Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16393 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 22/10/2015, dep. 05/08/2016), n.16393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.L., ((OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avvocato Antonino Pellicanò, presso lo

studio del quale in Roma, Piazzale delle Belle Arti n. 8, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliato per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Salerno n. 1314/2013,

depositato in data 16 dicembre 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

ottobre 2015 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato Antonino Pellicanò.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Salerno in data 13 marzo 2013, G.L. chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento del danno non patrimoniale derivante dalla irragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato dinnanzi al TAR Calabria – Catanzaro, con ricorso depositato in data 20 giugno 1998 deciso in primo grado con sentenza depositata il 26 ottobre 2001, proseguito in appello con ricorso notificato in data 8 marzo 2002, e deciso dal Consiglio di Stato con sentenza depositata il in data 9 agosto 2012;

che il consigliere delegato, con decreto depositato il 22 aprile 2013, accoglieva il ricorso e condannava il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennizzo liquidato in Euro 100,00, oltre interessi dalla data della domanda e alle spese processuali;

che avverso questo decreto la G. proponeva opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter;

che la Corte d’appello, in composizione collegiale, rigettava l’opposizione ritenendo infondati i motivi attinenti al quantum dell’indennizzo (100,00 Euro), rilevando che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis l’indennizzo non può essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello accertato dal giudice e che, nella specie, il valore dalla causa, che aveva ad oggetto una modesta ragione creditoria, era quello ritenuto dal consigliere delegato nel decreto opposto;

che, quanto al secondo motivo di opposizione, con il quale veniva evidenziata la disparità delle soluzioni adottate dalla medesima Corte d’appello in relazione ad altre identiche domande di equa riparazione, la Corte d’appello rilevava che non era configurabile nell’ordinamento giuridico alcuna disposizione che facesse obbligo al giudice di conformarsi a precedenti giurisprudenziali, quand’anche riconducibili al medesimo ufficio giudiziario di appartenenza di quel giudice;

che, in ogni caso, la parte opponente non aveva fornito specifiche indicazioni per ritenere che il decreto opposto fosse errato con riguardo ai parametri legali di valutazione della irragionevole durata e di determinazione dell’indennizzo;

che la Corte d’appello rigettava poi il motivo volto ad ottenere la corresponsione degli interessi anatocistici, trattandosi di pretesa contrastante con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 5271 del 2002);

che, da ultimo, la Corte rigettava il motivo di opposizione concernente il quantum delle spese liquidate, ritenendolo del tutto congruo in relazione all’importo liquidato in favore della ricorrente a titolo di indennizzo;

che per la cassazione di questo decreto G.L.T. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Considerato che con il primo motivo di ricorso articolato in tre profili, la ricorrente, dopo avere ricordato le vicende riguardanti le domande di equa riparazione, dalla medesima definite identiche, proposte dinnanzi alla Corte d’appello di Salerno e da questa decise in modo difforme, deduce violazione dell’art. 3 Cost. per illegittima ed illogica disparità di trattamento in relazione a numerose altre pronunce rese dalla Corte d’appello di Salerno su identici ricorsi;

che con il primo profilo la ricorrente denuncia in particolare violazione dell’art. 3 Cost., per illegittima ed illogica disparità di trattamento in relazione a numerose altre pronunce rese dalla Corte d’appello di Salerno su identici ricorsi;

che con il secondo profilo del primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 6, comma 1, artt. 13 e 41 CEDU, artt. 2056 e 1226 c.c., nonchè violazione dei parametri indennitari fissati dalla Corte EDU e da questa Corte, nonchè carenza di motivazione, dolendosi della esiguità dell’indennizzo, sostenendo che lo stesso avrebbe dovuto essere liquidato quanto meno secondo gli ordinari criteri di 750,00 Euro per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 Euro per ciascuno degli anni successivi;

che con il terzo profilo del primo motivo la ricorrente denuncia il difetto assoluto di motivazione in ordine alla ritenuta modestia della posta in gioco, rilevando che il giudizio presupposto, avente ad oggetto rivalutazione monetaria e interessi sulla somma tardivamente corrispostale dalla controparte, rivestiva invece importanza per essa ricorrente e non era comunque in termini monetari oggettivamente inconsistente (Euro 361,03);

che con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio assoluto di motivazione quanto al rigetto del motivo di opposizione concernente la disparità di trattamento verificatasi nel caso di specie con le differenti soluzioni adottate in ordine alla identica domanda di equa riparazione;

che con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 9 e difetto assoluto di motivazione sul punto, dolendosi che la Corte d’appello abbia ritenuto che il giudice dell’equa riparazione abbia un potere di riduzione del 50% dell’importo dei compensi dovuti esercitabile ad libitum, senza alcuna motivazione;

che il primo profilo del primo motivo e il secondo motivo, che pongono la medesima questione e possono quindi essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili, atteso che la disparità di decisioni dei giudici di merito in ordine a controversie che si suppongono identiche non costituisce un vizio ascrivibile ad alcuna delle violazioni deducibili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non essendo neanche prospettabile una diretta violazione dell’art. 3 Cost., potendo la stessa essere valutata da questa Corte, nell’ambito del giudizio ad essa devoluto, solo con riferimento alla ipotizzata disparità di trattamento derivante dalla disciplina posta dal legislatore, non anche con riguardo a differenze di mero fatto, quali sono le possibili diverse decisioni dei giudici di merito su vicende che si assumono identiche;

che il secondo e il terzo profilo del primo motivo, all’esame dei quali può procedersi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono infondati;

che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato il principio per cui, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922 del 2010);

che in successive pronunce di questa Corte si è poi affermato che tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto” (Cass. n. 12937 del 2012); e si è pervenuti a ritenere che, già prima delle modificazioni introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, il criterio di 500,00 Euro per anno di ritardo costituisse un adeguato ristoro del pregiudizio sofferto nei giudizi amministrativi (Cass. n. 20617 del 2014) e nei procedimenti fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014);

che sulla base di tale orientamento, e tenuto conto delle caratteristiche del giudizio amministrativo, si è poi affermato che, per tale tipologia di giudizio, il criterio di 500,00 Euro per anno costituisca l’adeguato indennizzo per la violazione della ragionevole durata del processo e che da esso il giudice del merito possa discostarsi con adeguata motivazione, evidenziando le specificità del caso, con riguardo sia alla natura e alla rilevanza dell’oggetto del giudizio, sia al comportamento processuale delle parti (Cass. n. 20617 del 2014);

che, peraltro, deve tenersi conto del fatto che la L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 3, dispone ora che “La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice”;

che di tale disposizione ha fatto corretta applicazione il giudice dell’opposizione, rilevando che l’importo di 100,00 Euro riconosciuto in sede monitoria non si discostava dal valore del giudizio presupposto, in cui era stata proposta una domanda di rivalutazione monetaria e interessi sulla somma di Lire 1.407.396 dal 18 gennaio 1991 al maggio 1993;

che le censure proposte dalla ricorrente alla determinazione dell’indennizzo si risolvono nella invocazione di precedenti pronunce di questa Corte emesse in controversie nelle quali non era applicabile, ratione temporis, la disciplina introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012;

che d’altra parte, nel mentre il decreto impugnato ha espressamente affermato che era infondato il motivo di opposizione avente ad oggetto la richiesta di riconoscimento degli interessi anatocistici, il motivo di ricorso, con il quale si vuole dimostrare che il valore della causa presupposta ammonterebbe ad Euro 361,03, non contiene una specifica censura sul punto e tuttavia il valore viene determinato anche con l’aggiunta dell’importo degli interessi anatocistici;

che il terzo motivo è fondato;

che, invero, l’applicazione del D.M. n. 140 del 2012 comporta che i compensi spettanti per lo scaglione di valore più basso ammontano ad Euro 564,00; importo, questo, dal quale la Corte d’appello si è discostata facendo riferimento alla minima entità della somma riconosciuta, e cioè adottando un criterio idoneo ad incidere sul regime delle spese unicamente con riguardo allo scaglione di riferimento;

che, in conclusione, i primi due motivi di ricorso devono essere rigettati, mentre va accolto l’ultimo motivo;

che il decreto impugnato deve quindi essere cassato in relazione alla censura accolta;

che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, provvedendosi a liquidare le spese del giudizio di merito in Euro 564,00, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

che quanto alle spese del giudizio di cassazione, le stesse, in considerazione del minimo accoglimento del ricorso, possono essere compensate per intero.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso; accoglie il terzo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero al pagamento della metà della spese del giudizio di merito, che liquida, per l’intero, in Euro 564,00, oltre agli accessori di legge, dichiarando compensata la restante metà; compensa le spese del giudizio di cassazione; dispone la distrazione delle spese come liquidate in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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