Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16393 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/06/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 10/06/2021), n.16393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 31853/2019 prcposto da:

K.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI n. 1,

presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che lo rappresenti. e

difende unitamente agli avvocati ANDREA PESENTI, LUCA PIZZIGONI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI STEZZANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio

dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARGHERITA GEMMA TUCCI, ELENA TOMASI,

ERNESTO NICOLA TUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 364/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/10/2019 R.G.N. 335/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

il P.M., in persona dei Sostituto Procuratore Dott. MUCCI Roberto,

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Stezzano, in data 15.12.2016, ha licenziato K.K., Comandante della locale Polizia Municipale e già sottoposto ad indagini penali, facendo applicazione dell’art. 14 CCNL del 2000, secondo cui il rapporto di lavoro è risolto, senza diritto ad alcuna indennità sostitutiva del preavviso, nei confronti del dipendente che, salvo casi di comprovato impedimento, non si presenti per riprendere servizio alla scadenza del periodo di aspettativa.

E’ infatti accaduto che il ricorrente, rimasto per un anno in aspettativa, alla scadenza del periodo abbia trasmesso un certificato medico di alcuni giorni e poi un altro certificato, per alcuni altri giorni, omettendo però di prendere servizio, senza copertura di certificazione medica nè altra giustificazione, nei due giorni intercorrenti (un sabato, seguito poi dal festivo della domenica) intercorrenti tra l’ultimo previsto dal primo certificato ed il primo contemplato dal secondo certificato.

Il licenziamento, dapprima annullato dal Tribunale, è stato poi confermato, nella sua legittimità, dalla Corte d’Appello di Brescia, la quale ha ritenuto che l’ipotesi del contratto collettivo determini ex se l’effetto risolutivo, spettando al datore soltanto la decisione sul se avvalersi della risoluzione in esso prevista adottando il formale provvedimento di licenziamento.

2. Avverso la predetta sentenza K.K. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo, resistito da controricorso del Comune.

3. In esito all’entrata in vigore del D.L. n. 137 del 2020, art. 8, comma 23-bis, conv. con mod. in L. n. 176 del 2020,la causa, già fissata per la trattazione in pubblica udienza, è stata avviata alla definizione nelle forme camerali.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha poi depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo di ricorso è rubricato come violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del c.c.n.l. comparto enti locali del 2000 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55.

Con esso si sostiene che la clausola del contratto collettivo applicata dalla Corte territoriale sarebbe invalida, prevedendo una risoluzione di diritto rispetto a fatti la cui rilevanza disciplinare non consentirebbe di eludere le regole procedimentali di disciplina dell’irrogazione della sanzione.

Il ricorrente aggiunge poi che neppure potrebbe farsi applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, in quanto, all’interno delle previsioni decadenziali di cui alla predetta norma, potrebbero rientrare solo fatti idonei ad integrare vizi genetici del rapporto e non i profili di carattere disciplinare.

2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione preliminare con la quale il Comune resistente afferma l’improcedibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per mancata produzione della contrattazione collettiva interessata dall’oggetto del contendere.

Trattandosi di materia inerente al pubblico impiego privatizzato, vale infatti il consolidato principio secondo cui “la conoscibilità “ex officio” di un contratto collettivo si atteggia diversamente a seconda che si versi in un’ipotesi di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico o di un contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, atteso che, mentre nel primo caso il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell’adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio (che non vengono meno neppure nell’ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425 c.p.c., comma 4), nel secondo caso il giudice procede con mezzi propri, secondo il principio “iura novit curia”” (da ultimo Cass. 5 marzo 2019, n. 6394; Cass. 16 settembre 2014, n. 19507).

2.1 Analogamente da disattendere sono le successive eccezioni di inammissibilità del ricorso per cassazione, sempre contenute nel controricorso, in cui si assume il difetto di autosufficienza (art. 366 c.p.c., n. 3) e la mancata specifica indicazione degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda (art. 366 c.p.c., n. 6), affermandosi altresì che il motivo dispiegato avrebbe la consistenza di una richiesta di nuova valutazione del merito.

La questione posta è infatti di mero diritto e gli elementi fattuali su cui essa si basa, tra l’altro assai limitati e come tali richiamati nel ricorso per cassazione, sono già chiaramente palesati dalla sentenza impugnata.

3. Nel merito, il ricorso è fondato.

4. E’ vero che la cessazione dall’impiego potrebbe in astratto integrare il disposto del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, lett. c), secondo cui vi è decadenza qualora il dipendente “senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissogli, ovvero rimanga assente dall’ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni ove gli ordinamenti particolari delle singole amministrazioni non stabiliscano un termine più breve”, potendosi intendere la richiamata norma della contrattazione collettiva come disciplina dell’ordinamento particolare delle P.A. interessata rispetto a vicende come quella che viene in evidenza nel caso di specie.

4.1 Si pone intanto il problema della persistente efficacia di tale disposizione, rispetto al pubblico impiego contrattualizzato, nonostante il sopravvenire delle norme di privatizzazione e della pertinente contrattazione collettiva.

A parte i casi, come quello dello svolgimento di attività incompatibili, per i quali la norma sulla privatizzazione richiama espressamente la decadenza come regolata del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 61 e segg., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1, riprendendo in parte qua il D.Lgs. n. 29 del 1003, art. 72, comma 1, ha stabilito che, con la seconda tornata contrattuale collettiva, le “norme generali e speciali del pubblico impiego… cessano in ogni caso di produrre effetti”, mentre l’art. 71, ha consolidato con forza di legge le disapplicazioni già attuate dalla prima tornata contrattuale, tra cui in parte anche quelle del D.P.R. n. 3 del 1957, per quanto con ampiezza differenziata nei diversi settori.

Tuttavia, salvo quanto disposto dall’art. 71 cit. (che qui non rileva, riguardando, la disapplicazione dell’art. 127 cit., enti diversi) l’art. 69 esclude dall’effetto disapplicativo o dall’inefficacia le materie di cui alla L. n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. c), ovverosia “i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro” che fanno parte di materie destinate ad essere “regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell’ambito dei principi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi”, con esclusione che appare coerente con la riserva di legge di cui all’art. 51 Cost..

Questa Corte ha in proposito già precisato che rientrano in tale ambito e continuano ad essere operative nell’ambito del pubblico impiego privatizzato le disposizioni del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, che disciplinano, con effetti decadenziali, requisiti genetici del rapporto, tra cui in particolare il caso in cui (lettera d) l’impiego fu “conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile” rispetto alla documentazione di profili indispensabili per la costituzione del rapporto (Cass. 11 luglio 2019, n. 18699), come, del resto ritenuto anche da Corte Costituzionale 27 luglio 2007, n. 329, la quale, ritenendo ancora efficace, nell’impiego privatizzato, l’art. 128 del D.P.R., ammette necessariamente la persistente efficacia altresì dell’art. 127, lett. d, che ne costituisce presupposto (in tal senso, v. anche Consiglio di Stato, sez. III, 20 aprile 2018).

4.2 Tale ragionamento non può tuttavia valere rispetto al caso di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, lett. c, qui in esame.

Non si tratta infatti di previsione che coinvolga in alcun modo l’ambito che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 e la L. n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. c), mantengono al di fuori dell’intervento di contrattualizzazione, in quanto la mancata assunzione o non riassunzione del servizio ivi regolate riguardano evenienze pur sempre interne al rapporto di lavoro, mentre la decadenza per la mancanza iniziale di assunzione del servizio è regolata dall’art. 9 del medesimo D.P.R. (sul tema v. Cass. 10 maggio 2018, n. 11324) ripreso anche dal D.P.R. n. 487 del 1994, art. 17, comma 4, ed effettivamente destinato a sopravvivere, per effetto dell’art. 2, comma 1, lett. c, n. 4 cit. e nei limiti di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 71.

Il collegio ritiene viceversa che la previsione di cui all’art. 127, lett. c), sia fattispecie integralmente coperta, nel regime dell’impiego privatizzato, dalle regole in esso previste in tema di violazioni disciplinari.

La norma prevede infatti l’estinzione del rapporto di lavoro come conseguenza dell’assenza dal servizio, come anche della mancata assunzione o ripresa del servizio, ma riconosce che la decadenza da essa prevista non operi a fronte di un giustificato motivo, così delineando un’ipotesi di cessazione dell’impiego per effetto di un comportamento inadempiente (mancata assunzione, rientro e assenza) e colpevole (carenza di un giustificato motivo) del dipendente.

Nella logica dell’impiego contrattualizzato, resta dunque intercettato un vizio c.d. funzionale del rapporto, attinente al sinallagma e derivante dall’inadempimento di una delle parti, il lavoratore, agli obblighi assunti o alla cui osservanza egli è comunque tenuto in ragione del contratto esistente.

Tutto ciò già per effetto delle norme stesse di legge che regolano il rapporto privatizzato che assorbono nell’ambito disciplinare il potere di sanzione rispetto all’inadempimento (art. 2106 c.c., richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, fin alla sua originaria formulazione), rispetto al quale l’inammissibilità di automatismi espulsivi (v., da ultimo, Corte Costituzionale 15 dicembre 2016, n. 268, con riferimento alla proporzionalità della misura), si coniuga naturalmente con la procedimentalizzazione ed il contraddittorio prodromici alla decisione datoriale (Cass. 19 settembre 2016, n. 18326; Corte Costituzionale 30 ottobre 1996, n. 363).

Connotazioni che sono poi sviluppate dall’indubbia pertinenza di tali aspetti del rapporto alla regolazione collettiva.

4.3 La conseguenza di quanto appena delineato è che la disposizione dell’art. 127, lett. c) cit., se non può dirsi integralmente abrogata, persistendo in vita rispetto al pubblico impiego non privatizzato, risulta certamente ridotta nella sua portata normativa, non potendosi più applicare in ambito di pubblico impiego privatizzato, perchè rispetto ad esso quell’ipotesi ed anche le eventuali discipline collettive sulle assenze dal servizio, nei limiti in cui le stesse siano compatibili con la previsione legale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, sono destinare ad essere regolate come vicende di rilievo disciplinare.

4.4 Va quindi da sè la fondatezza del motivo nella parte in cui lamenta che il Comune, nell’applicare la misura, non abbia seguito le regole proprie del procedimento disciplinare di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55-bis e segg..

5. Non diversamente, l’insieme del corpo giuridico disciplinare del pubblico impiego porta ad escludere che sia possibile ravvisare nell’art. 14 del c.c.n.l. di comparto (secondo cui “il rapporto di lavoro è risolto, senza diritto ad alcuna indennità sostitutiva di preavviso, nei confronti del dipendente che, salvo casi di comprovato impedimento, non si presenti per riprendere servizio alla scadenza del periodo di aspettativa”) una valida forma di risoluzione di diritto, destinata ad operare al di fuori delle comuni regole di conduzione del procedimento disciplinare.

5.1 Sia in tema di rapporto di lavoro privato (Cass. 2 luglio 2013, n. 16507; Cass. 12 marzo 1987, n. 2605), sia in ambito di rapporto pubblico privatizzato, non è infatti ammessa la previsione di clausole risolutive espresse, come tali capaci di operare, in presenza di un inadempimento del lavoratore ai propri obblighi, al di fuori delle regole, per il lavoro privato, di cui all’art. 2106 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7, o, per il lavoro pubblico, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 e delle norme da esso richiamate.

5.2 Poichè la fattispecie di cui all’art. 14, ponendo in stretta connessione la mancata ripresa del servizio dopo l’aspettativa con l’assenza di comprovato impedimento, ha tutte le caratteristiche proprie dell’infrazione disciplinare, essa non può validamente operare come ipotesi di risoluzione di mero diritto.

6. In definitiva il ricorso è da ritenere fondato e ne segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, affinchè giudichi facendo applicazione dei principi qui affermati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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