Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16386 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Anton – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Ange – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10565/2014 R.G. proposto da

G.L., rappresentato e difeso, in virtù di procura a

margine del ricorso, dagli Avv.ti Giuseppe Picone e Giuseppe

Criscuolo, elett.te dom.to in Roma presso la cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è

domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 214/03/13, depositata in data 22/7/2013, non

notificata, della Commissione Tributaria della Campania – Napoli;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6

febbraio 2020 dal Dott. Angelo Napolitano.

 

Fatto

La Commissione tributaria provinciale di Caserta accolse il ricorso proposto dal notaio G.L. ed annullò l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS) dell’8/10/2010 con il quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Caserta aveva richiesto il recupero dell’imposta di registro sugli acconti, rateizzati, previsti nel contratto preliminare di compravendita, concluso con scrittura privata autenticata registrata il (N.dr. testo non leggibile).

Su appello dell’Amministrazione la CTR riformò la sentenza di primo grado, ritenendo legittima l’imposta di registro al 3% sulla somma corrispondente agli acconti sul prezzo previsti nel preliminare di compravendita.

Avverso la detta sentenza di appello il Lupoli ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un solo motivo.

Resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

1. Con l’unico motivo di ricorso, rubricato “Error in iudicando Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della Tariffa, Parte I – Difetto di presupposti — Errata interpretazione Eccesso di potere”, il ricorrente si lamenta che i giudici di appello avrebbero ritenuto assoggettata all’imposta proporzionale del 3% la somma corrispondente al saldo prezzo frazionato e rateizzato in distinte tranches di pagamento, da corrispondersi successivamente alla sottoscrizione del preliminare, qualificandolo come acconto senza che nel contratto fosse mai utilizzato questo termine (acconto), e senza considerare che la somma corrispondente al saldo prezzo frazionato, sulla quale è stata calcolata l’imposta da versare all’erario, non era stata ancora versata.

In particolare, la circostanza che l’imposta del 3% sugli acconti sul prezzo stabiliti nel preliminare di compravendita dovesse essere pagata a prescindere dal versamento delle singole tranches di prezzo determinerebbe, secondo il ricorrente, una disparità di trattamento rispetto agli oneri cui è tenuto chi compra da un soggetto iva, tenuto a corrispondere quest’ultima solo ad ogni singolo pagamento.

Inoltre, ritenere che l’imposta proporzionale sull’ammontare complessivo dell’acconto sia dovuta a prescindere dall’incasso delle varie rate determinerebbe un ingiustificato arricchimento dell’erario nel caso in cui il preliminare fosse risolto prima che le rate tutte fossero incassate, atteso che, peraltro, dell’importo versato a titolo di imposta proporzionale di registro non sarebbe possibile chiedere il rimborso.

2. Il ricorso è inammissibile, sotto un duplice profilo.

Innanzitutto esso pecca di mancanza d’ autosufficienza, nella parte in cui il ricorrente, dolendosi del fatto che “in nessuna parte dell’atto è utilizzata la parola accorto”, non produce il contratto preliminare, non indica alla Corte dove reperirlo, nè trascrive il suo contenuto, per quel che rileverebbe ai fini della spiegata censura, nel corpo del ricorso.

Peraltro, si deve rilevare che il ricorrente non deduce, n questa sede, la violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto, con la conseguenza che egli tenta, inammissibilmente, di accreditare una interpretazione del contratto diversa da quella ad esso data dai giudici di merito.

Con riferimento, poi, alle altre doglianze avverso la sentenza di appello, si rileva che esse sono rivolte, genericamente, peraltro infondatamente, contro la ragionevolezza della previsione della nota all’art. 10 della Tariffa Parta I del D.P.R. n. 131 del 1986, più che contro la interpretazione di essa data dai giudici di merito. Infatti, la circostanza che gli acconti sul prezzo di cui il contratto preliminare preveda il pagamento sono soggetti a l’imposta proporzionale del 3%, a prescindere dal loro versamento, è frutto di una scelta discrezionale e insindacabile del legislatore tributario, nè può stabilirsi un confronto con l’iva, come tenta di fare il ricorrente, attesa la diversità dei presupposti e del meccanismo di applicazione dell’imposta di registro rispetto all’iva.

Infine, non è condivisibile l’affermazione secondo la quale, se il contratto preliminare fosse risolto, il soggetto obbligato al pagamento dell’imposta di registro proporzionale sugli acconti subirebbe un esborso fiscale sostanzialmente senza causa e non rimborsabile.

Correttamente, infatti, la sentenza di appello ha, sul punto, chiarito che, ove il contratto preliminare non sia, seguito dal definitivo, resta dovuta dalle parti solo l’imposta in misura fissa sul contratto preliminare, ma dovrà essere restituita dall’erario l’imposta proporzionale sull’acconto.

In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro duemiladuecento per onorari, oltre al rimborso delle spese generali e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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