Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16393 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8745/2013 R.G. proposto da:

V.P., rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Bastianon,

elettivamente domiciliata in Roma, via Ovidio, n. 20, presso lo

studio dell’avv. Daniela Rescigno.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 36, n. 153/36/12, pronunciata il 02/07/2012,

depositata in data 27/09/2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2020 dal Consigliere Guida Riccardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

V.P. ha proposto ricorso, con quattro motivi, illustrati anche con una memoria, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che – in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento IRPEF, per l’annualità 2002, che rettificava la plusvalenza derivante dalla cessione, da parte della contribuente e della madre C.L., al fratello V.A., dei 2/3 del ramo d’azienda (di panificazione) che essi avevano ereditato dal padre della contribuente – in accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha riformato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese (n. 92/05/10), che aveva accolto il ricorso della contribuente;

la ricorrente ha chiesto, in questa sede, la riunione della causa a quella avente RG n. 8744/2013, promossa dalla propria madre C.L. e riguardante la medesima vicenda fiscale;

tornando alla sentenza qui impugnata, la Commissione regionale, per quanto adesso interessa, ha premesso che l’AF aveva accertato il valore dell’azienda in Euro 191.969,00, poi rettificato nella misura del 70% in Euro 134.378,30, con un avviamento di Euro 73.718,00, poi rettificato al 70% in Euro 52.000,00, in quanto il “forno” oggetto della cessione incideva per il 70% rispetto all’intera attività aziendale (comprensiva anche della vendita al dettaglio); ha aggiunto che detto avviamento era stato tassato pro quota in capo alla cedente, come plusvalenza che quest’ultima (che non era imprenditrice) avrebbe dovuto dichiarare nella categoria “redditi diversi”, e, ancora, ha condiviso la quantificazione del valore del ramo d’azienda compiuta dall’ufficio in quanto, dopo la morte dell’originario titolare (il padre della contribuente), l’attività era stata gestita, senza soluzione di continuità, dal figlio A., il quale aveva conservato la clientela del “forno” che, insieme con il “coordinamento dei beni”, rappresenta l’elemento qualificante dell’avviamento.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo del ricorso (“Primo motivo – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”), la ricorrente assume che la CTR ha mostrato di condividere la tesi dell’Agenzia – la quale aveva rettificato, in via induttiva, la plusvalenza derivante dalla cessione dell’azienda in base all’accertamento del valore già effettuato (nei confronti del cessionario) ai fini dell’imposta di registro -, tralasciando, però, di apprezzare che quell’accertamento non era divenuto definitivo. Al riguardo, precisa che, nel 2004, era stato emesso, nei confronti del cessionario dell’azienda, V.A., un avviso di rettifica, ai fini dell’imposta di registro, che valutava il complesso di beni ceduto (recte: i 2/3 dell’azienda che il contribuente aveva acquistato dalla sorella e dalla madre) in Euro 191.969,00 (di cui 73.718,00 per avviamento ed Euro 118.251,00), importo che poi aveva costituito il fondamento dell’accertamento, ai fini delle imposte dirette, delle plusvalenze realizzate (ma non dichiarate) dalle cedenti;

imputa alla CTR di non avere considerato che, all’epoca dell’accertamento (nei confronti della stessa ricorrente) della plusvalenza non dichiarata ai fini dell’imposta sul reddito (02/12/2008), la rettifica del valore delle quote dell’azienda ceduta, ai fini dell’imposta di registro, era già stata annullata, sia pure in primo grado, dalla CTP di Varese (sent. n. 133/10/2006);

aggiunge che detto accertamento in rettifica del valore dell’azienda, ai fini dell’imposta di registro, era comunque errato, tanto è vero che esso era stato rivisto con l’attribuzione al “forno” di un’incidenza del 70% rispetto al (maggiore) valore dell’azienda (che comprendeva anche la rivendita al dettaglio), e, in conclusione, ascrive alla sentenza impugnata che, in difetto di un accertamento definitivo ai fini dell’imposta di registro e di qualsiasi prova, da parte dell’ufficio, del valore effettivo dell’azienda ceduta, la determinazione presuntiva di detto valore, confermata dalla CTR, è del tutto infondata;

2. con il secondo motivo (“Secondo motivo – Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (l’errore di calcolo espressamente riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate oltre che comprensivo anche dei beni strumentali non di proprietà della ricorrente) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”), la ricorrente censura la sentenza impugnata, innanzitutto, per avere trascurato che la metodologia utilizzata dall’Agenzia per la valutazione del valore dell’azienda, basata sui dati (volumi d’affari e redditi di impresa) dichiarati nel triennio precedente la cessione (D.P.R. n. 460 del 1996 ex art. 2, comma 4), era errata in quanto la citata norma era stata abrogata e, inoltre, (in precedenza) era applicabile soltanto alla diversa ipotesi degli accertamenti con adesione, ed in assenza dei studi di settore (che, invece, sono espressamente previsti per le aziende di panificazione), ferma la constatazione che i dati presi a riferimento riguardavano l’intera attività (“forno e vendita al minuto”), mentre, nella specie, era stato ceduto soltanto il ramo d’azienda relativo al “forno”;

sotto altro profilo, critica la sentenza impugnata per non avere spiegato sulla base di quali elementi (condivisi dalla CTR) l’Agenzia avesse accertato un’incidenza del “forno” nella misura del 70% rispetto all’intero valore dell’azienda;

3. con il terzo motivo (“Terzo motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 23 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (la valutazione di congruità della somma accertata dall’Agenzia delle Entrate) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”), la ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove ha condiviso la rettifica dell’avviamento in Euro 52.000,00, in quanto il “forno” incideva per il 70% sull’intera attività, con ciò introducendo, nel processo tributario, un giudizio di equità in aperta violazione dell’art. 113 c.p.c., senza nemmeno esporre le ragioni per le quali era stata ritenuta congrua la somma accertata dall’AF, per altro in maniera errata, presuntiva e approssimativa;

4. con il quarto motivo (“Quarto motivo – Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (l’avere la contribuente realizzato l’avviamento presuntivamente accertato) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”)), si fa valere il vizio di motivazione della sentenza impugnata a proposito del fatto, decisivo e controverso, che la contribuente avesse effettivamente ricevuto il corrispettivo dell’avviamento, erroneamente accertato in via presuntiva;

5. il primo motivo è fondato;

5.1. è utile ricordare che il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, ha espressamente disposto che: “Il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 58, 68, 85 e 86 e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.”;

5.2. sulla scia della novella legislativa, la cui norma appena richiamata vale come interpretazione autentica della previgente disciplina, con efficacia retroattiva, questa Corte (Cass. 08/05/2019, n. 12131) ha affermato che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5, cit., esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (da ultimo, ord. 9513/2018; inoltre ord. n. 19227/2017; sent. n. 12265/2017; sent. n. 6135/2016; ord. n. 11543/2016). Pertanto, (come precisato da Cass. 30/01/2019, n. 2610), l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione IRPEF, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo invece provvedere l’ufficio a individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino adeguatamentè il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente. Allegate le prove, anche presuntive, spetterà poi a quest’ultimo, con prova contraria, contraddire alle risultanze probatorie offerte dall’Agenzia;

5.3. nella fattispecie, la sentenza impugnata, laddove riconosce la legittimità della rettifica, ad opera dell’Amministrazione finanziaria, della plusvalenza poggiante sul valore dell’azienda ceduta determinato ai fini dell’imposta di registro, collide con i ridetti canoni giuridici e, quindi, va cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, la quale, nel riesaminare la vicenda, farà applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione (di immobili e) di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (ipotecaria o catastale), dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggiore corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria.”;

6. gli altri motivi sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo, sicchè, in definitiva, accolto il primo motivo e assorbiti gli altri, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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