Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16403 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. I, 10/06/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9105/2016 proposto da:

B.M.T., B.C., elettivamente domiciliate in

Roma, Via Ronciglione n. 3, presso lo studio dell’avvocato Fabio

Gullotta, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Andrea Buffolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Roma Capitale, in persona del commissario pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21, presso

l’Avvocatura Capitolina, rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico

Maggiore, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1629/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/3/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M.T. e C. si dolgono – e per questo ne invocano la cassazione sulla base di due motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, cui resiste Roma Capitale con controricorso delle statuizioni adottate dalla Corte d’Appello di Roma che con la sentenza in epigrafe, respingendone il gravame, ha confermato l’impugnata decisione di primo grado nella parte in cui aveva liquidato il danno lamentato per l’occupazione illegittima di un fondo di loro proprietà nella misura pari al 5% dell’indennità di esproprio, riconoscendo a tal fine la somma di Euro 6447,84.

Il giudice territoriale, in replica dell’argomento opposto dalle appellanti secondo cui la liquidazione avrebbe dovuto fare applicazione del diverso criterio degli interessi legali su base annua calcolati sull’indennità di esproprio, ha osservato che, benchè detto criterio sia, certamente, utilizzabile, nondimeno l’adozione di esso “non solo non è obbligata, ma è comunque sempre subordinata alla assenza di prove in grado di dimostrare l’esatta misura del danno subito dal proprietario dell’immobile”, di modo che trattandosi, come chiarito anzitempo dalla giurisprudenza di legittimità, di criterio equitativo e sussidiario provvisto di una valenza solo presuntiva, si chè “il giudicante è libero di adottare criteri diversi qualora questi siano più adeguati rispetto al caso portato al suo esame”, legittimamente il Tribunale ne aveva ricusato l’applicazione, motivandone le ragioni senza contestazioni delle appellanti, limitatesi a sostenere l’obbligo del Tribunale di liquidare il danno lamentato applicando il criterio dell’interesse legale annuo calcolato sull’indennità di esproprio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso le B. lamentano l’erroneità dell’impugnato pronunciamento, poichè, dove aveva rivendicato alla libertà del decidente l’utilizzo di criteri diversi da quello patrocinato da esse ricorrenti, era incorso tanto nella violazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 50, dato che “ai fini della determinazione dell’indennità di occupazione legittima si sarebbe dovuto fare riferimento a quanto stabilito dall’art. 50 del T.U. Espropri (D.P.R. n. 327 del 2001), liquidando perciò il danno nella misura di un dodicesimo dell’indennità di esproprio (primo motivo); quanto del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis, comma 3, dato che, se non si potesse applicare il criterio degli interessi legali annui calcolati sull’indennità di esproprio o il diverso criterio del D.P.R. n. 327 del 2001, già citato art. 50, “di certo non potrebbe sfuggirsi al criterio legale introdotto nelle more del giudizio dal nuovo art. 42 bis del T.U. in materia espropriativa”. liquidando il dovuto in base al 5% annuo sempre commisurato all’indennità di esproprio (secondo motivo).

3. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente stante l’unitarietà della censura, sono infondati e non meritano pertanto adesione.

E’ bene previamente rammentare che l’odierna vicenda processuale trae innesco da una procedura di esproprio nel dar corso alla quale l’allora Comune di Roma aveva proceduto ad occupare abusivamente una porzione del terreno in proprietà ora delle B. più estesa di quella oggetto poi di concreta ablazione. Mentre i diritti delle B. all’indennità di esproprio e di occupazione maturati in relazione ai beni oggetto della procedura venivano ad essere bonariamente composti nel contesto di una cessione volontaria di questi, a cui si aggiungeva anche la cessione della porzione di essi che era stata solo occupata, contrasto tra le parti permaneva invece in ordine all’illecito consumatosi per effetto dell’occupazione illegittima di quella parte della proprietà non interessata agli esiti della procedura, onde le B. convenivano in giudizio il Comune al fine di sentirne pronunciare la condanna al risarcimento del danno patito per l’illegittima occupazione del fondo.

Dunque nei suoi tratti essenziali la vicenda de qua non decampa dal quadro di un’ordinaria fattispecie di risarcimento del danno da fatto illecito.

4. Ora, come la giurisprudenza di questa Corte confrontandosi con questa fattispecie ha ormai chiarito da decenni (Cass., Sez. I, 10/03/2010, n. 5840; Cass., Sez. I, 27/08/2004, n. 17142; Cass., Sez. I, 27/02/2003, n. 2952), il risarcimento del danno sofferto dal proprietario per tutto il periodo in cui si è protratta l’illegittima detenzione del bene da parte della P.A., comprensivo, secondo il decalogo dell’art. 1223 c.c., così della perdita subita dal creditore, come del mancato guadagno, allorquando non sia altrimenti determinabile per l’impossibilità di stimare la perdita dei frutti ovvero perchè il proprietario del bene non fornisca la prova di un danno maggiore, può essere determinato dal giudice di merito in base un criterio equitativo e sussidiario di liquidazione, quale esemplificativamente quello che si ritrae dall’art. 68 della Legge Fondamentale ovvero dall’art. 1591 c.c., o quello, più largamente applicato di calcolare il pregiudizio in misura pari al tasso legale di interesse per ogni anno di occupazione sulla somma corrispondente all’indennità di espropriazione del fondo, o ancora, all’indennità per la corrispondente occupazione legittima normativamente prevista. L’ampio panorama di criteri valutativi che in tal modo si offre al giudizio del decidente, nel mentre assolve al compito di veicolarne la discrezionalità verso un approdo non arbitrario, giacchè il giudice è tenuto a motivare in relazione alla particolarità del caso concreto la scelta del criterio adottato, rafforza indirettamente la convinzione che nella liquidazione del danno da occupazione illegittima nessuno dei criteri in astratto utilizzabili goda di una vincolante garanzia di legge, onde il decidente, salvo l’obbligo motivazionale che gli pertiene nel giustificare la scelta operata in concreto, dispone di una libertà di apprezzamento in grado di orientarne il giudizio in coerenza con la funzione riparatrice della responsabilità da fatto illecito che deve reintegrare il danneggiato per quanto più è possibile del pregiudizio sofferto e che impone perciò di correlare l’entità del ristoro dovuto all’entità del pregiudizio effettivamente sofferto.

5. E’ dunque evidente che, essendosi mosso in questa logica ed avendo di ciò fornito doverosa giustificazione a mezzo di motivazione che, annota la Corte d’Appello, “coglie una particolarità del caso di specie che è certamente significativa”, nessuna censura potesse appuntarsi alla decisione di primo grado; e nessuna censura può pertanto appuntarsi alla decisione qui impugnata che il criterio equitativo di stima adottato dal primo giudice abbia ritenuto legittimo in assenza di un diverso criterio di fonte legale.

6. Nè all’affermazione che a ciò, dunque, consegue ovvero che nella stima del danno da occupazione legittima, in difetto di una diversa prova, segnatamente in punto di lucro cessante, il decidente, che sia richiesto del relativo risarcimento, legittimamente, con il solo vincolo di motivarne le ragioni, possa procedere anche a mezzo di un criterio equitativo di liquidazione, sono opponibili le obiezioni di cui si rendono interpreti entrambi i motivi di ricorso.

In disparte, per vero, dalla considerazione di massima che, se la materia, in mancanza di un espresso comando normativo ubbidisce al principio, proprio della responsabilità da fatto illecito, secondo cui il risarcimento del danno deve essere pieno ed effettivo e deve mirare perciò all’integrale reintegrazione del danneggiato nella situazione antecedente all’illecito, i diversi criteri indicati dalle ricorrenti, nessuno dei quali specificatamente dettato per disciplinare la fattispecie de qua, non si collocano, in ogni caso, al di fuori dell’orbita discrezionale entro cui si esercita la scelta del giudice e sono perciò equiordinati rispetto agli altri criteri in astratto utilizzabili, l’approccio che si vuole in tal modo coltivare trova immediato ostacolo nella constatazione che le fattispecie evocate mediante il richiamo al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50, da un lato, e al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis, dall’altro, non sono minimamente sovrapponibili alla fattispecie dell’occupazione di un fondo che si protragga oltre la scadenza del termine di occupazione legittima, senza che peraltro si verifichi la perdita della proprietà per irreversibile trasformazione. Seppure è vero, riguardo alla prima che la compressione del diritto dominicale conseguente all’occupazione senza titolo non è diversa da quella che ha luogo con l’occupazione d’urgenza, nondimeno rispetto a questa, che è, comunque, preordinata al perfezionamento della procedura ablatoria il legislatore riconosce soltanto “il massimo di contributo e di riparazione che nell’ambito degli scopi di generale interesse la p.a. può garantire all’interesse privato” e non l’integrale ristoro del pregiudizio sofferto che va invece riconosciuto in caso di occupazione abusiva; riguardo alla seconda, invece, la finalità risarcitoria che le accorda la norma e che appare giustificata in relazione all’indubbia illiceità che connota l’occupazione sine titulo, è destinata, tuttavia, a stemperarsi non appena si rifletta che il ristoro così accordato è il segmento di una più ampia fattispecie regolata in funzione riparatrice di una pregressa condotta illecita della P.A. attraverso una legittimazione ex post del procedura che assicura una tendenziale omologazione del ristoro dovuto per l’occupazione al modello risultante dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, tanto da adottarne il criterio della commisurazione al valore di mercato; onde nè dall’una nè dall’altra si ricava un criterio valutativo in grado di primeggiare rispetto agli altri e di vincolare perciò il giudice nella propria determinazione di stima.

7. Il ricorso va dunque respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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