Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16387 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. un., 27/07/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 27/07/2011), n.16387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. FELICETTI Francesco – consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTEZEBIO

32, presso lo studio dell’avvocato TAMBURRO LUCIANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato BARRA CARACCIOLO FRANCESCO, per delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA

PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2/2011 del Consiglio Superiore della

Magistratura, depositata il 10/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato Gerardo TUORTO per delega dell’avvocato Francesco

Barra Caracciolo;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo e,

previo controllo dei prospetti statistici, eventualmente del quinto

motivo; rigetto degli altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il dr. C.M., giudice presso il tribunale di Napoli, incolpato della violazione di cui al D.L. 23 febbraio 2006, n 109, artt. 1 e 2, comma 1, lett. q) per avere nella prefata qualità, violato i doveri di diligenza e laboriosità, avendo omesso di osservare, i termini di deposito di 49 sentenze civili e di 283 ordinanze riservate, incorrendo in gravi ritardi nel periodo tra il 12.3.2002 e il 18.9.2007, era stato prosciolto dalla Sezione disciplinare del CSM in ragione del carico di lavoro cui doveva far fronte in una situazione di difficoltà organizzativa dell’ufficio di appartenenza, essendo addetto alla Sezione distaccata di Pozzuoli.

Con sentenza in data 18.6.2010, n 14697, queste Sezioni unite, adite dal Ministro della Giustizia, avevano cassato con rinvio la decisione relativa, enunciando il principio secondo cui il ritardo nel deposito di sentenze e provvedimenti giudiziari integra l’illecito disciplinare de quo qualora risulti, oltre che reiterato e grave, anche ingiustificato, come tale intendendosi in ogni caso il ritardo che leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, mentre la scarsa laboriosità del magistrato, che è indice di non giustificabilità del ritardo, non costituisce condicio sine qua non ai fini della confìgurabilità dell’illecito.

Con sentenza in data 10.12.2010/19.1.2011, in sede di rinvio, la Sezione disciplinare del CSM ha inflitto al C., affermatane la responsabilità disciplinare in ordine all’incolpazione ascrittagli, la sanzione della censura.

Si osservava che l’illecito contestato aveva natura abituale, e tanto non consentiva quindi di accedere alla tesi difensiva volta ad ottenere la scissione dei fatti tra quelli consumati prima o dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n 109 del 2006. Ritenuti sussistenti sia la reiterazione, sia la gravità sia la mancanza di giustificazione dei riscontrati ritardi, di notevole entità, e rilevato che il magistrato non aveva impegni aggiuntivi rispetto alle tre udienze settimanali e che la di lui laboriosità non poteva considerarsi molto alta, si era concluso nel senso che le difficili condizioni in cui aveva operato potevano influire solo sulla sanzione, che veniva inflitta nella misura minima della censura.

Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di undici motivi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta l’omessa valutazione di una prova decisiva, consistente nel mancato raffronto tra il lavoro svolto dal C. e quello di altri magistrati che avessero operato in condizioni paragonabili, segnatamente la dr. C., che poteva dirsi in condizioni di lavoro analoghe, se non coincidenti con quelle dell’odierno ricorrente, e che aveva anch’essa accumulato ritardi consistenti nel deposito delle sentenze.

Va al riguardo osservato che la doglianza svolta attiene, anche a voler considerare il raffronto quale risultante dagli atti (peraltro non decisivo nei sensi auspicati in ricorso), ad una valutazione dei fatti di causa, non censurabile in sede di legittimità se non per palese carenza argomentativa, certamente non riscontrabile nell’iter logico seguito dalla Sezione disciplinare del CSM, cosa questa che comporta l’inconsistenza del motivo come proposto; esso deve essere pertanto respinto. Con il secondo mezzo si lamenta la mancata valutazione della separazione personale intercorsa tra il C. e la propria moglie, con riflessi particolarmente pesanti, relativamente al rapporto con i figli minori.

Trattasi all’evidenza di situazioni gravemente incidenti sulla serenità e l’atteggiarsi fisio-psichico della persona, ma anche tale profilo, afferente alla sfera personale del soggetto, rientra tra gli elementi sottoposti alla valutazione discrezionale del giudice del merito, che non può essere censurata in questa sede solo perchè divergente da quella che si auspicherebbe come più confacente e congrua rispetto a quella che si assume essere la gravita del fenomeno.

Con il terzo motivo si lamenta la mancata assunzione di una prova definita decisiva, la testimonianza del Presidente del tribunale di Napoli; la Sezione disciplinare ha espressamente motivato circa la mancata assunzione di tale testimonianza, già ammessa e non raccolta per la mancata comparizione del teste, impedito, assumendo che i fatti su cui lo stesso avrebbe dovuto deporre risultavano compiutamente accertati sulla base delle altre testimonianze acquisite.

Ora, a fronte di una affermazione così precisa, o si dimostra che la stessa non corrisponde a quanto emerge dagli atti, ovvero si incorre in una critica alla valutazione delle prove quale effettuata e si sconfina dall’ambito del giudizio di legittimità.

Nella specie, non può sottacersi che le circostanze su cui il Presidente avrebbe dovuto riferire, erano desumibili tutte dalla larga documentazione acquisita al processo, cosa questa che rende plausibile e aderente alla realtà processuale la motivazione adottata per ritenere superflua l’audizione del teste.

Ne consegue che la doglianza è infondata e che il motivo non può trovare accoglimento.

Con il quarto mezzo si lamenta travisamento della prova in ordine alla asserita serialità dei provvedimenti in materia di esecuzione;

all’uopo si riportano numerosi dati, desunti dalle testimonianze assunte, che dimostrerebbero il contrario.

Rileva questa Corte che il rilievo, confortato dalle affermazioni di alcuni testi, appare sostanzialmente confermato, ma occorre rilevare che l’affermazione relativa contenuta in sentenza, non costituisce una ratio decidendi unica ed autonoma, ma costituisce sostanzialmente un obiter dictum, che non esaurisce affatto le ragioni poste a base della decisione assunta e che pertanto, pure se non motivata compiutamente, non inficia l’iter argomentativo che è alla base della decisione impugnata; il mezzo non può pertanto trovare accoglimento.

Con il quinto motivo si lamenta carenza di motivazione in ordine a preteso travisamento della prova in ordine al numero dei provvedimenti redatti; si assume che la decisione impugnata sarebbe incorsa in grave errore nell’enumerare i provvedimenti redatti dal C. che, dai prospetti statistici acquisiti agli atti, risulterebbero molto più numerosi di quelli considerati come emessi dal magistrato.

Anche ove la lamentata discrasia tra i dati risultanti e quelli considerati in sentenza risultasse nei termini denunciati, deve rilevarsi, in base alla complessiva argomentazione su cui l’iter motivazionale si basa , che la ratio decidendi non poggia in maniera decisiva su tale dato, ma si configura come riflettente una situazione più articolata, che inserisce il problema dei ritardi in una ottica complessiva, di cui il numero dei provvedimenti redatti costituisce solo un aspetto.

Va pure sottolineato che la scarsa produttività del magistrato non costituisce, come correttamente ritenuto nella decisione impugnata, condicio sine qua non ai fini della sussistenza dell’illecito contestato.

Tanto comporta che la doglianza non impinge su di un profilo decisivo e pertanto non investe un dato determinante ai fini della decisione adottata; consegue che lo stesso non merita accoglimento.

Con il sesto motivo si lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, laddove la stessa si incentra sul raffronto tra i ritardi dell’odierno i ricorrente e quelli riscontrati a carico del Dr. Q..

La censura attiene ad un profilo di valutazione del quadro probatorio, che si basa sui diversi compiti svolti dai due (oltre che sulla diversità degli uffici a cui i due magistrati erano addetti), dato questo incontestabile, ma che finisce per inserirsi in una critica alla valutazione dei fatti di causa quale operata dalla Sezione disciplinare, che non risulta nel suo complesso carente sotto il profilo logico ed argomentativo;

non è infatti sufficiente a svilire la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata della vicenda nel suo complesso il contrapporre ad essa elementi che contrastino con gli elementi posti a sostegno della decisione e che ne attenuino la valenza, ma occorre dimostrare la insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione adottata, cosa questa che la doglianza in esame non giunge a fare.

Anche tale mezzo pertanto non può trovare accoglimento.

Il settimo motivo, pur denunziando una violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in realtà lamenta che non sarebbe stato preso nella dovuta considerazione, al di là del numero (tre) delle udienze settimanalmente tenute dal dr. C., il numero dei procedimenti fissati per ciascuna udienza, evidenziandone l’entità e che non sarebbe significativo tanto l’attività di udienza quanto quella conseguente e svolta al di fuori dell’udienza stessa.

Si tratta, anche relativamente a questa doglianza, di una critica alla valutazione che dei diversi elementi emersi è stata effettuata dalla Sezione disciplinare, ma la stessa, pur evidenziando situazioni ben note a chiunque conosca come si svolge il lavoro del giudice, presuppone che tale dato, certamente incidente sulla produttività del magistrato, sia stato ignorato nella decisione impugnata, mentre così non è, atteso che i riferimento al numero delle udienze settimanalmente tenute non costituisce che uno dei parametri cui è stato ritenuto utile riferirsi, ma non costituisce certo l’unico mezzo di valutazione della situazione, anche quantitativa, in cui aveva dovuto operare il dr. C..

In ragione di tanto, il rilievo non è tale da elidere la valenza de complesso argomentativo che è alla base delle decisione assunta.

Anche tale mezzo pertanto non può trovare accoglimento.

L’ottavo motivo, strettamente connesso al precedente, lamenta carenza di motivazione in ordine alla rilevanza conferita al numero delle udienze settimanali, a fronte degli altri elementi posti in risalto.

Le considerazioni svolte a proposito del settimo motivo appaiono confacenti e sufficienti per controbattere in limine tale asserzione, oltre tutto formulata in maniera generica e che va pertanto respinta.

Con il nono motivo ci si duole sostanzialmente del fatto che la motivazione si sarebbe soffermata sul rilievo che il numero dei provvedimenti emessi dal C. non era aumentato in relazione all’accertato aggravio di lavoro, quando una comparazione tra i due dati cronologicamente situati non era possibile in ragione dell’assenza di elementi statistici acquisiti al riguardo.

Ancora una volta nel formulare la presente censura ci si limita ad evidenziare un profilo assolutamente settoriale e di dettaglio esaminato a conforto della motivazione adottata, mancandosi di cogliere il profilo sistematico e complessivo della valutazione che ha portato alla decisione adottata.

L’atomizzazione delle ragioni poste a base della decisione mediante riferimento a specifici aspetti di volta in volta evidenziati o costituisce una valida ragione per porre in evidenza una susseguente insufficienza argomentativa della sentenza impugnata, o finisce per risolversi in una serie di rilievi riferiti a singole espressioni o anche considerazioni, ma non intacca la ratio decidendi che regge la decisione assunta. Poichè anche la censura in esame non assurge alla valenza di dimostrare la inidoneità della ragioni che reggono la sentenza in esame, risolvendosi in diverse valutazione degli elementi acquisiti al processo, anche tale mezzo non può trovare accoglimento. Il decimo e l’undicesimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, atteso che, sia pure sotto profili diversi, affrontano la stessa tematica e cioè quella relativa alla riconducibilità dei ritardi verificatisi anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n 109 del 2006, alla disciplina da tale normativa introdotta al riguardo (art. 2, comma 1, lett. q).

Queste Sezioni unite si erano già pronunciate al riguardo (sentenza n 14697 del 2010) in questo stesso procedimento, affermando che sebbene la condotta illecita fosse cominciata prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo, essa era poi giunta a compimento nel 2007, donde l’applicabilità dell’art. 2, pure citato, conformemente al disposto dell’art. 32 bis dello stesso decreto, aggiunto dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3, lett. q) (cfr. Cass. SS. UU. 9.12.2008; 21.1.2010, n. 967).

La questione deve pertanto considerarsi preclusa alla luce del principio come sopra enunciato, in questo stesso procedimento, cui si presta peraltro convinta adesione, mentre le considerazioni svolte in ricorso non varrebbero comunque a svilirne la compiuta valenza. Anche i due ultimi motivi pertanto devono essere respinti e, con essi il ricorso.

Non v’ha luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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