Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1639 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 19/01/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 19/01/2022), n.1639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 980 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Costruzioni Luna s.r.l., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dagli Avv.ti Massimo Capirossi e Salvatore

Mileto per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, via Pietro da Cortona, n. 8, presso lo studio

di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 50/29/2012, depositata in data 13

novembre 2012;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 novembre

2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Costruzioni Luna s.r.l. una cartella di pagamento con la quale, a seguito di controllo automatizzato relativo all’anno di imposta 2001, aveva richiesto il pagamento dell’Irap, Irpeg e Iva non versate; avverso la cartella di pagamento la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara; avverso la decisione del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’appello era fondato solo nella parte in cui denunciava un errore dei primi giudici in ordine alla determinazione della somma dovuta a titolo di Irpeg; non poteva trovare accoglimento il motivo di appello con il quale si faceva valere la inesistenza della pronuncia di primo grado; con riferimento, infine, al recupero dell’Iva, la circostanza che la società non aveva provveduto alla indicazione del credito Iva nella dichiarazione annuale era ostativa al riconoscimento del diritto alla detrazione; non poteva essere accolto, infine, il motivo di appello con il quale la società si doleva della legittimità della pretesa per avere ritenuto che il credito Iva, non riportato nella dichiarazione annuale, era stato preteso quale debito;

la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a nove motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

per ragioni logico sistematiche si ritiene di dovere esaminare prioritariamente il primo e terzo motivo di ricorso;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), per violazione dell’art. 354 c.p.c. e dell’art. 161 c.p.c., comma 2, per avere in parte disatteso ed in parte omesso di esaminare i motivi di appello relativi alla dedotta inesistenza e alla mancata sottoscrizione della sentenza, non provvedendo, come avrebbe dovuto, a rimettere la causa al giudice di primo grado;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per inesistenza della sentenza di primo grado e per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 5), dell’art. 161 c.p.c., comma 2, degli artt. 354 e 276 c.p.c., anche in relazione all’art. 118 disp. att. e all’art. 119 disp. att., comma 2, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per violazione dell’art. 161 c.p.c., comma 2, e dell’art. 354 c.p.c.;

in particolare, parte ricorrente evidenzia di avere impugnato dinanzi al giudice del gravame la sentenza di primo grado atteso che la stessa era inesistente, in quanto: la sentenza era stata emessa da un collegio diverso rispetto a quello che aveva assunto la causa in decisione; la stessa, inoltre, era stata sottoscritta da diverso presidente; era stata, inoltre, emessa da sezione diversa da quella che aveva trattato l’istanza di sospensione; il dispositivo della sentenza era stato comunicato oltre dieci giorni dalla data di deposito; proprio in considerazione della inesistenza della sentenza, il giudice del gravame non avrebbe potuto decidere nel merito, ma avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di primo grado;

i motivi, che possono essere unitariamente esaminati, sono infondati;

invero, va osservato che i motivi di ricorso attengono alla questione dei limiti entro i quali il giudice del gravame possa rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 534 c.p.c.;

la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., 5 dicembre 2018, n. 31396) ha reiteratamente affermato che la decisione deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso, in uno o più membri, da quello che ha assistito alla discussione, in violazione della previsione dell’art. 276 c.p.c., è causa di nullità della sentenza, riconducibile al vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c.. Il difetto di costituzione del giudice è motivo di nullità della sentenza, sebbene nel rispetto delle regole previste dall’art. 161 c.p.c., comma 1. In particolare, la sottoscrizione del provvedimento da parte di un giudice che non abbia partecipato al collegio di discussione della causa, salvo le ipotesi in cui si incorra in un mero errore materiale, da correggere con la specifica procedura, va ricondotta tra le ipotesi di nullità sanabili. Essa infatti esula dalla ulteriore e ben più grave fattispecie in cui sia denunciato il difetto assoluto di sottoscrizione, contemplato nella disciplina prevista dall’art. 161 c.p.c., comma 2, che consente l’impugnazione anche oltre i termini decadenziali prescritti dal comma 1;

in particolare, la sottoscrizione del provvedimento collegiale da parte di un presidente il cui nominativo sia differente da quello indicato nell’epigrafe della sentenza, quando comunque coincida quella del relatore-estensore (salvo le ipotesi di errore materiale), non si pone alla stregua della mancanza di sottoscrizione, ma di sottoscrizione insufficiente;

si è infatti affermato che la sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale, priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore) è affetta da nullità sanabile ai sensi dell’art. 161, c.p.c., comma 1, trattandosi di sottoscrizione insufficiente e non mancante, la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell’atto al giudice, mentre una diversa interpretazione, che accomuni le due ipotesi con applicazione dell’art. 161, c.p.c., comma 2, deve ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata (Cass., Sez. U., sent. n. 11021 del 2014; sul medesimo principio cfr. Cass. Civ., n. 9440 del 2017 in materia tributaria);

d’altronde, che l’ipotesi regolata dall’art. 161 c.p.c., comma 2, riferibile ad una nullità insanabile e impugnabile anche oltre i termini decadenziali, a differenza di quanto previsto dalla medesima norma, comma 1, sia circoscritta alle sole ipotesi di mancanza assoluta di sottoscrizione, emerge da altri arresti della Corte di legittimità. Ad esempio, nel caso in cui la sentenza, sottoscritta dal presidente-estensore, manchi dei nominativi degli altri giudici componenti del collegio, con conseguente impossibilità di desumerne l’identità (Cass. Civ., n. 19214 del 2015), oppure nella ipotesi in cui la sentenza monocratica sia redatta da giudice di verso da quello dinanzi al quale siano state precisate le conclusioni (Cass. Sez. Un., 2 dicembre 2013, n. 26938);

con la suddetta pronuncia a Sezioni unite, in particolare, si è precisato che la sentenza pronunciata da un giudice monocratico diverso da quello dinanzi al quale sono state precisate le conclusioni è affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., con la conseguenza che, da un lato, il vizio può essere fatto valere nei limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, sicché resta sanato in difetto di impugnazione, mentre, dall’altro, l’emersione del vizio in sede di appello non consente la rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c.;

sicché, sebbene l’eventuale modifica della composizione del collegio che aveva assunto in decisione la causa non integri una mera irregolarità, come erroneamente affermato dal giudice del gravame, ma una nullità per vizio di costituzione del giudice, la circostanza che, in sede di appello, sia stato sostanzialmente “rinnovato” il giudizio di merito e non si sia provveduto, come invece postulato dalla ricorrente, alla rimessione della causa al giudice di primo grado, implica la insussistenza della violazione di legge processuale di cui ai motivi di ricorso in esame che, pertanto, sono infondati;

ancora per ragioni di ordine logico sistematico vanno esaminati unitariamente il secondo e sesto motivo di ricorso;

in particolare, con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo, per non avere considerato che l’Iva dovuta per l’anno 2000 era pari a zero e che, di conseguenza, anche il mancato riconoscimento del credito Iva non avrebbe potuto condurre a ritenere sussistente un debito Iva;

inoltre, con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere considerato che l’amministrazione finanziaria aveva trasformato il credito Iva da detrarre in un debito Iva;

i motivi sono inammissibili;

questa Corte, invero, ha più volte precisato (da ultimo, Cass., Sez. Un., 21 luglio 2021, n. 20825) che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; non residuano, dunque, spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi del difetto assoluto di motivazione;

in realtà, nel caso di specie il giudice del gravame ha esaminato le questioni prospettate ed il fatto storico relativo alla supposta “trasformazione” del credito Iva in debito Iva, come si evince dal passaggio della pronuncia in cui ha preso in considerazione la denunciata “inversione di segno”, sicché non può ragionarsi in termini di vizio della motivazione;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e art. 28, comma 3, per avere erroneamente ritenuto che, in caso di omessa dichiarazione annuale, non può essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’Iva;

con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 100 del 1998, art. 1 e della L. n. 212 del 2000, art. 6, commi 2 e 5, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa motivazione su di un fatto decisivo e controverso, per non avere considerato che parte ricorrente aveva provveduto alla tempestiva annotazione del credito Iva nelle dichiarazioni periodiche, sicché non poteva essere disconosciuto il suddetto credito; inoltre, si ripropone la questione del vizio di composizione del collegio che ha deciso la controversia;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono fondati; va evidenziato, in primo luogo, che il profilo di censura concernente la questione relativa al vizio della sentenza di primo grado è stato già oggetto di valutazione in sede di esame del primo e terzo motivo di ricorso, alle cui conclusioni si fa rinvio;

con riferimento, quindi, agli altri profili di censura, dalla sentenza censurata si evince che la contribuente non aveva presentato la dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2000 ma aveva portato in compensazione il suddetto credito con l’iva dovuta a debito per l’anno 2001;

la stessa parte ricorrente evidenzia, nel proprio ricorso, (v. pag. 35), che “pur avendo omesso la dichiarazione dei redditi del 2000, ha indicato ed utilizzato i crediti di imposta nella successiva dichiarazione relativa all’anno 2001”;

questa Corte (Cass., Sez. U. 8 settembre 2016, n. 17758) ha precisato, con riferimento specifico al credito Iva, che il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dall’amministrazione finanziaria a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a Iva e finalizzati a operazioni imponibili e di deduzione eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto;

la sentenza del giudice del gravame non è conforme ai suddetti principi, avendo negato il diritto alla detrazione Iva per il solo fatto che la contribuente non aveva provveduto a presentare la dichiarazione annuale, sicché la stessa è viziata da violazione di legge;

con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 362 c.p.c., per avere riconosciuto la sussistenza di un debito di imposta sebbene tale circostanza non fosse stata oggetto del giudizio;

il motivo è inammissibile;

parte ricorrente non ha assolto all’onere di specificità del motivo, non avendo riprodotto il contenuto della cartella di pagamento e tenuto conto del fatto che, in ogni caso, la pretesa dell’amministrazione finanziaria avente ad oggetto la richiesta al pagamento dell’Iva derivava dal disconoscimento della compensazione verticale operata dalla contribuente;

con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere deciso su diverse ragioni e deduzioni prospettate dalla ricorrente;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, ripropone questioni (la rilevanza della dichiarazione periodica ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione, l’inesistenza di un debito Iva) sulle quali il giudice del gravame si era, comunque, pronunciato;

con il nono motivo di ricorso parte ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 91, c.p.c., che la controparte sia condannata a titolo di responsabilità aggravata;

l’accoglimento del quarto e quinto motivo di ricorso e la cassazione con rinvio anche ai fini della liquidazione delle spese comporta l’assorbimento del presente motivo;

in conclusione, sono fondati il quarto e quinto motivo, infondati il primo, terzo e nono, inammissibile il secondo, sesto, settimo e ottavo, con conseguente accoglimento del ricorso per i motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il quarto e quinto motivo di ricorso, infondati il primo, terzo e nono, inammissibile il secondo, sesto, settimo e ottavo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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