Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16390 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. un., 27/07/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 27/07/2011), n.16390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente di sezione –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.E.O.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEL FANTE 10, presso lo studio dell’avvocato CELATA ORFEO, che

la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AMBASCIATA DELLA COLOMBIA PRESSO LA SANTA SEDE, in persona

dell’Ambasciatore pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 1, presso lo studio dell’avvocato

GIANGIACOMO CLAUDIO, che la rappresenta e difende, per delega in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1475/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

uditi gli avvocati Orfeo CELATA, Claudio GIANGIACOMO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su ricorso della cittadina colombiana G.O.E. T. al Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro, veniva emesso in data 11.7.2000 un decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di L. 23.443.388, oltre ad interessi e spese, a titolo di spettanze relative al rapporto d’impiego svoltosi tra la medesima e l’Ambasciata della Repubblica di Colombia presso la Santa Sede.

Avverso detto decreto, notificato per via diplomatica, munito di formula esecutiva in data 12.10.2000 e seguito da successivo precetto, la suddetta ambasciata propose opposizione con ricorso depositato il 12.2.2001, deducendo:a) l’inesistenza del provvedimento, perchè emesso in violazione dell’art. 633 c.p.c., u.c.; b) l’inesistenza della relativa notificazione e del pedissequo provvedimento, “per violazione delle norme pattizie e consuetudinarie”;c) la nullità del titolo esecutivo e del relativo precetto, poichè il decreto, trasmesso in data 12.9.10 dall’ambasciata italiana a quella colombiana presso la S. Sede, era stato dichiarato esecutivo prima della scadenza del termine per proporre opposizione.

Costituitasi, la T. resistette all’opposizione, segnatamente eccependone l’inammissibilità, in quanto proposta oltre il termine di gg. 40 di cui all’art. 641 c.p.c..

Nel successivo corso del giudizio, con memoria del 1.4.04, l’opponente eccepì il difetto di giurisdizione dell’A.G. italiana, in ragione degli status personali, di cittadinanza e di servizio, della ricorrente e di inapplicabilità al rapporto della legge italiana, eccezioni la cui ammissibilità venne contestata, per tardività, dalla controparte.

Con sentenza del 1.4.2004 l’adito Tribunale respinse ropposizione, ritenendo: a) che la nullità del decreto ingiuntivo per violazione dell’art. 633 c.p.c. avrebbe potuto essere denunciata soltanto con una tempestiva opposizione;b) che nella specie, nel silenzio della legge, il termine per proporre l’opposizione al decreto ingiuntivo era quello generale di gg. 40 dalla notificazione; c) che quest’ultima non avrebbe potuto considerarsi invalida, non essendo state individuate specifiche convenzioni tra le parti, nella specie inosservate, e che comunque la notifica aveva raggiunto il suo scopo;

d) che infine l’eccezione di difetto di giurisdizione andava “disattesa non risultando che il rapporto tra le parti avesse ad oggetto mansioni legate all’esercizio del potere di governo”.

Avverso detta sentenza l’Ambasciata di Colombia presso la S.Sede propose appello, ribadendo tutte le eccezioni sollevate in primo grado.

Si costituì la T., contestando i motivi di gravame e proponendo appello incidentale ribadente l’inammissibilità per tardività delle eccezioni di difetto giurisdizione ed inapplicabilità della legge italiana, in subordine deducendo che vi sarebbe stata una tacita accettazione al riguardo, chiedendo altresì dichiararsi che l’opposizione doveva considerarsi “al precetto e non a decreto ingiuntivo”.

Con sentenza del 21.2.08, depositata il 31.8.09, la Corte d’Appello di Roma, sezione lavoro, in accoglimento del primo dei dedotti motivi del gravame principale, dichiarava il difetto di giurisdizione, compensando le spese del giudizio, sulla base delle essenziali considerazioni, ritenute assorbenti, secondo cui la questione era “sollevabile anche di ufficio” e fondata, in quanto nella specie, in cui non era stato chiamato in giudizio lo stato straniero, bensì “una Ambasciata in persona dell’Ambasciatore”, non avrebbe potuto trovare applicazione “il noto indirizzo giurisprudenziale” seguito dal primo giudice, a termini del quale il difetto di giurisdizione “sussisterebbe solo per mansioni connesse all’attività di governo”;

sicchè avrebbe dovuto ritenersi sussistente, “si sensi della Convenzione di Vienna 18/4/61 resa esecutiva con L. 9 agosto 1967, n. 804, l’immunità dell’ambasciatore avanti alla giurisdizione dello stato ospitante salvo i casi tassativamente previsti nella detta Convenzione e che non si riscontrano nella presente fattispecie”.

Avverso la suddetta sentenza la T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ha resistito l’Ambasciata della Repubblica di Colombia con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 641 e 647 c.p.c., sostenendosi che il decreto ingiuntivo, opposto dopo gg. 146 dalla sua notificazione, sarebbe divenuto esecutivo, con la conseguente inammissibilità di tutte le eccezioni, ivi comprese quelle di difetto di giurisdizione e inapplicabilità della legge italiana, in quanto precluse dal giudicato al riguardo formato si, ostativo anche al rilievo di ufficio della suddette questioni.

p. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 618 bis, art. 413 e segg., art. 437 c.p.c. e L. n. 218 del 1995, art. 11, sostenendosi l’inammissibilità dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata con la memoria difensiva in corso di causa, sotto i diversi profili della non deducibilità, nell’ambito di un giudizio di opposizione a precetto regolato dalle norme del processo del lavoro, di tutte le “domande non formulate con l’atto introduttivo”, sicchè sarebbe al riguardo intervenuta una tacita accettazione, da parte dell’opponente, della giurisdizione italiana.

p. 3. Con il terzo motivo si deduce, in subordine, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia”, censurandosi la dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte della Corte d’Appello, per incomprensibilità delle ragioni esposte e, comunque, per contrasto “con l’ormai unanime orientamento delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte”, secondo cui, nelle controversie in materia di lavoro alle dipendenze di ambasciate o consolati di Stati esteri, il difetto di giurisdizione sussiste soltanto nei casi in cui la domanda comporti una valutazione del comportamento datoriale che interferisca sul modo in cui lo Stato estero persegue le sue finalità istituzionali e che, pertanto, l’esenzione dalla giurisdizione nazionale non può essere invocata nelle ipotesi in cui la causa, pur attenendo a prestazioni di supporto o collaborative, riguardi aspetti puramente patrimoniali.

p. 4. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Premesso che l’ambasciata colombiana aveva proposto una duplice opposizione, al decreto ingiuntivo ed al precetto, va osservato che solo alla prima apparteneva la questione di giurisdizione, in quanto attinente alla legittimità dell’emissione del decreto ingiuntivo, posto a base dell’esecuzione minacciata con il precetto, e non anche a quest’ultima, per la quale la giurisdizione non poteva che appartenere al giudice italiano.

Al riguardo va richiamato e ribadito il principio, tra gli altri affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 7578 del 31.3.06, secondo cui “presupposto del processo di esecuzione civile è l’esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, senza che possano venire in considerazione profili cognitivi per l’accertamento dell’esistenza di un’obbligazione, con la conseguenza che in punto di giurisdizione non si può profilare altro giudice competente sulla materia”, dalla cui applicazione alla fattispecie discende che soltanto in sede di opposizione a decreto ingiuntivo il giudice adito avrebbe potuto pronunziarsi, su eccezione di parte o di ufficio, in ordine alla questione di giurisdizione, e non anche in quella dell’opposizione a precetto, nell’ambito della quale avrebbero potuto rilevare soltanto le questioni attinenti al diritto dell’assunta creditrice di procedere all’esecuzione forzata, sulla base di un titolo formalmente valido ed in assenza di eventuali sopravvenute cause comportanti l’inefficacia dello stesso.

Consegucntemente, avendo il giudice di primo grado dichiarato inammissibile per tardi vita l’opposizione al decreto ingiuntivo, quello di appello avrebbe potuto decidere sulla questione di giurisdizione soltanto se avesse riformato tale pregiudiziale statuizione, dando così ingresso all’esame dei motivi proposti nell’ambito della predetta opposizione, a nulla rilevando che il primo giudice si fosse, ultroneamente, pronunciato anche in ordine alla eccezione di difetto di giurisdizione, che coerentemente alla suddetta pronunzia avrebbe dovuto essere ritenuta assorbita.

La Corte d’Appello, invece, scavalcando l’ordine logico – giuridico delle questionila ritenuto di passare direttamente all’esame della questione di giurisdizione, omettendo di pronunziarsi su quella dell’ammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, pur avendo al riguardo l’appellante proposto un motivo di gravame.

La relativa questione, riproposta in questa sede dalla controricorrente, è tuttavia inammissibile, per un duplice ordine di considerazioni:

a) perchè, non trovando applicazione nel giudizio di cassazione la regola di cui all’art. 346 c.p.c., il motivo di appello, sul quale il giudice di secondo grado non aveva deciso, ritenendolo erroneamente assorbito, avrebbe dovuto formare oggetto di un ricorso incidentale, diretto alla riforma dell’erronea pronunzia, non potendo essere semplicemente riproposto con controricorso (v. Cass. nn. 110/03, 5357/02, 8537/01);

b) perchè, limitandosi a sostenere che la semplice “trasmissione”, avvenuta in data 12.9.00, del decreto ingiuntivo da parte dell’ambasciata italiana presso la S.Sede a quella colombiana, non avrebbe validamente perfezionato il procedimento notificatorio, come pur ritenuto dal primo giudice, e non attaccando l’altra ratio deciderteli dal medesimo espostaci per sè idonea a sorreggere la statuizione, secondo cui si sarebbe comunque verificata una sanatoria dell’eventuale nullità, per raggiungimento dello scopo da parte dell’atto, la censura risulta comunque carente d’interesse, poichè non potrebbe condurre alla caducazione della decisione di primo grado, nella parte dichiarante l’inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, rimanendo questa sorretta dall’altra ratto (v.

tra le tante Cass. nn 3386/11, 24540/09, 389/07, 20118/06).

p. 6. I rimanenti motivi di ricorso rimangono assorbiti.

p. 7. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata e, confermata l’inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, restando impregiudicate le sole questioni formanti oggetto dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., che la Corte d’Appello ha ritenuto assorbite per effetto dell’indebita declaratoria di difetto di giurisdizione, va disposto rinvio alla stessa, in diversa composizione, per il rinnovo del giudizio in parte de qua.

p. 8. Il regolamento delle spese del presente giudizio, infine, va rimesso a quello di rinvio.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, accoglie il primo motivo ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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