Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16400 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.04/07/2017),  n. 16400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16557-2013 proposto da:

C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE ACCADEMIE 47, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE

NERIO CARUGNO, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

LAUDANTE;

– ricorrente –

contro

D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CASTRENSE

7, presso lo studio legale PLACIDI e rappresentato e difeso

dall’Avvocato FRANCESCO PETRELLA;

– controricorrente –

nonchè contro

D.A., D.M., D.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 382/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata l’01/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. DONGIACOMO GIUSEPPE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.S. ha proposto opposizione al decreto con il quale il presidente del Tribunale di Santa Maria C.V., in data 25/10/1990, gli aveva ingiunto di pagare a D.G., in forza di un assegno tratto il (OMISSIS) sul Banco di Napoli e rimasto insoluto, la somma di Lire 100.000.000, oltre interessi e spese.

A sostegno dell’opposizione, il C. ha dedotto di aver adempiuto il debito, tramite pagamento in contanti.

D.G., costituendosi in giudizio, ha eccepito che l’opponente non ha offerto alcuna prova dell’intervenuto pagamento.

Il Tribunale di Santa Maria C.V., dopo aver ammesso ed espletato l’interrogatorio formale dell’opposto ed aver assunto prove testimoniali, con sentenza del 31/5/2005, ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo opposto.

D.G. ha proposto appello avverso tale sentenza deducendo, tra l’altro, la nullità del procedimento e della, sentenza per aver il tribunale, con ordinanza del 3/3/2003 ammesso la prova testimoniale senza attendere la scade del termine fino al 16/3/2003 concesso per il deposito di note, e l’inammissibilità della prova orale ammessa per violazione dell’art. 244 c.p.c. e art. 2721 c.c..

C.S. ha chiesto il rigetto dell’appello in quanto infondato.

La corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata l’1/2/2013, ha accolto l’appello e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato l’opposizione proposta da C.S. confermando il decreto ingiuntivo pronunciato dal tribunale di Santa Maria C.V. il 25/10/1990.

A sostegno della decisione, la corte – dopo aver rilevato la nullità della sentenza appellata in quanto resa all’esito di un procedimento nel quale il giudice ha pronunciato con ordinanza del 25/2.3/3/2003 sull’ammissione dei mezzi istruttori prima che scadesse il termine di venti concesso all’udienza del 24/2/2003 per il deposito di note illustrative, come eccepito dall’opposto che, alla successiva udienza del 7/5/2003, ha chiesto la revoca dell’ordinanza – ha, in sostanza, affermato, da un lato, che l’assegno bancario costituisce, nei rapporti tra traente e prenditore, una promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c., con la conseguente configurabilità di una presunzione relativa di esistenza del rapporto sottostante, salva la prova contraria da parte del debitore dell’invalidità o estinzione dello stesso, laddove, nella specie, il debitore ha eccepito l’intervenuto pagamento ma il possesso dell’assegno da parte del creditore dimostra piuttosto il suo mancato pagamento, e, dall’altro lato, che la prova testimoniale ammessa ed assunta in giudizio è, in realtà, inammissibile: innanzitutto, in quanto dedotta per dimostrare il pagamento senza che siano indicati il luogo, la data e le modalità dell’atto, in violazione dell’art. 244 c.p.c., ed, in secondo luogo, in quanto ammessa, senza alcuna motivazione, in violazione dei limiti di valore stabiliti dall’art. 2721 c.c., come la controparte ha tempestivamente eccepito.

C.S., con ricorso spedito per la notifica il 27/6/2013 ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, che non risulta notificata (e depositata in copia autenticata), della corte d’appello.

Con controricorso, notificato il 17.24/9/2013, resiste D.R., nella dedotta qualità di coerede di D.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censura la decisione impugnata per non aver considerato che l’ordinanza del 25/2/2003, con la quale il giudice ha ammesso la prova testimoniale senza attendere la scadenza del termine concesso per il deposito di note illustrative, è stata comunicata alle parti solo il 18/3/2003 e, quindi, oltre la scadenza del termine assegnato, che, peraltro, il D. ha fatto spirare senza aver svolto alcuna attività e senza aver subito alcun pregiudizio.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, contestando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2721 ss c.c., censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che l’opposto aveva eccepito, all’udienza del 7/5/2003, l’inammissibilità della prova testimoniale, laddove, in realtà, nulla aveva eccepito, dovendosi, di conseguenza, escludere che tale violazione potesse essere oggetto di motivo di appello ed essere valutata dal giudice del gravame.

3. I motivi di ricorso (al di là della loro corretta intitolazione) vanno esaminati congiuntamente e sono palesemente inammissibili.

Quando il motivo di ricorso per cassazione riguarda la valutazione da parte del giudice di merito di atti processuali, è, infatti, necessario specificare la sede in cui, nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, essi siano rinvenibili, sicchè, in mancanza, il ricorso è inammissibile per l’omessa osservanza del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) (Cass. n. 22607/2014).

Nel caso in esame, invece, il ricorrente non ha indicato, nell’articolazione del motivo o altrove, se e dove gli atti processuali che documenterebbero i fatti che ha eccepito (e cioè, rispettivamente, la data di comunicazione dell’ordinanza del 25/2/2003 e la mancata eccezione di inammissibilità all’udienza del 7/5/2003) sono stati prodotti (ai diversi effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) nel presente giudizio ed, in caso positivo, dove sarebbero esaminabili, in tal modo violando il requisito dell’indicazione specifica degli atti processuali, siccome stabilito dall’art. 366 c.p.c., n. 6, ed inteso dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale sottolinea come, fra i suoi contenuti vi sia anche la specificazione della sede in cui nel giudizio di legittimità è possibile rinvenire gli atti processuali (ed i documenti) su cui il ricorso si fonda e lo fa precisando (Cass. n. 7455/2013) che la norma costituisce il precipitato normativo del cd. principio di autosufficienza dell’esposizione dei motivi di ricorso per cassazione, già elaborato in precedenza dalla giurisprudenza della stessa Corte e comprensivo di detta indicazione (Cass. n. 22607/2014).

4. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, d’ufficio, in dispositivo.

6. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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