Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16396 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/07/2017, (ud. 10/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20903/2012 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE E D’ALTA SPECIALIZZAZIONE

OSPEDALE CIVICO – (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

LEONARDO DA VINCI, 5, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA DE

JULIO, rappresentata e difesa dall’avvocato CATERINA RIZZOTTO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.I. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SESTO FIORENTINO 41, presso lo studio dell’avvocato CARMELO FABRIZIO

FERRARA, rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO SALVATORE

INFANTINO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1419/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/06/2012 R.G.N. 1689/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso principale; accoglimento del ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato SIMONETTA DE JULIO per delega verbale Avvocato

CATERINA RIZZOTTO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Palermo, in data 28/06/2010, riformando la decisione del Tribunale stessa sede n. 929/1999, ha riconosciuto a S.I., medico cardiochirurgo in servizio presso l’Azienda di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Ospedali “Civico e (OMISSIS)” (ARNAS), il diritto al rimborso delle spese legali sostenute per il procedimento penale subito per fatti derivanti dalla professione medica, iniziato nel 1992, da cui lo stesso veniva dichiarato assolto nel 2003 con sentenza passata in giudicato.

Va preliminarmente evidenziato che la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sull’applicazione al caso controverso della disciplina vigente al tempo del proscioglimento del S. (art. 25, del c.c.n.l. per l’area della dirigenza medica e veterinaria, relativo al quadriennio 1998-2001), e non già di quella vigente nel momento di avvio del procedimento a suo carico (D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41).

Da tale opzione la Corte ha fatto conseguire la statuizione per cui, qualora il dirigente coinvolto in un processo penale per fatti o atti connessi all’adempimento dei compiti d’ufficio sia stato prosciolto, deve essere rimborsato delle spese legali che ha sostenuto, anche se inizialmente sia stato impossibilitato ad avvalersi dell’assistenza di un difensore dell’Azienda per l’esistenza di un presunto conflitto d’interessi.

Il rimborso delle spese legali, richiesto da S.I. nel 2004, in seguito all’assoluzione dall’imputazione penale, era stato negato dall’Azienda la quale, ritenendo applicabile del D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, in vigore all’epoca dell’inizio del procedimento penale, aveva fatto valere nei confronti del dirigente la preclusione generale al rimborso, prevista dalla predetta norma per il caso di conflitto d’interesse quale che fosse stato l’esito definitivo del giudizio penale.

Per la cassazione della sentenza interpone ricorso l’ARNAS affidando le sue ragioni a quattro censure, cui resiste con tempestivo controricorso S.I., proponendo a sua volta ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nella prima censura l’Azienda deduce violazione dell’art. 25, c.c.n.l. 1998-2001, avendo, la Corte territoriale, esteso l’applicazione di detta norma a un procedimento penale iniziato nel 1992, ben prima che il richiamato contratto collettivo fosse stipulato. La Corte d’Appello avrebbe, di conseguenza, erroneamente ritenuto inapplicabile la diversa disciplina contenuta nel D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, il quale prevedeva che l’Ente assumesse la difesa del dipendente sottoposto a giudizio penale a suo totale carico e fin dall’apertura del procedimento, unicamente a condizione che l’interessato non versasse in conflitto d’interesse con il datore.

Con la seconda doglianza si denuncia omessa e insufficiente motivazione in merito alla presunta inesistenza di un conflitto d’interesse, dovendosi ritenere lo stesso confermato anche dalla costituzione di parte civile in giudizio dell’Azienda Ospedaliera.

Al fine di ulteriormente rafforzare il motivo di doglianza, parte ricorrente evidenzia come le condotte contestate al controricorrente (concussione, falso, abuso d’ufficio) fossero in contrasto con i doveri d’ufficio di questi, e potenzialmente lesive degli interessi dell’amministrazione sanitaria, al punto che la stessa aveva deciso di costituirsi parte civile nel giudizio penale.

La terza censura si appunta sulla violazione di legge con riferimento tanto al D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, quanto all’art. 25, del c.c.n.l. del comparto 1998-2001, per assenza di legittimazione passiva dell’ARNAS sulla domanda, in quanto, nel 1992, anno d’inizio del procedimento penale, l’amministrazione di appartenenza era l’ex Usl n. (OMISSIS) di Palermo, soggetto giuridico distinto dall’attuale ricorrente, al quale facevano capo le strutture ospedaliere (Civico, (OMISSIS)), le quali solo nel 1995, con Delib. Presidente della Regione Sicilia n. 189, furono unificate nel nuovo soggetto ARNAS Civico di Palermo, che, per espressa previsione, non succedeva nelle posizioni attive e passive dell’Ospedale civico, nè degli altri due Ospedali in esso confluiti.

Nella quarta censura, si contesta la sentenza per insufficiente motivazione nell’aver ritenuto la legittimazione passiva dell’ARNAS nel giudizio penale intentato contro S.I..

A tal fine la difesa di parte ricorrente, contraddicendo verosimilmente la suesposta doglianza, contesta la motivazione nella parte in cui ha affermato come non sia stato: “…casuale che la stessa (ARNAS) si sia costituita parte civile nei vari gradi del giudizio ed abbia impugnato in appello e in Cassazione le sentenze favorevoli all’odierno appellante”.

Quanto al ricorso incidentale, il controricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 212 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il Giudice d’Appello accertato il suo diritto ad ottenere dall’ARNAS il rimborso delle spese legali sostenute per i procedimenti penali, omettendo però la statuizione relativa alla condanna al pagamento di tali somme, in conformità all’accoglimento della domanda.

Venendo all’esame del ricorso principale il primo motivo di censura è fondato.

Non appare dubbio alla Corte territoriale, ma neanche alla difesa di parte controricorrente (p. 12-13), che l’apertura del procedimento penale abbia posto in luce l’esistenza di un conflitto d’interessi tra il S. e l’ARNAS.

Il punto di diritto nel caso in esame è se la Corte abbia fatto corretta applicazione della disciplina applicabile, tra il D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, che aveva recepito l’accordo sindacale per il comparto del personale dipendente del servizio sanitario nazionale (triennio 1985/1987), e l’art. 25, del c.c.n.l. (quadriennio 1998 – 2001) vigente all’epoca della sentenza di proscioglimento. La successione nel tempo delle normative richiamate, la prima di natura legale, la seconda di derivazione contrattuale, ha comportato l’introduzione di una differente rilevanza del conflitto d’interessi, ai fini del diritto al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente per un processo civile o penale legato al suo ufficio.

Orbene, secondo una rigorosa applicazione del principio generale tempus regit actum non vi è nessuna valida ragione per sostenere che al caso in esame non vada applicata la normativa vigente al tempo dell’apertura del procedimento penale.

Il D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, comma 1, stabilisce che “L’ente, nella tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti del dipendente per fatti e/o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista un conflitto d’interesse, ogni onere di difesa fin dall’apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio, facendo assistere il dipendente da un legale.”

Al successivo comma 2, la stessa norma aggiunge che “L’Ente dovrà esigere dal dipendente, eventualmente condannato con sentenza passata in giudicato per i fatti a lui imputati per averli commessi per dolo o colpa grave, tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa”.

La norma pertanto prevede che il conflitto d’interessi con l’amministrazione datrice, sia in ogni caso preclusivo del rimborso delle spese legali, mentre, in assenza di conflitto d’interessi, lo stesso beneficio è riconosciuto solo in caso di proscioglimento dell’imputato o di condanna per colpa lieve.

La Corte d’Appello ha ritenuto, tuttavia, di dover applicare alla fattispecie l’art. 25 del c.c.n.l. di comparto 1998-2001, il quale prevede che il rimborso per spese legali vada concesso anche al dipendente prosciolto, al quale inizialmente era stato negato per presunto conflitto d’interessi (comma 2).

Applicando erroneamente il contratto collettivo nazionale, la sentenza gravata realizza un notevole mutamento di posizione del dipendente rispetto alla disciplina prevista dal D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, estendendo in suo favore il rimborso per spese legali in ragione dell’avvenuto proscioglimento, nonostante l’iniziale diniego da parte dell’ente per conflitto d’interesse.

Tale più generosa valutazione, da parte dell’autonomia collettiva, della condizione di conflitto d’interessi in caso di sentenza di proscioglimento non può essere, tuttavia, ritenuta ragione idonea a legittimare lo scostamento dal principio generale della norma ratione temporis applicabile alla fattispecie, per disapplicazione della disciplina sotto la cui vigenza ha avuto avvio il giudizio.

In definitiva, l’eventuale diritto del controricorrente al rimborso delle spese legali sostenute, nel caso, poi realmente verificatosi, di un suo definitivo proscioglimento dalle accuse, avrebbe potuto radicarsi anche in base al D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, sebbene solo in presenza di specifiche condizioni quali la preventiva espressa richiesta da parte del dipendente e l’accoglimento della stessa da parte dell’Azienda Ospedaliera a seguito della verifica di un’assenza di conflitto d’interessi.

Sotto tale ultimo profilo, vi è da rilevare che nel caso oggetto di contestazione, la Corte territoriale ha accolto la domanda di rimborso del dipendente per sopravvenuta sentenza definitiva di proscioglimento, nonostante lo stesso avesse presentato la richiesta solo nel 2004, a conclusione del giudizio penale, sebbene l’Ente l’avesse negata, facendo corretta applicazione del D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41.

E’ appena il caso di ricordare quanto affermato dalla giurisprudenza in materia di pesi economici a carico dell’erario. Ogni spesa aggiuntiva deve contemperare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti per ragioni di servizio, con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell’amministrazione (Cass. Sez. Un. n. 13861/1987; Cass. n. 9173/2013). Tale principio generale involge anche la materia del rimborso di cui al D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, nel senso che esso non configura un diritto assoluto, dovendo tenersi conto delle norme di finanza pubblica che impongono di non far carico all’amministrazione di oneri eccedenti quanto necessario, e al contempo sufficiente, per soddisfare gli interessi generali e i doveri giuridici che ne presidiano l’utilizzo.

Ponendosi in tale prospettiva, questa Corte ha ritenuto, che pur in assenza di una specifica previsione nel D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41, di un obbligo di preventiva comunicazione dell’apertura del procedimento a carico da parte del dipendente, introdotto solo con l’accordo collettivo nazionale del 1998-2001, questo vada ritenuto egualmente necessario, per una valutazione ex ante da parte dell’Ente datore, dell’opportunità di assumere a proprio carico l’onere di difesa fin dall’apertura del procedimento. Pertanto, la stessa giurisprudenza ha stabilito che, in mancanza di una comunicazione preventiva del suo coinvolgimento, per ragioni d’ufficio, in un processo penale o civile, o dell’indicazione da parte della P.A. di un difensore di sua fiducia, non può ritenersi esistente in capo al dipendente un diritto al rimborso delle spese di difesa in via autonoma, nè in capo all’amministrazione l’obbligo di farsi carico delle suddette spese (Cass. n. 18944/2016 e n. 18946/2016).

Per le ragioni sopra esposte il primo motivo del ricorso deve essere accolto con assorbimento degli altri e la sentenza gravata, in relazione al motivo accolto, deve essere cassata, con l’adozione, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, di una pronuncia ex art. 384 c.p.c., di rigetto della domanda originaria del controricorrente, e con compensazione delle spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità in considerazione della novità della questione e del diverso esito del giudizio di merito rispetto al presente. Il ricorso incidentale rimane assorbito.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri. Dichiara assorbito altresì il ricorso incidentale. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria di Ignazio Savona, compensando le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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