Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16391 del 04/07/2017

Cassazione civile, sez. lav., 04/07/2017, (ud. 04/04/2017, dep.04/07/2017),  n. 16391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6676-2015 proposto da:

F.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA COSSERIA 2 C/O DOTT. P.A., presso lo studio

dell’avvocato SAVINO DI PAOLO, che lo rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

PROMA S.S.A. S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio degli avvocati VINCENZO MOZZI e

PAOLO DE BERARDINIS, che la rappresentano e difendono giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 06/03/2014 r.g.n. 429/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato SAVINO DI PAOLO;

udito l’Avvocato VINCENZO MOZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.R. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Melfi la società Proma S.S.A. s.r.l. esponendo: di essere stato assunto (dalla Lear Corporation Italia s.p.a., che successivamente ha trasferito l’azienda) nella quota di riserva destinata ai disabili con qualifica di operaio, 1^ livello del c.c.n.l. settore Metalmeccanica privata(acquisendo poi il 3^ livello), con mansioni di addetto al confezionamento di sedili completi per autovetture, e di essere stato licenziato con lettera del 14.4.2005 per superamento del periodo di comporto in relazione al periodo maggio 2002 – aprile 2005 (oltre 365 giorni nell’arco di un triennio). Ciò premesso, ha dedotto il mancato superamento del periodo di comporto e, comunque, l’adibizione a mansioni incompatibili con le condizioni di salute (tali da determinare lo stato di malattia) ed ha chiesto di dichiarare illegittimo il licenziamento con conseguente applicazione della tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, e con condanna della società al risarcimento del danno, anche biologico.

La società convenuta si è costituita in giudizio depositando analitico prospetto delle assenze effettuate dal lavoratore e rilevando l’adibizione a mansione compatibili con la patologia sofferta dal F. (saldatura di pezzi metallici).

Il Tribunale di Melfi, ritenuto violato l’obbligo di protezione di cui all’art. 2087 c.c., sulla base della consulenza di parte del lavoratore, ha accolto la domanda del lavoratore, respingendo l’ulteriore domanda di risarcimento di danno biologico.

La Corte di appello di Potenza, con sentenza depositata il 6.3.2014, in riforma della pronuncia del giudice di prime cure, ritenuto pacifico il superamento del periodo di comporto a fronte dell’assenza di specifica contestazione dei giorni complessivi di assenza, ha ritenuto legittimo il licenziamento, anche all’esito di consulenza tecnica d’ufficio che ha ritenuto il quadro clinico presentato dal F. compatibile con le mansioni affidate.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il F. sulla base di due motivi. La società ha resistito con controricors, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il lavoratore denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, sollevato il datore di lavoro dall’onere di provare la sussistenza dei giorni di assenza per malattia (semplicemente allegati mediante tabella riassuntiva) ed addossato al lavoratore la prova contraria dell’assenza per altri motivi.

2. Con il secondo motivo il lavoratore deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) avendo, la Corte territoriale, aderito alle conclusioni della perizia del consulente tecnico d’ufficio che ha trascurato di considerare il peso degli oggetti movimentati con riguardo a persona affetta da patologie alla colonna vertebrale, ritenendo – sulla scorta delle testimonianze acquisite al processo – che il materiale da lavorare fosse posizionato su un banco di lavoro e non a terra.

3. Il primo motivo di ricorso non appare fondato.

Rilevato che il lavoratore non censura la violazione dell’onere di forma della comunicazione del licenziamento (in relazione alla quale, consolidata giurisprudenza di questa Corte, ritiene che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto; Cass. nn. 23920/2010, 23312/2010, 8707/2016, 21377/2016) bensì deduce l’inversione dell’onere della prova circa la ricorrenza del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, la Corte territoriale ha rilevato che il lavoratore non ha specificamente contestato l’elenco delle assenze allegato in giudizio dal datore di lavoro, non deducendo, ad esempio, che “l’indicazione dei giorni di malattia, indicati come tali dal datore di lavoro, sono stati determinati da assenza per ferie o per permessi”(pag. 13 sentenza impugnata). Sottolineato, pertanto, che il lavoratore si era limitato ad una generica contestazione, la Corte ha, conseguentemente, ritenuto pacifico il numero complesso delle assenze dedotte dal datore di lavoro e, quindi, l’effettivo superamento del periodo di comporto.

Queste statuizioni non sono state adeguatamente censurate. Invero, la doglianza formulata circa l’onere della prova, da porsi a carico del datore di lavoro, dell’effettivo superamento del periodo di comporto anche in caso di generica contestazione, resta superata allorchè l’obiezione mossa dal lavoratore non abbia riguardato, come appunto si è verificato nella specie, il totale delle assenze (cfr. per un caso analogo, Cass. n. 29317/2008). Nel verbale della prima udienza del giudice di prime cure (trascritto, per stralcio, in ricorso) non emerge alcuna contestazione dell’entità dei giorni di assenza bensì una contestazione di “tutto quanto ex adverso dedotto, eccepito, richiesto nella memoria difensiva del 3.9.2008” nonchè della valenza probatoria del prospetto prodotto dal datore di lavoro.

La Corte distrettuale ha, pertanto, adottato una soluzione conforme a diritto avendo questa Corte affermato che la mancata specifica contestazione di un fatto rende pacifico il fatto stesso che, quindi, non deve essere più provato (Cass. Sez. U. n. 761/2002; in senso conforme, Cass. nn. 12010/2003, 28381/2005, 21106/2009, 4051/2011, 6332/2014). L’onere di specifica contestazione grava, altresì, per il principio di parità di trattamento delle parti del processo, anche sul ricorrente per i fatti costitutivi dedotti dal convenuto.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

La censura della consulenza tecnica d’ufficio è formulata attraverso la prospettazione di vizi di nullità del processo, pur consistendo sostanzialmente nella contestazione della valutazione delle risultanze processuali operata dalla Corte d’appello, con particolare riguardo, al recepimento dell’elaborazione peritale del consulente d’ufficio.

La Corte distrettuale, all’esito della prova testimoniale, ha ritenuto di incaricare un medico legale affinchè valutasse il quadro clinico del F. con riguardo alle mansioni che erano risultate svolte dallo stesso nel periodo 2002 – 2005, ossia “montaggio schienali struttura metallica dal gennaio 2001 a tutto 2002 e saldatura pezzi metallici dal 2003 al licenziamento”. Il consulente d’ufficio ha rilevato che il lavoratore aveva dichiarato di essersi assentato prevalentemente per “lombalgia” (di cui, peraltro, non si ritrovava riscontro nella certificazione medica prodotta in atti, ove non risultava mai riportata la diagnosi di lombalgia); ha concluso che le sollecitazioni subite dal F. sulla cerniera lombosacrale nonchè sulla muscolatura addominale nel corso dell’espletamento delle mansioni affidate erano state pressochè insignificanti, con l’esclusione di aggravamento del quadro clinico del lavoratore.

Ebbene, le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni perchè tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; e tale profilo non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. ex plurimis, Cass. nn. 14374/2008, 7341/2004 e 15796/2004).

Inoltre, con riguardo ai lamentati errori e alle lacune della consulenza tecnica d’ufficio, gli stessi sono suscettibili di esame in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza, che, nel caso di specie (visto che è stata depositata dopo il giorno 11 settembre 2012), ricade sotto la vigenza della novella introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 5, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), con esclusione della valutabilità della “insufficienza” o della contraddittorietà della motivazione, dovendosi limitare il controllo di legittimità all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite sono liquidate in applicazione del principio della soccombenza.

Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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