Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 164 del 04/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/01/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 04/01/2011), n.164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.T., rappresentata e difesa, giusta delega del ricorso,

dall’Avv. SAVIA Orazio Salvatore, domiciliata presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/41/2006 della Commissione Tributaria

Regionale di Milano, Sezione n. 41, in data 22.06.2006, depositata il

07.07.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09 novembre 2010 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Presente il Procuratore Generale Dott. Raffaele Ceniccola.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte:

Considerato che nel ricorso iscritto al n. 13071/2007 R.G. è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1 – E’ chiesta la cassazione della sentenza n. 50/41/2006, pronunziata dalla C.T.R. di Milano, Sezione n. 41, il 22.06.2006 e DEPOSITATA il 07 luglio 2006.

Con tale decisione, la C.T.R. ha rigettato l’appello della contribuente e confermato la legittimità della pretesa fiscale.

2 – Il ricorso, che attiene ad impugnazione dell’avviso di rettifica, ai fini dell’imposta di Registro per l’anno 2002, censura l’impugnata decisione, deducendo la nullità dell’accertamento in rettifica, sotto diversi profili.

3 – Ai ricorsi proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati a partire dal 2.03.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo ivi descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

In buona sostanza, i motivi appaiono inammissibili, giacchè non risulta formulato alcun conferente quesito di diritto, risultando solo prospettato un generico interpello in ordine ad atti e comportamenti poste in essere dall’Amministrazione finanziaria (Cass. SS.UU. n. 20603/2007, n. 20360/2007, n. 23732/2007).

4 – Le formulate doglianze, appaiono, altresì, prive della necessaria riferibilità e specificità, non risultando esplicitati gli elementi e le ragioni alla cui stregua, – stante la motivazione della decisione di appello, che ha giustificato il decisum, nella sostanziale considerazione della legittimità dei criteri e degli elementi, utilizzati dall’Ufficio per la determinazione del valore dell’avviamento e dell’insussistenza di un generale obbligo di applicare le decisioni adottate da altri Giudici, la stessa dovesse considerarsi nulla.

4 bis – Le censure, sembrano, quindi, formulate in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la parte, in sede di ricorso per cassazione, ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al Giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti ed alle risultanze processuali (Cass. n. 849/2002, n. 2613/2001, n. 9558/1997).

D’altronde, costituisce pacifico principio quello secondo cui per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza (Cass. n. 9368/2006, n. 1014/2006, n. 22979/2004).

Ulteriori profili di inammissibilità delle doglianze, sembra debbano cogliersi, per un verso, nel fatto che le stesse appaiono rivolte contro l’accertamento impugnato, mentre con il ricorso di legittimità le censure devono essere rivolte contro la decisione di appello ed i relativi errori (Cass. n. 5714/1996, n. 5083/1998, n. 3986/1999), e sotto altro aspetto, che le doglianze risultano genericamente formulate, non contenendo puntuale indicazione delle norme che si assumono violate (Cass. n..828/2007, n. 224499/2006).

5 – Si ritiene, dunque, sussistano i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio e la relativa definizione, con declaratoria di rigetto del ricorso per inammissibilità, o per manifesta infondatezza, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Il Relatore Cons. Dott. Antonino Di Blasi”.

Vista la relazione, il ricorso, il controricorso e tutti gli altri atti di causa;

Considerato che il Collegio condivide le argomentazioni, in fatto ed in diritto, svolte nella relazione;

Ritenuto che, in base a tali condivisi motivi ed ai richiamati principi, il ricorso va rigettato;

Considerato che le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi Euro seicento, di cui Euro cinquecento per onorario ed Euro cento per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge;

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia Entrate, delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro seicento, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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