Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16405 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. I, 10/06/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9574/2016 proposto da:

Presidenza della Regione Campania, nella qualità di Commissario

Straordinario di Governo L. n. 887 del 1984, ex art. 11, in persona

del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Costruire S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Nizza n. 59, presso lo studio

dell’avvocato Astolfo Di Amato, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Alessio Di Amato, giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

Presidenza della Regione Campania, nella qualità di Commissario

Straordinario di Governo L. n. 887 del 1984, ex art. 11, in persona

del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente a ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1848/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/3/2020 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza indicata in esergo, in parziale accoglimento dell’appello dispiegato dalla Presidenza della Regione Campania nella sua veste di Commissario Straordinario di Governo preposto ai sensi della L. 22 dicembre 1984, n. 887, art. 11, comma 18, all’attuazione degli interventi previsti per adeguamento del sistema di trasporto intermodale nelle zone interessate dal fenomeno bradisismico, ha riformato l’impugnata decisione di primo grado che ne aveva pronunciato la condanna a tenere indenne la Costruire s.p.a., affidataria in concessione della realizzazione del deposito di Quarto della ferrovia (OMISSIS), dal danno conseguente al ritardo cui era avvenuto il collaudo dei lavori, riducendo proporzionalmente il tantundem a tal fine liquidato con la sentenza impugnata in considerazione del fatto che il lamentato ritardo era in parte imputabile anche a responsabilità dell’impresa.

Più in dettaglio, previsto in sede di atto aggiuntivo che, ultimati i lavori, il collaudo avrebbe dovuto essere effettuato entro il termine di quattro mesi, era risultato alla stregua degli accertamenti operati dal CTU che i lavori erano stati ultimati in data 27.11.1997, ma che la loro approvazione era intervenuta solo il 19.5.1999, con un ritardo, dunque, rispetto al termine scadente il 27.3.1998, di ben quattordici mesi. Poichè, peraltro, il CTU aveva accertato che ciò era in parte attribuibile anche al ritardo con cui la relativa documentazione era stata trasmessa alla commissione collaudatrice, la Corte decidente si è perciò indotta a credere che la riferita omissione fosse “in parte attribuibile al direttore dei lavori (che comunque nel procedimento in questione era di nomina diretta della stessa concessionaria) ed in parte ascrivibile alla stessa concessionaria, peraltro più volte sollecitata e messa in mora dalla Presidenza della Regione e persino dallo stesso direttore di lavori affinchè fornisse la documentazione indispensabile per la redazione della contabilità finale indispensabile per le operazioni di collaudo”. Dando perciò atto che almeno sino al 5.5.1998 (data in cui il concedente aveva sollecitato Costruire all’inoltro della documentazione) era provato il ritardo dell’impresa, la Corte d’Appello ha provveduto a decurtare dai quattordici mesi di ritardo accertati dal CTU, i primi due mesi, procedendo, all’esito, alla riliquidazione del dovuto.

Avverso la predetta sentenza insorgono ora il Commissario di Governo con ricorso dispiegato in via principale sulla base di un solo motivo e la Costruire con controricorso e ricorso incidentale su due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con l’unico motivo del ricorso principale – che non incorre nella preclusione eccepita ex adverso poichè il tema del ritardo è già acquisito alla sfera del giudizio, sicchè discettare sui criteri che sovrintendono alla sua decorrenza non rappresenta un risvolto valutativo inedito – il Commissario di Governo, incontestati i trascritti presupposti di fatto, si duole dell’illogicità che inficia l’impugnata decisione laddove essa ha fatto decorrere il dies a quo, da cui calcolare il ritardo, dal 5.5.1998 piuttosto che dalla scadenza rispetto a questa data del termine quadrimestrale contrattualmente previsto per far luogo al collaudo delle opere, che avrebbe comportato il contenimento del ritardo in otto mesi. E’ in ragione di ciò evidente, motiva l’impugnante, “l’errore logico-giuridico in cui è incorsa la Corte d’Appello allorchè si è limitata a mantenere la durata totale del ritardo di 14 mesi, defalcandone 2 in quanto imputabili a condotta della Costruire s.p.a., mentre avrebbe dovuto rideterminare ex novo il ritardo come si è visto ammontante a soli 8 mesi e, conseguentemente riquantificare in misura sensibilmente ridotta le somme dovute alla Concessionaria”.

2.2. Il motivo non ha pregio.

Come visto la Corte d’Appello, considerato che in forza dell’art. 15 dell’atto aggiuntivo 13/91 intervenuto tra le parti era stato convenuto che il collaudo sarebbe dovuto avvenire entro il termine di quattro mesi dall’ultimazione dei lavori ovvero entro il 27.3.1998, posto che l’ultimazione di questi era stata certificata il 27.11.1998, e che al contrario il collaudo era stato effettuato nella specie il 19.5.1999, ha quantificato l’entità del ritardo nella durata di quattordici mesi complessivi. Nel far questo ha detratto dal computo l’anzidetto termine quadrimestrale, non potendo all’evidenza essere fonte di ritardo il tempo concordemente stabilito per le operazioni di collaudo, ma solo il tempo successivo alla scadenza del termine entro il quale le operazioni si sarebbero dovute compiere, determinandone, perciò, la durata nell’arco del tempo intercorrente tra il 27.3.1998, data entro cui il collaudo sarebbe dovuto intervenire per accordo tra le parti, ed il 19.5.1999, data in cui il collaudo ebbe luogo.

2.3. Orbene alla luce di queste chiare acquisizioni la tesi dell’impugnante, che vorrebbe far decorrere il termine per il collaudo dalla messa a diposizione dei documenti, mostra di far abilmente gioco su un concetto suggestivo – esplicitato a pag. 12 del controricorso al ricorso incidentale – e cioè che non si possa procedere al collaudo se non si disponga dei documenti a tal fine indispensabili.

2.4. Senonchè, in disparte dalla considerazione che la circostanza non è stata ignorata dal decidente, così ragionando, si finisce di collidere con le ragioni della logica e pure del diritto.

E’ intanto evidente che in tal modo si duplica il termine previsto per il collaudo. Nella ricostruzione della Corte d’Appello esso è infatti correttamente detratto dal calcolo, perchè finchè è in itinere, non vi può essere ritardo, essendo il termine dato per procedere al collaudo dell’opera e, dunque, fino a quando esso non sia inutilmente scaduto, non vi è ritardo. Viceversa seguendo la tesi dell’impugnante il termine per il collaudo viene calcolato due volte, una prima volta all’inizio, in adesione alla ricostruzione del decidente, ed una seconda volta, quando ormai il termine era scaduto, durante l’arco temporale in cui il ritardo si era già determinato. E questo non n’è nell’ordine delle cose, oltre a tradursi in un indebito beneficio per il debitore.

Va da sè, poi, che la tesi dell’impugnante cela un ulteriore vizio poichè opera un’impropria commistione di concetti sovrapponendo diacronicamente il termine per il collaudo al ritardo, quando al contrario, una volta scaduto il primo termine, il concedente che deve collaudare le opere, per il fatto di non averlo fatto nel termine all’uopo stabilito, viene per ciò stesso a trovarsi in ritardo e non può lucrare ex novo una remissione in termini, in quanto tempo del collaudo e tempo del ritardo non sono grandezze scambievoli.

Nè a questo fa ombra la mancata disponibiltà dei documenti, poichè la Corte d’Appello non ha affatto ignorato il rilievo, traendone tuttavia le conseguenze non sul piano del rapporto tra tempo del collaudo e tempo del ritardo, che, anzi, nel suo ragionamento la diversità dei concetti è ben salda, ma sul diverso terreno della modulazione delle responsabilità, riducendo invero l’entità del ritardo imputabile al concedente dai quattordici mesi risultanti dal confronto tra date ai dodici mesi risultante, come annota, “da una più attenta lettura della ricostruzione della vicenda”.

In ultimo, la tesi ricorrente cozza contro la lettera del contratto, da questo ovvero dall’art. 15 dell’atto aggiuntivo 13/91 risultando che il collaudo delle opere doveva intervenire entro quattro mesi dalla loro ultimazione: dunque, non dalla messa a disposizione dei documenti contabili, ma dall’ultimazione dei lavori, sicchè sostenere che il termine debba essere rinnovato, in disparte da ogni altra ragione logica di cui si è dato conto, si traduce in un’operazione contrattualmente inesatta, poichè sostituisce al preciso e vincolante accordo tra le parti su questo terreno un elemento estraneo, quale quello di far decorrere il termine del collaudo non già dall’ultimazione dei lavori, ma dalla messa a disposizione dei documenti indispensabili.

2.5. Il ricorso principale va pertanto respinto.

3.1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale, esaminabili congiuntamente in quanto strettamente avvinti, la Costruire, censurando il capo dell’impugnata decisione d’appello che ha riliquidato il danno da ritardato collaudo sulla durata di dodici mesi piuttosto che sulla base dei quattordici mesi accertati ex tabula, deduce, nell’ordine, un difetto di motivazione, un’errata valutazione delle risultanze istruttorie, nonchè la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., posto che, come risultante dalla CTU esperita nel corso del giudizio, il ritardo addebitato ad essa deducente, ragione dell’operata decurtazione, era in realtà attribuibile al direttore dei lavori, responsabile sia della mancata chiusura della contabilità che della tardiva trasmissione di essa alla commissione incaricata del collaudo: a fronte dell’iter argomentativo illustrato dal perito, “la Corte d’Appello non ha in alcun modo motivato la diversa decisione di attribuire una responsabilità anche alla concessionaria” (primo motivo); la violazione e la falsa applicazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 47, 52 e 62, motivazione carente ed errata valutazione dei presupposti, posto che la decisione di ascrivere anche alla responsabilità della concessionaria il ritardo con cui i documenti contabili erano stati trasmessi alla commissione esaminatrice non si accorda con i compiti e le responsabilità specificatamente ricadenti sul direttore dei lavori: “in buona sostanza nel capo della sentenza impugnata la Corte d’Appello attribuisce alla Concessionaria e senza alcun nesso causale, la responsabilità del direttore dei lavori per non aver adempiuto ai doveri ad esso spettanti, sia convenzionalmente che per legge” (secondo motivo).

3.2. Entrambi i motivi – che non incorrono segnatamente nella preclusione opposta dal controricorrente in ragione della pretesa novità della questione che vi è accennata, giacchè il tema della responsabilità del direttore dei lavori, ove non se ne faccia materia per una chiamata in correità del medesimo, non è stato affatto ignorato dal decidente, come vedremo – non godono, peraltro, di alcuna meritevolezza, insistendo su profili della vertenza che si sottraggono al giudizio di questa Corte.

3.3. Numerosi sono gli indici che spingono in questa direzione.

Intanto non rispecchia l’effettiva realtà processuale, come scolpita in motivazione del provvedimento impugnato, l’asserzione secondo cui la responsabilità del ritardo con cui la commissione collaudatrice ricevette i documenti indispensabili all’approvazione delle opere dovrebbe ricadere interamente sul direttore dei lavori. Non è invero secondario che nella “più attenta lettura della ricostruzione della vicenda” a cui ha proceduto il decidente, circa il punto del ritardo imputato dal CTU alla circostanza de qua, questo, pur non negando una responsabilità del direttore dei lavori (“induce a ritenere che quelle omissioni furono in parte attribuibili al direttore dei lavori”), testualmente annota che quelle omissioni sono “in parte ascrivibili alla stessa Concessionaria, peraltro più volte sollecitata e messa in mora dalla Presidenza della Regione e persino dello stesso direttore dei lavori, affinchè fornisse la documentazione indispensabile per la redazione della contabilità finale indispensabile per le operazioni di collaudo”.

Dove la precisazione che la decisione così assunta è frutto di “più attenta lettura della ricostruzione della vicenda” con quel che segue assume un triplice significato. Conferma innanzitutto che la Corte d’Appello non ha minimamente omesso di occuparsi del ruolo giocato nel contesto di causa dal direttore dei lavori, onde non si può ritenere che il motivo, facendo leva su di esso per sminuire la responsabilità del ritardo della deducente, abbia introdotto nel giudizio una questione nuova, ove, come detto, se ne intendano però esattamente i termini e non si veda nella sua prospettazione una questione – questa si effettivamente nuova – per mezzo della quale si pretenda di accollare l’intera responsabilità dell’occorso alla condotta negligente del direttore dei lavori. Registra, poi, alla stregua degli esiti istruttori di fonte peritale, che la responsabilità della concessionaria non può essere revocata in dubbio, neppure nel preteso concorso del direttore dei lavori, se persino questi ne sollecitò la trasmissione dei documenti indispensabili per le operazioni di collaudo, onde nell’apprezzamento della Corte d’Appello la responsabilità del direttore dei lavori non elide la responsabilità della concessionaria, peraltro, secondo lo stesso decidente, da contenersi, a fronte della preponderante ricaduta di essa sul concedente, nel ristretto termine di due mesi. Rimarca, infine, – che è, a quel che preme, il risvolto qui più importante – la preannunciata preclusione cui va incontro la cognizione del tema da parte di questa Corte, giacchè ne è innegabile la manifesta radice meritale, chiedendosi, in definiva, che la Corte di Cassazione, quasi fosse un giudice avanti al quale celebrare un terzo grado di giudizio, ponga rimedio ad una decisione ritenuta ingiusta, sostituendo a quello del giudice d’appello il proprio giudizio maturato alla stregua di un rinnovato apprezzamento delle risultanze istruttorie.

Nè, ovviamente, si prestano a questo ufficio le lagnanze esternate in ciascun motivo: quelle motivazionali declinate con il primo di essi, risultando infatti del tutto estranee al predicato normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed, anzi, nella prospettiva evocata, che più volte fa cenno ad un preteso vizio di motivazione insufficiente, palesando l’aspirazione del deducente ad una renovatio ludici; quelle in diritto, riprese nel secondo, potendo, all’evidenza, costituire ragione di esame se si fosse contestato alla Corte d’Appello di aver erroneamente negato la responsabilità del direttore dei lavori e non di averne semplicemente fatto materia del proprio argomentare.

3.4. Il ricorso incidentale va dunque dichiarato inammissibile.

4. Le spese, stante la reciprocità della soccombenza possono, essere integralmente compensate.

Ove dovuto, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, a carico di entrambe le parti.

PQM

Respinge il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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