Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16394 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. III, 27/07/2011, (ud. 18/04/2011, dep. 27/07/2011), n.16394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli uffici dell’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende per legge;

– ricorrente –

contro

T.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TORRISI, rappresentato e difeso dall’avvocato FERRAU’ GIUSEPPE giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1256/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 01/07/09, depositata il 16/09/2009

R.G.N. 1252/07 e 1342/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato FIGLIOLIA ETTORE;

udito l’Avvocato FERRAU’ GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso con l’inammissibilità’ del 1 motivo,

rigetto nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con citazione del 9 agosto 2001 T.A. e R. M.G., adducendo di essere, il primo, medico specialista in dermatologia e di avere frequentato presso l’Università degli Studi di Catania dal 1983 al 1986 il relativo corso di specializzazione, e, la seconda, medico specialista in biologia clinica e di avere frequentato il relativo corso di specializzazione, presso la stessa Università, dal 1988 al 1994, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Istruzione e dell’Università e la detta Università e chiedevano accertarsi che essi deducenti avevano frequentato assiduamente il corso di specializzazione senza ricevere alcuna remunerazione e che avevano diritto, ai sensi della direttiva 82/76/CEE, recepita dallo Stato Italiano, con il D.Lgs. n. 257 del 1991, oltre i termini (nonchè, con L. n. 370 del 1999, soltanto a favore di coloro che avevano ottenuto una sentenza del TAR del Lazio passata in giudicato) e, quindi, in violazione degli obblighi imposti dal Trattato CEE, al riconoscimento dell’adeguata remunerazione e la condanna in solido dei convenuti al pagamento di un emolumento, per ogni anno di durata del corso, pari ad Euro 11.103,82, oltre interessi e rivalutazione.

1.1.- Le amministrazioni convenute, costituendosi, eccepivano preliminarmente tutte il rispettivo difetto di legittimazione passiva; i Ministeri eccepivano anche il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

l’Università di Catania soltanto eccepiva altresì la prescrizione del diritto vantato dagli attori ai sensi dell’art. 2947 c.c..

Nel merito, tutti contestavano la propria responsabilità, chiedendo il rigetto della domanda.

2.- Con sentenza del 17 giugno 2006 il Tribunale di Catania accoglieva la domanda risarcitoria della sola R., condannando soltanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 30.000,00 (cosi riducendo l’importo richiesto dall’attrice), mentre respingeva la domanda del T..

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Catania, sia dal Ministero che dal T., con distinti appelli principali, nonchè dalla R. con appello incidentale.

La Corte d’Appello, con sentenza del 16 settembre 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni in favore di T.A. per la complessiva somma di Euro 30.000,00, confermando nel resto la sentenza impugnata e condannando la Presidenza del Consiglio dei Ministri anche al pagamento delle spese processuali sostenute dal T.; con compensazione delle spese del grado tra le altre parti.

4.- Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

L’intimato T. resiste con controricorso; non si difende la R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione artt. 1306, 1310, 2937, 2939 cod. civ. – art. 360 c.p.c., n. 3.

Vi si deduce che erroneamente la Corte territoriale non avrebbe dichiarato la prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti di entrambi gli attori stante la rituale tempestiva eccezione formulata dall’Ateneo catanese. Sostiene la Presidenza del Consiglio che si potrebbe giovare dell’eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata dall’Università di Catania, perchè riferita a “rapporti sostanziali inerenti univocamente all’esercizio di un’attività di interesse non esclusivo dell’Ateneo eccipiente, bensì di interesse dello Stato”. Al riguardo la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’eccezione di prescrizione sollevata dal coobbligato solidale, ritenuta idonea ad estinguere l’obbligazione anche nei confronti del coobbligato non costituito in giudizio, sempre che si possa riscontrare un effetto indiretto negativo nei confronti della situazione di titolarità dell’eccipiente alla eventuale persistenza dell’obbligazione medesima.

1.1.- Il motivo è infondato.

La giurisprudenza richiamata dalla ricorrente presuppone la sussistenza di un’obbligazione della quale debbano rispondere in solido il convenuto che abbia eccepito la prescrizione e colui che, pur convenuto in giudizio, non si sìa costituito (cfr. Cass. n. 6934/07).

Nel caso di specie, sia l’Università degli Studi di Catania che la Presidenza del Consiglio dei Ministri sono state convenute in giudizio ed entrambe si sono costituite regolarmente, ma soltanto la prima, e non anche la seconda, ha sollevato tempestivamente l’eccezione di prescrizione nei confronti di entrambi gli attori.

Quindi, manca già uno dei presupposti ritenuti essenziali dalla citata giurisprudenza, che, anzi, ha ritenuto che la mancata eccezione dai parte del convenuto costituito, pur in presenza di eccezione sollevata dal coobbligato, va di regola considerata come rinuncia ad avvalersene. Per di più, nella fattispecie in esame è da escludere la sussistenza di una responsabilità solidale dell’Università degli Studi di Catania.

La domanda degli attori, come meglio si dirà trattando del secondo motivo di ricorso, va qualificata alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, come domanda di risarcimento danni per inadempimento dello Stato per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore nel termine prescritto da direttive comunitarie non autoesecutive.

Essendo tale qualificazione corrispondente all’unico diritto configurabile in relazione alla vicenda, la legittimazione passiva in senso sostanziale all’azione di risarcimento danni basata sull’obbligo insorto per effetto dell’inadempimento statuale quale fatto rilevante ai sensi dell’art. 1173 c.c., compete esclusivamente allo Stato Italiano e non, nemmeno per effetto di concorso, alle Università presso le quali la specializzazione venne acquisita. Al riguardo, proprio nella logica dì qualificazione della domanda seguita dalle Sezioni Unite, questa Corte si è già pronunciata sia con la sentenza n. 22440 del 2009, che con la sentenza n. 10815 del 2011, alle quali è sufficiente rinviare.

Correttamente, pertanto, il giudice di merito ha deciso nel senso della insussistenza della legittimazione passiva dell’Università di Catania.

In conseguenza, l’eccezione di prescrizione da questa sollevata in primo grado non giova in alcun modo all’odierna ricorrente.

2.- Col secondo motivo di ricorso, si deduce violazione art. 2043 cod. civ.; L. n. 370 del 1999, art. 11; omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La ricorrente richiama i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147 del 2009, al fine di sostenere che, trattandosi di diritto a natura indennitaria e non risarcitoria, la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere ai medici specializzandi un mero indennizzo, e non liquidare loro somme ingenti a titolo risarcitorio.

In ogni caso, secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe viziata nella motivazione, poichè non darebbe contezza del ragionamento seguito per addivenire all’attribuzione del carattere di illiceità all’azione di recepimento del Governo, reputata censurabile.

2.1..- Questo secondo aspetto del secondo motivo è infondato poichè la Corte d’Appello ha dichiaratamente aderito all’indirizzo interpretativo seguito da questa Corte prima dell’intervento delle Sezioni Unite richiamato anche dalla ricorrente, che riconduceva la fattispecie alla norma dell’art. 2043 cod. civ..

2.2.- Rileva, pertanto, proprio alla stregua della pronuncia a sezioni unite, la censura rivolta alla qualificazione della domanda sotto il profilo del vizio di violazione di legge, contenuta nella prima parte dello stesso secondo motivo.

Tuttavia, la censura non è prospettata come di per sè idonea a giustificare la cassazione della sentenza, in quanto il motivo di ricorso si appunta sulla correttezza della quantificazione operata dai giudici di merito, alla quale viene opposto, in riferimento all’azione correttamente qualificata, che sarebbero state liquidate somme eccessive se considerate come riconosciute a titolo indennitario piuttosto che a titolo risarcitorio.

Il Collegio rileva che, comunque, la prospettazione della qualificazione dell’azione alla stregua dell’insegnamento di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 di contro alla qualificazione seguita dalla Corte catanese alla stregua dell’art. 2043 c.c., non potrebbe giustificare la cassazione della sentenza in ragione dell’errore di qualificazione, ma soltanto la correzione della motivazione della sentenza impugnata, secondo quanto appresso.

D’altro canto, la sostituzione della qualificazione in iure corretta a quella postulata dalla parte e condivisa dal giudice di merito è possibile in questa sede – come già osservato, tra le altre, in fattispecie analoga alla presente, da Cass. n. 10813/11, che, a sua volta, richiama Cass. S.U. n. 9147/09 cit.- perchè i fatti storici posti a base della domanda ed il petitum di essa e, dunque, il bisogno di tutela giurisdizionale che ha determinato la controversia, non mutano in alcun modo, ma sono soltanto ricondotti al loro corretto referente normativo astratto, nell’esercizio della mera attività di qualificazione in diritto della vicenda e segnatamente della domanda da parte di questa Corte, peraltro sollecitata dal motivo, ancorchè in funzione della censura sul quantum.

3.- Ciò premesso, va ribadita la volontà di dare continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite sulla qualificazione della pretesa degli specializzandi relativa alla mancata remunerazione per l’attività prestata nell’ambito dei corsi di specializzazione.

Insegnamento che si è espresso con il principio di diritto, secondo cui In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione “ex lege” riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione.

Questo principio è stato ribadito con le recenti sentenze nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, alle cui motivazioni si fa integrale rinvio, anche per quanto riguarda l’affermazione dell’antigiuridicità del comportamento dello Stato nell’ambito dell’ordinamento interno; quindi, la riconducibilità al concetto generale dell’obbligazione risarcitoria della pretesa degli specializzandi del risarcimento per mancata adeguata remunerazione.

Si legge, in particolare, in dette motivazioni che l’inadempimento del legislatore italiano all’attuazione di una direttiva riconoscente in modo specifico determinati diritti ai singoli, ma non self- executing, è venuto a connotarsi sul piano dell’ordinamento interno come fatto generatore di un’obbligazione risarcitoria, cioè come fonte di un’ obbligazione di ristoro, ed è evidente che, se da luogo ad un’obbligazione di questo tipo, cioè che impone una prestazione a ristoro dell’inadempimento, tale comportamento si caratterizza necessariamente come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno, dato che è da considerare nel suo ambito come “fatto” produttivo della nascita di un’obbligazione e, quindi, di una conseguenza negativa per lo Stato.

4.- La ricostruzione che precede importa il rigetto anche del primo profilo del secondo motivo di ricorso, poichè, contrariamente a quanto sembra ritenere la Presidenza del Consiglio, l’obbligazione in parola impone il ristoro dell’intero pregiudizio sofferto dal danneggiato per la mancata trasposizione interna di una direttiva comunitaria.

La qualificazione dell’obbligazione come “indennitaria”, che pure si rinviene nella motivazione della citata sentenza a Sezioni Unite, consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella stessa sentenza che nelle sentenze del 2011 su citate) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ. e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ. Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. soltanto per la peculiarità della sua fonte, non certo per il suo contenuto; il contenuto è, infatti, risarcitorio, nel senso che -come affermato anche dalla Corte di Giustizia nelle sentenze di cui sopra – l’inadempimento dello Stato comporta l’obbligazione dello stesso di riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; inoltre, il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento ed, in ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante; ancora, il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento. Le Sezioni Unite, richiamati tali principi, hanno affermato che il credito del danneggiato ha natura di credito di valore e che deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile.

Pertanto, la censura alla sentenza impugnata – che ha riconosciuto agli attori il diritto ad ottenere un risarcimento corrispondente, per ciascuno degli anni di frequenza della scuola di specializzazione, all’assegno annuo previsto dalla L. n. 370 del 1999, pur non essendo stati gli stessi destinatari di una sentenza del TAR Lazio, ma per la totale omogeneità della loro situazione rispetto a quella dei soggetti contemplati dalla legge citata – sarebbe dovuta consistere nella deduzione, da parte della Presidenza del Consiglio, che la perdita subita in concreto dai dottori R. e T., per la mancata tempestiva completa trasposizione della direttiva comunitaria con la legge da ultimo citata, fosse stata inferiore alla somma che invece avrebbero percepito se questa avesse correttamente trasposto la direttiva, riconoscendo il diritto all’assegno annuo a tutti coloro che avevano conseguito la specializzazione nel periodo compreso tra l’emanazione della direttiva comunitaria e quella della legge interna destinata a darvi attuazione.

In mancanza, il motivo va rigettato.

5.- Col terzo motivo di ricorso si deduce violazione direttive comunitarie n. 75/362/CEE, 82/76; direttiva del Consiglio n. 16 del 5.4.1993; D.Lgs. n. 257 del 1991; L. n. 370 del 1999 – violazione art. 2043 cod. civ.- art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la sentenza impugnata, riconoscendo agli attori il diritto al risarcimento per la mancata corretta trasposizione interna delle citate direttive comunitarie, si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte di Cassazione, poichè tali direttive – per le ragioni esposte nel motivo in esame, che richiama anche una non meglio precisata “giurisprudenza amministrativa”- non avrebbero forza propria di imporsi nell’ordinamento interno.

Al fine di rigettare tale motivo di ricorso è sufficiente richiamare, ancora una volta, la sentenza a Sezione Unite n. 9147 del 2009 e tutta la giurisprudenza di legittimità successiva, per la quale non è revocabile in dubbio che vi fosse un obbligo dello Stato italiano di trasporre nell’ordinamento interno le richiamate direttive non autoesecutive e che all’inadempimento di tale obbligo sia seguita l’obbligazione risarcitoria di cui si è già ampiamente detto.

6.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del resistente T. A. delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, TVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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