Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16404 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. I, 30/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5032/2019 proposto da:

A. O. A., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di

posta elettronica avv.briganti.pec.iusreporter.it, rappresentato e

difeso dall’avv. Giuseppe Briganti, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 24/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- A. O. A., proveniente dalla terra del Nigeria del sud, ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) e pure di diniego del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato in data 24 dicembre 2018, il Tribunale ha rigettato il ricorso.

2.- La pronuncia ha in particolare rilevato che il racconto del richiedente risulta non credibile, in quanto non circostanziato e contraddittorio nei suoi punti cardinali; che inoltre evidenzia la commissione di un “reato grave di diritto comune”; che, secondo report accreditati (HRW, Africa Confidential, Africa Intelligence, 2017/2018), il sud della Nigeria non si manifesta interessato da vicende riconducibili ai presupposti indicate nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14); che, se la situazione attuale del Paese gambiano non denuncia compromissioni di diritti umani, il ricorrente non ha dato indici di avvenuta integrazione in Italia, nè mostra di possedere una condizione di vulnerabilità specifica alla propria persona.

3.- Avverso questo provvedimento A. O. A. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi.

Il Ministero non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Col primo motivo, il ricorrente assume la nullità del decreto impugnato, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 1 e 13, artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6, in ragione delle “lacune motivazionali in esso presenti”.

Col secondo motivo, il ricorrente lamenta, in via subordinata, la violazione dell’art. 3 CEDU, art. 10 Cost., comma 4, art. 27 Cost., comma 2, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27 e 32, art. 16 Dir. eur n. 2013/32, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7,10,14,16.

Col terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost., D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e 35 bis, art. 16 Dir. eur. n. 2013/32, degli artt. 2, 3 – anche in relazione all’art. 115 c.p.c. – D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7,14,16,32, T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Col quarto motivo, lamenta la violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, dell’art. 47Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 46 Dir eur. n. 2013/32.

5.- Il primo motivo assomma in sè una nutrita serie di censure, che toccano in modo promiscuo più e diversi profili della decisione impugnata. La quale – si afferma – è contraddittoria: dopo avere valutato non credibile il racconto del richiedente, su contenuti dello stesso fonda il giudizio di condizione ostativa data dalla commissione di un grave reato). Omette, inoltre, di esplicitare le ragioni per cui il reato in questione dovrebbe essere considerato come grave. Omette, altresì, di esplicitare le ragioni per cui il racconto è da ritenere non credibile. In nessuna considerazione è tenuto, poi, il fatto che in Nigeria è prevista la pena di morte. Il Tribunale omette di dare conto delle ragioni per cui non ha tenuto conto del percorso migratorio del richiedente; come pure omette di dare conto del perchè non ha tenuto conto del percorso di integrazione lavorativa compiuto dal richiedente.

6.- Il motivo è inammissibile.

Esso si sostanzia in una continua richiesta di revisione completa dei termini materiali della fattispecie concreta, così insistendo per un giudizio per contro precluso all’esame di questa Corte (per tutte v., da ultimo, Cass., 26 giugno 2020, n. 12952). Lo stesso richiamo del ricorrente a pretese “lacune motivazionali”, peraltro insussistenti, risulta possedere – nel concreto della fattispecie e in termini paradigmatici – tutte le caratteristiche dello strumento utilizzato per aprire in modo surrettizio le porte del giudizio di merito.

Ciò posto, è appena il caso di aggiungere che non vi è alcuna contraddizione nella motivazione del decreto impugnato, posto che il tema della condizione ostativa, data dal reato commesso, è affrontata in termini di alternatività rispetto a quella di non credibilità.

Tutt’altro che assente è, poi, la motivazione relativa alla valutazione di non credibilità del narrato, posto (se non altro) che la pronuncia si spinge sino a segnalare la differenza della versione fornita in sede amministrativa rispetto a quella data in udienza. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la valutazione di non credibilità preclude in sè stessa ogni ulteriore valutazione in punto di diritto di diritto di rifugio e di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b.

Quanto poi alla valutazione della gravità del reato, che emerge dal racconto del richiedente, lo stesso riscorso riporta trascrivendo il testo del ricorso avanti al Tribunale – la dichiarazione di questi di “essersi macchiato di gravi crimini fra i quali alcuni omicidi” (ricorso per cassazione, p. 4).

Lo sviluppo del ricorso non contiene – va ancora segnalato per completezza – particolari indicazioni sul percorso migratorio del richiedente; nè illumina in qualche modo specifico sui termini dell’assunta integrazione lavorativa del medesimo.

7.- Il secondo motivo di ricorso, “richiamando quanto già sopra argomentato in relazione al precedente motivo di ricorso”, svolge una serie di considerazioni generali circa la rilevazione della condizione ostativa del grave reato commesso del richiedente.

Il motivo è da ritenere inammissibile, posto che – come già osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso – la motivazione resa dal Tribunale in tema di condizione ostativa si palesa semplicemente alternativa rispetto a quella di non credibilità del racconto narrato del richiedente, in sè stessa comunque sufficiente.

8.- Il terzo motivo si esaurisce nel richiamare le norme menzionate in rubrica, per sostenere in termini indeterminati che le argomentazioni svolte nei “precedenti motivi” dimostrerebbero la sussistenza della loro violazione.

Come si vede, si tratta di motivo totalmente generico. Del resto, la ritenuta inammissibilità dei “precedenti motivi” non potrebbe comportare altra sorte per il motivo adesso in esame.

9.- In conclusione, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile. Non vi è luogo per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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