Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16403 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.04/07/2017),  n. 16403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11100/2013 proposto da:

ISTITUTO DELLE FIGLIE DELLA MISERICORDIA E DELLA CROCE c.f.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LELIO GURRERA;

– ricorrente –

contro

OPERA PIA ISTITUTO REGINA ELENA E VITTORIO EMANUELE c.f. (OMISSIS),

domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALESSANDRO REALE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso ex art. 366 c.p.c. (Sezioni Unite n. 5698/2012) e per la

condanna alle spese;

udito l’Avvocato LELIO GURRERA, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO REALE, difensore del controricorrente,

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – L’ente ecclesiastico “Istituto delle Figlie della Misericordia e della Croce”, avente sede in Palermo, convenne dinanzi al Tribunale di Trapani, l’Opera Pia “Istituto Regina Elena e Vittorio Emanuele II”, esercitando azione di rivendica relativamente ad alcuni immobili siti in (OMISSIS), contrada “(OMISSIS)”, dei quali chiese il rilascio.

L’Opera Pia convenuta resistette alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, la declaratoria dell’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione.

2. – A conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della pronuncia di primo grado, accolse la domanda riconvenzionale proposta dalla detta Opera Pia, dichiarando che quest’ultima era divenuta proprietaria, per usucapione, degli immobili rivendicati dall’attore.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Istituto delle Figlie della Misericordia e della Croce sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso l’Opera Pia Istituto Regina Elena e Vittorio Emanuele II.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal P.G. in relazione al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente, infatti, non si è limitato a riprodurre nel ricorso, con la tecnica dell’assemblaggio, gli atti processuali dei giudizi di merito, ma ha collegato il contenuto di tali atti con l’illustrazione del loro significato e con le opportune integrazioni, cosicchè deve ritenersi adempiuto l’onere di esposizione sommaria dei fatti della causa, posto dall’art. 366 c.p.c., n. 3.

2. – Passando all’esame del ricorso, l’Istituto ricorrente ha formulato i seguenti motivi:

1) vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello erroneamente valutato le risultanze della C.T.U. e della documentazione prodotta;

2) vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte territoriale omesso di valutare tutte le prove testimoniali assunte;

3) vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte territoriale, in contrasto con le risultanze delle deposizioni testimoniali acquisite, escluso che l’Istituto attore avesse il possesso degli immobili prima della costruzione realizzata dalla convenuta;

4) vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte di Appello riconosciuto in capo all’attore il diritto di proprietà degli immobili rivendicati;

5) vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte territoriale errato nel valutare il contenuto delle lettere prodotte in atti, risalenti agli anni 1980 e 1988;

6) vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere infine la Corte territoriale erroneamente valutato la deposizione del teste D.L..

2. – Tutte le doglianze sono inammissibili.

Il ricorrente, infatti, critica – nella sostanza – la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale. La valutazione delle prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o illogicità della motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.

Le Sezioni Unite di questa Corte, sul punto, hanno avuto occasione di precisare che “Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati” (Cass., Sez. U, n. 898 del 14/12/1999). Hanno ancora precisato che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. Non sussiste, invece, tale vizio ove vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente in ordine agli elementi delibati, non essendo possibile una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito al fine di ottenere una nuova pronuncia sul fatto (Cass., Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione, valutando gli elementi di prova acquisiti (anche con riferimento alla deposizione del teste D.L.). I giudici di merito, in particolare, hanno riconosciuto l’originario titolo di proprietà dell’istituto attore, ma hanno riconosciuto anche il successivo acquisto per usucapione in favore dell’Opera Pia convenuta (considerando sul punto, tra l’altro, che i beni rivendicati si trovano all’interno di una recinzione fatta costruire dalla Opera Pia; che l’Opera Pia formulò istanza di contributo per la costruzione della sede attuale fin dal novembre nel 1961; che le suore operarono all’interno della struttura con compiti meramente esecutivi e in posizione di subordinazione rispetto alla Opera Pia). Non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del ricorrente sul punto.

Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.

E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass., Sez. 3, n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nella specie è dato riscontrare.

3. – Il ricorso deve pertanto essere dichiarato rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

4. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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