo l’immediata chiusura del bar nella fascia oraria compresa tra le ore 22 e le ore 7, fino a quando non fosse stata accertata la riconduzione delle immissioni sonore nei limiti di legge;

dopo il deposito del ricorso ex art. 700 c.p.c., i gestori del bar avevano dato incarico ad un’impresa di provvedere alla insonorizzazione dei locali;

a seguito di tali lavori di insonorizzazione, il ricorso suddetto era stato abbandonato dagli attori.

Ciò premesso, F.M. ed P.E. chiedevano la condanna della convenuta al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa delle immissioni sonore intollerabili, antecedenti ai lavori di insonorizzazione del locale.

La Tramonti s.r.l., costituitasi, resisteva negando che le immissioni sonore prodotte, anche anteriormente all’effettuazione dei lavori di insonorizzazione, eccedessero la normale tollerabilità, come confermato dal fatto che nessuna lamentela era giunta dalle unità limitrofe.

Il Tribunale di Pavia rigettava la domanda, ritenendo non provata l’esistenza di una vera e propria patologia a carico degli attori e, quindi, l’esistenza di danni risarcibili.

La Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, condannava la Tramonti s.r.l. al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 10.000,00 a favore di F.M. e di Euro 20.000,00 a favore di P.E.. La Corte territoriale, per quanto qui ancora rileva, affermava che con riferimento al F., la carenza di documentazione obiettiva del danno subito comportava la necessità di una valutazione equitativa, mentre, con riferimento alla P., il danno risultava provato sulla base della documentazione medica prodotta.

Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso con due motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c., la Tramonti s.r.l..

F.M. ed P.E. resistono con controricorso, illustrato da memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censura la statuizione di condanna al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa, non sussistendo nè la prova dell’esistenza di un danno risarcibile (e dell’impossibilità della sua quantificazione), nè la prova della perdurante sussistenza di immissioni rumorose oltre la nounale tollerabilità. Contesta altresì la sussistenza del presupposto per dar luogo ad una liquidazione equitativa del danno.

Il motivo è destituito di fondamento.

Secondo il più recente orientamento di questa Corte, il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente da un danno biologico “documentato”, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 Conv. Eur. Dir. Uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (Cass. Ss.Uu. 2611/2017; Cass. 20927/2015 e Cass. 26899/2014).

Ne consegue che, considerata la natura del pregiudizio oggetto di tutela, la relativa prova può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.

A tale orientamento, cui il Collegio ritiene di dare continuità, si è uniformata la Corte territoriale, la quale ha specificamente riconosciuto ai signori F. e P. il risarcimento del danno non patrimoniale, in conseguenza dell’accertata esposizione per diversi anni, nella loro casa di abitazione e per di più prevalentemente nelle ore notturne, ad immissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilità, di per sè fonti di stress, facendo da ciò derivare una lesione della sfera personale e dell’integrità psico-fisica dei medesimi.

Ha dunque riconosciuto il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite al signor F., pur in assenza di prova di un danno biologico documentato, mentre con riferimento alla signora P. ha ritenuto provata, sulla base della ampia documentazione clinica acquisita, la sussistenza di una vera e propria patologia ansioso-depressiva, direttamente causata dalla situazione di inquinamento acustico cui era esposta, ritenendo dunque provata, nei confronti di quest’ultima, con accertamento di fatto adeguatamente motivato, la sussistenza di un vero e proprio danno biologico eziologicamente riconducibile alle immissioni illegittime, con esiti permanenti.

Va del pari respinta le censura avente ad oggetto la liquidazione del danno in via equitativa.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di merito non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. n. 13077/2002).

Nel caso in esame, la Corte territoriale, attesa la particolare natura del danno non patrimoniale riconosciuto, lo ha liquidato in via equitativa, sulla base della natura del pregiudizio e della durata dello stesso, come risulta dallo specifico riferimento a tali criteri, contenuto in motivazione.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5), lamentando che non siano state adeguatamente esaminate e valutate le loro deduzioni in ordine alla realizzazione di interventi che avrebbero ridotto le immissioni intollerabili, alla durata delle stesse, alla mancata prova dell’esistenza di una vera e propria lesione all’integrità psico-fisica e all’assenza di analoghe doglianze da parte di altri inquilini dello stabile.

Il motivo è inammissibile poichè esso non censura l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ma lamenta una insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (Cass. Ss.uu. n. 8053/2014), applicabile ratione temporis al caso di specie, considerato che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 23 gennaio 2013.

Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), infatti, non può consistere nella mera inadeguatezza della motivazione, nè nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale è assegnato alla prova.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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