Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16393 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/07/2017, (ud. 04/04/2017, dep.04/07/2017),  n. 16393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12785/2015 proposto da:

PRANDELLI S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

78, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ORSINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO VOLPI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENRICO BARTOLINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/03/2015 r.g.n. 533/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto,che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 3.3.2015 la Corte di appello di Brescia, a conferma della pronuncia del Tribunale del medesimo luogo, ha accertato la illegittimità del licenziamento intimato, il 31.8.2011 per superamento del periodo di comporto, a B.A. ed ha condannato la società Prandelli s.p.a. alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro di lavoro ed al pagamento del risarcimento del danno pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento alla riammissione in servizio.

2. Il giudice d’appello ha, in particolare, ritenuto che il B., lavoratore assunto ai sensi della L. n. 68 del 1999, fosse stato adibito a mansioni incompatibili con lo stato di salute e in un ambiente inidoneo ed ha, quindi, ritenuto non computabili le assenze per malattia collegate causalmente alla violazione degli obblighi di protezione dettati dall’art. 2087 c.c..

3. La società ricorre per la cassazione di questa sentenza con cinque motivi. Il lavoratore resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società denunzia erronea e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., artt. 246 e 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) avendo, la Corte distrettuale, reso una motivazione incongrua ed apparente sulla inattendibilità dei due testimoni F. e Fa.. La Corte, inoltre, ha ritenuto pacifica la circostanza della inutilizzabilità del trans pallet elettrico per il trasporto in altri piani riferita dal teste Fe. nonostante fosse stata smentita dal teste F. nonchè provate le circostanze inverosimili rese dal teste D. quanto alla posizione eretta tenuta dal B. sul transpallet, alla eccessiva temperatura dei locali durante la stagione estiva.

2. Con il secondo motivo di ricorso la società denunzia erronea e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto violati gli obblighi di protezione nei confronti del B., invalido civile con riduzione della capacità lavorativa dell’80%, mediante l’affidamento di mansioni che comportavano lo stato eretto o la flessione del rachide cervicale, posture e movimenti tutt’altro che inibiti al lavoratore ma semmai limitati.

3. Con il terzo motivo di ricorso la società denunzia erronea e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto provato lo stress termico (eccessivo calore in estate ed eccessivo freddo in inverno nell’ambiente di lavoro) sulla base delle dichiarazioni di alcuni testimoni peraltro smentite da altri testimoni.

4. Con il quarto motivo di ricorso la società denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2110 c.c. e art. 132 c.p.c., nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) essendo, la Corte distrettuale, caduta in contraddizione ove ha statuito, da una parte, che l’onere della prova circa il collegamento causale tra inadempimento agli obblighi di protezione del datore di lavoro ed assenze per malattia spetta al lavoratore mentre, dall’altra, ha ridotto tale onere ad una mera allegazione.

5. Con il quinto motivo di ricorso la società denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2110 c.c., art. 132 c.p.c., nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) avendo, la Corte distrettuale, onerato il datore di lavoro della prova relativa all’adibizione del B. a mansioni non nocive, avendo ritenuto provato (sulla base della certificazione medica prodotta dal lavoratore) la riacutizzazione del dolore toracico (nonostante detta documentazione dimostri esclusivamente la natura cronica della patologia invalidante) nonchè l’insorgenza dell’aggravamento a seguito dello spostamento del lavoratore dal reparto Assemblaggio al reparto Confezionamento (nonostante non risultasse provato che l’intensità della malattia fosse inferiore durante l’assegnazione al reparto Assemblaggio).

6. I motivi di ricorso, che per ragioni di stretta connessione possono esaminarsi congiuntamente, non sono fondati.

Gli assunti secondo i quali le posture assunte dal lavoratore durante lo svolgimento delle mansioni erano compatibili con la patologia sofferta, l’ambiente di lavoro non sottoponeva i lavoratori ad alcun stress termico, lo spostamento dal reparto Assemblaggio al reparto Confezionamento non aveva determinato l’aggravamento della malattia, attengono a valutazioni di merito che non possono trovare ingresso nella presente sede di legittimità, dal momento che, nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le allegazioni e le prove offerte dalle parti.

Va, inoltre, rilevato che il controllo di logicità del giudizio di fatto è, nella presente fattispecie, consentito alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione successiva alla novella introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012, trattandosi di sentenza depositata dopo il giorno 11 settembre 2012. Come precisato dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014) è, in tal caso, denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. E tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

La Corte distrettuale ha rilevato che “Dall’istruttoria testimoniale, che l’appellante (società) ritiene poco credibile per eccessiva compiacenza nei confronti dell’invalido, emerge incontrovertibilmente che il B. si occupava di movimentazione di carichi tra i 200 e i 400 kg, movimentazione che non sempre veniva tramite il transpallet elettrico, ma spesso anche con quello manuale: anche nell’utilizzo del transpallet elettrico, comunque, la postazione del lavoratore era in piedi e non seduto, così come in piedi si svolgevano la maggior parte degli incarichi che ricopriva (vedi Fe. e D., il quale ricorda anche di averlo visto scendere in altri reparti per prendere e portare materiale e questo non poteva essere fatto con il mezzo elettrico che non entrava nel montacarichi)”.

La Corte ha, inoltre, aggiunto che i testi Fa. e F. (che avevano riferito circostanze diverse circa l’uso esclusivo del mezzo elettrico) non vedevano costantemente le condizioni in cui operava il lavoratore; che gli stessi avevano, comunque, riferito che il B. assumeva la posizione eretta quanto si occupava della gestione informatica della movimentazione dei vari articoli con il lettore di codici a barre; che tre testimoni ( Fe., D., M.) avevano riferito di stress termici nell’ambiente di lavoro. Ritenuto, pertanto, provato il nesso di causalità tra patologia sofferta dal B. e condizioni di lavoro, la Corte distrettuale ha aggiunto che non era emersa l’adozione, da parte del datore di lavoro, di misure di protezione idonee a preservare lo stato di salute del dipendente.

Non è, quindi, ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale.

Questa Corte ha affermato che il dipendente che sostenga la dipendenza dell’infermità da una causa di servizio ha l’onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell’affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Il nesso causale tra malattia e carattere morbigeno delle mansioni espletate, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio (cfr. Cass. nn. 3931/2015, 21825/2014, 15269/2012, 7730/2004). Invero, le assenze per malattia, collegate con lo stato di invalidità, non possono essere incluse nel periodo di comporto, ai fini del diritto alla conservazione del posto di lavoro (a norma dell’art. 2110 c.c., cit.) se l’invalido sia stato adibito a mansioni incompatibili con le sue condizioni fisiche, in quanto l’impossibilità della prestazione lavorativa deriva, in tale caso, dalla violazione, da parte del datore di lavoro, del prospettato obbligo di tutelare l’integrità fisica del lavoratore, che è gravato, tuttavia, dell’onere di provare (ai sensi dell’art. 2697 c.c.) gli elementi oggettivi della fattispecie – sulla quale si fonda la responsabilità contrattuale del datore di lavoro – dimostrandone, quindi, l’inadempimento, nonchè il nesso di causalità tra l’inadempimento stesso, il danno alla salute e le assenze dal lavoro, che ne conseguano.

Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto che le risultanze della prova testimoniale svolta in ordine all’accertamento delle mansioni assegnate al lavoratore consentivano di confermare la loro incompatibilità con le condizioni fisiche dell’invalido (stato fisico che richiedeva, sulla scorta delle prescrizioni dettate dal medico del lavoro ed acquisite al processo, di evitare frequenti flessioni del rachide o il sollevamento di pesi eccessivi).

La Corte distrettuale ha applicato i principi di diritto affermati da questa Corte e, pertanto, la sentenza impugnata non merita le censure che le vengono mosse dal ricorrente, neanche – come innanzi esposto – sotto il profilo del vizio di motivazione.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali, da distrarsi a favore del procuratore antistatario, seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

7. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi nonchè in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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