Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16382 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 26/07/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 26/07/2011), n.16382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FANELLI

CLAUDIO giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

RCS QUOTIDIANI SPA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, nella persona del procuratore, M.

P., nella qualità di direttore responsabile del Corriere della

Sera, V.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo studio dell’avvocato LAURI FRANCESCO,

rappresentati e difesi dagli avvocati MALAVENDA CATERINA, GIANCASPRO

VINCENZO giusta procura in calce alla citazione di parte avversa,

allegata in atti;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1574/2010 del TRIBUNALE di BARI, depositata il

06/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Quanto segue:

1. D.M. ha proposto istanza di regolamento di competenza contro la s.p.a. RCS Quotidiani, M.P. (nella qualità di direttore responsabile pro tempore del quotidiano ” (OMISSIS)”) e V.C. avverso la sentenza del 6 maggio 2010, con la quale il Tribunale di Bari – da lui investito nell’ottobre 1987 di una domanda contro i predetti, intesa ad ottenere la loro condanna solidale al risarcimento dei danni derivanti al proprio decoro ed alla propria reputazione dalla pubblicazione di un articolo a firma del V. su detto quotidiano, edito dall’indicata società – ha dichiarato, in accoglimento dell’eccezione di incompetenza formulata dai convenuti ai sensi dell’art. 30 bis c.p.c. in ragione dell’essere il D. un magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Bari, la sua incompetenza e la competenza del Tribunale di Lecce, individuandolo ai sensi dell’art. 11 c.p.p..

p. 2. All’istanza di regolamento di competenza hanno resistito con congiunta memoria tutti e tre gli intimati.

p. 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi dei tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Considerato quanto segue:

p. 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. sono state svolte le seguenti considerazioni:

” (…) 3. – L’istanza proporne due gradati motivi.

Con il primo si postula che il Tribunale avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 30 bis c.p.c. per come ridimensionato da Corte costituzionale n. 147 del 2004, in quanto la norma risultante da tale ridimensionamento sarebbe applicabile soltanto qualora le azioni di risarcimento danni e da restituzione da reato che vedano coinvolto un magistrato conseguano davanti al giudice civile in una situazione in cui però abbia avuto corso il procedimento penale sul fatto di reato. Poichè nella specie non era stata presentata querela e, quindi, non aveva avuto inizio alcun procedimento penale, la citata norma non trovava applicazione.

In subordine, ove non dovesse accogliersi questa lettura della norma, si prospetta questione di legittimità costituzionale della stessa, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui sarebbe applicabile alle controversie di risarcimento danni e di restituzioni da reato in cui sia coinvolto un magistrato ancorchè non sia stato iniziato e non possa più iniziare il procedimento penale sul reato, atteso che in questo caso l’azione civile avrebbe perso ogni collegamento con il reato.

Con il secondo motivo, si deduce che, anche ammessa l’applicabilità dell’art. 30 bis alla controversia, il foro di cui all’art. 11 c.p.p. sarebbe stato determinato in modo erroneo, perchè, avendo il ricorrente assunto nelle more dello svolgimento del giudizio le funzioni di Procuratore della Repubblica di Brindisi ed avendolo fatto presente, tale circostanza, rilevante ai sensi dell’art. 30 bis, comma 2, avrebbe dovuto indurre il Tribunale di Bari a declinare la competenza a favore del Tribunale di Potenza, competente in relazione al distretto di Corte d’Appello di Lecce ai sensi delle tabelle cui fa rinvio l’art. 11.

3.1. – Il primo motivo proposto dall’istanza di regolamento di competenza è manifestamente infondato.

La lettura dell’art. 380 bis riscritto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 147 del 2004 che viene proposta dal ricorrente nel senso che la norma operi soltanto se per il fatto di reato è iniziato il processo penale è palesemente contraria sia al tenore della motivazione della sentenza del Giudice delle leggi, sia al suo dispositivo, nonchè all’esegesi che dell’una e dell’altra ha già fornito questa Corte nell’individuare la norma effettivamente scaturente dalla declaratoria di incostituzionalità.

Sotto l’aspetto della motivazione la Consulta – dopo avere osservato che “la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 30 bis cod. proc. civ. non coinvolge le altre norme che – in via autonoma e indipendente da esso – sottraggono alle ordinarie regole di competenza territoriale alcuni tipi di cause civili riguardanti magistrati e concernenti l’esercizio delle loro funzioni” ed averle individuate in quelle relative ai giudizi di cui alla L. n. 117 del 1988, artt. 4 e 8, come modificati dalla L. n. 420 del 1998, nonchè in quelle concernenti i giudizi di cui alla 1. n. 89 del 2001 ed avere osservato che “Sottraendo alle ordinarie regole di competenza territoriale e devolvendo al foro derogatorio identificato dall’art. 11 cod. proc. pen. siffatte controversie civili riguardanti magistrati e concernenti l’esercizio delle loro funzioni, queste norme intendono evitare ogni rischio di incidenza sulla serenità del giudice, conseguente alla preesistenza di rapporti personali con il magistrato interessato alla causa”, soggiungendo, altresì, di seguito che “quindi si fondano palesemente proprio sulla valutazione di bilanciamento -alla quale questa Corte si è più volte riferita – fra i due interessi, entrambi costituzionalmente garantiti, all’imparzialità- terzietà del giudice ed all’effettività della tutela giurisdizionale nella specifica categoria di controversie” – ha espressamente rilevato, nel determinare l’ambito dell’art. 30 bis ridimensionato, che “Allo stesso bilanciamento deve essere ricondotta la disciplina delle cause civili riguardanti magistrati e concernenti le restituzioni e il risarcimento dei danni da reato”.

Questa espressione, prestandosi a ricomprendere sia l’ipotesi in cui l’azione civile de qua venga esercitata se un processo penale abbia avuto corso, sia se non abbia avuto corso, è già contraria alla prospettazione del ricorrente.

La quale – se ve ne fosse bisogno – è ulteriormente confutata dal successivo passo motivazionale, che così si esprime: “Ove sia esercitata nel processo penale mediante la costituzione di parte civile, l’azione è regolata dall’art. 11 cod. proc. pen., che sottrae all’ordinaria competenza territoriale ed assoggetta ad una regola di competenza derogatoria i procedimenti penali in cui un magistrato assuma la qualità di persona sottoposta ad indagine o di imputato, ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, e che sarebbero di competenza di un ufficio giudiziario del distretto in cui egli esercita le sue funzioni o le esercitava al momento del fatto. L’azione può peraltro essere esercitata direttamente in sede civile. Ma ciò non toglie che – dovendo il giudice civile valutare il fatto di reato in via incidentale, così giudicando la stessa vicenda per la quale il legislatore, nel processo penale, ha previsto lo spostamento di competenza – anche in tal caso ricorrano le ragioni del bilanciamento di interessi cui si ispira la regola di competenza derogatoria posta dall’art. 11 cod. proc. pen. Altrettanto deve dirsi per le cause civili concernenti il risarcimento del danno derivante da fatti di reato commessi dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, che costituiscono una specie rispetto al genere più ampio disciplinato dall’art. 11 cod. proc. pen.. Anche per tali cause – che, in base alla L. n. 117 del 1988, art. 13 ed al rinvio alle “norme ordinarie” ivi contenuto, si propongono nei diretti confronti del magistrato, a differenza di quelle di cui all’art. 4 della citata legge – sussistono le medesime ragioni del bilanciamento di interessi espresso dall’art. 11 cod. proc. pen.”.

Sia il riferimento all’esercizio dell’azione direttamente in sede civile, sia il riferimento alla cognizione incidentale del fatto di reato, sono concetti che comprendono indifferentemente l’ipotesi in cui un processo penale abbia avuto inizio, sia quella contraria, ivi compreso il caso che, per meccanismi inerenti l’esercizio dell’azione pena, non abbia più la prospettiva di iniziare.

Non solo: la sottolineatura dell’eadem ratio dell’esigenza di bilanciamento quale giustificazione della salvezza dell’art. 30 bis per le controversie eccettuate rispetto alle ipotesi esterne alla norma, rafforza questa conclusione, atteso che esse non hanno un necessario collegamento con fatti di reato.

Quanto al dispositivo si deve, poi, rilevare che per attribuire alla sentenza manipolativa il significato voluto dal ricorrente, la Corte costituzionale avrebbe dovuto indicare espressamente la limitazione da lui supposta.

Le svolte osservazioni, peraltro, non possono esimere dal rilievo che una soluzione come quella prospettata dal ricorrente, pur concesso che lo strepitus fori è maggiore se ad un fatto di reato segue il processo penale, rispetto al caso in cui venga solo esercitata l’azione civile ad esso collegata, sarebbe stata del tutto illogica, perchè l’azione civile è sempre la stessa e la regola speciale di competenza non può che avere valore in entrambi i casi per l’assorbente ragione che l’immagine di imparzialità del foro adito viene in gioco allo stesso modo nell’uno e nell’altro.

Tanto basta per disattendere la questione di costituzionalità prospettata in subordine dal ricorrente.

Il principio di diritto che giustifica il rigetto del primo motivo è, dunque, il seguente (già affermato da Cass. n. 4185 del 2010 e che qui si precisa con il riferimento all’esclusione che un processo penale abbia avuto inizio): “La norma desumibile dalla disposizione dell’art. 30-bis c.p.c, cioè dal testo linguistico di essa, una volta intesa in modo conforme e corrispondente alla restrizione operata da Corte cost. n. 147 del 2004, risulta individuata nei termini seguenti: “Le azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui – indipendentemente dal fatto che un procedimento penale sia stato iniziato – sia parte un magistrato, nei termini di cui all’art. 11 c.p.p., che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 c.p.p.”.

3.2. – Il secondo motivo è fondato.

La sua fondatezza, peraltro, non coinvolge direttamente l’art. 30 bis c.p.c., comma 2, bensì l’applicazione di un principio che si deve desumere in via implicita da quanto detto comma 2 prevede.

Invero, il comma 2 della norma (sulla cui esegesi si veda da ultimo Cass. (ord.) n. 19972 del 2010), concerne l’ipotesi in cui, durante la pendenza di una controversia soggetta alla regola di cui all’art. 30 bis, comma 1, siccome rideterminata in senso riduttivo dalla citata sentenza della Consulta, essendo stata tale controversia introdotta davanti al giudice competente alla stregua del rinvio all’art. 11 c.p.p., il magistrato che ne è parte venga a prestare servizio nell’ambito del distretto della corte d’appello in cui pure era stata correttamente incardinata, nel rispetto di quella norma, la controversia. Sì che si determini una situazione che, se fosse stata esistente al momento della proposizione della domanda avrebbe escluso la proponibilità della domanda davanti ad un giudice di quel distretto, mentre l’ha consentita, proprio in applicazione della regola dell’art. 11, perchè quella situazione di prestazione del servizio nell’ambito del distretto non sussisteva e perchè anzi la situazione di prestazione del servizio del magistrato temporibus illis individuava il giudice adito ai sensi dell’art. 11. In questa ipotesi, con evidente deroga alla regola dell’art. 5 c.p.c., la sopravvenienza di un mutamento dello stato di fatto relativo al luogo di prestazione del servizio diviene eccezionalmente rilevante (alle condizioni indicate dall’ordinanza da ultimo citata) perchè, ad avviso del legislatore, la ratio impositiva dell’esclusione della trattazione della controversia nel distretto in cui presta servizio il magistrato si configura comunque (in termini si veda anche Cass. (ord.) n. 27666 del 2009).

L’ipotesi che si è verificata nel caso di specie è, invece di adizione del giudice competente secondo le regole di competenza ordinarie anzichè nell’osservanza dell’art. 30 bis e di sopravvenienza nelle more della decisione del giudice adito ed investito della relativa questione di competenza, di un mutamento dello stato di servizio quoad loci del magistrato, che, se fosse stato esistente fin dalla proposizione della domanda avrebbe potuto determinare l’esclusione della competenza solo qualora secondo le regole ordinarie si fosse dovuta radicare solo od anche (concorrendo due fori ordinali diversi) davanti al giudice del distretto di prestazione del servizio.

Il mutamento sopravvenuto dello stato di servizio, viceversa, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., si sarebbe dovuto considerare irrilevante, perchè ai sensi di tale norma la competenza si determina con riferimento al momento della domanda. Si vuoi dire, cioè, che se al momento della proposizione della domanda il giudice competente secondo il rinvio dell’art. 11 c.p.p., in deroga alle regole ordinarie era quello del distretto di sopravvenuto esercizio delle funzioni, tale sopravvenienza si dovrebbe considerare irrilevante alla stregua dell’art. 5 c.p.c. se sussista al momento in cui il giudice erroneamente adito ai sensi dell’art. 30 bis dichiara la propria incompetenza e provvede ad individuare il giudice competente.

La rimessione, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., dovrebbe avvenire al giudice del distretto di sopravvenuta esercizio delle funzioni nonostante tale sopravvenienza. Ora, elementari ragioni di coerenza con il principio desumibile dall’art. 30 bis, comma 2, il quale deroga all’art. 5 c.p.c., quando è stato adito il giudice esattamente competente secondo il comma 1 della norma, cioè determinato secondo il criterio di rinvio all’art. 11 citato, e il magistrato si trasferisce nel distretto di cui l’ufficio adito fa parte, impongono di escludere l’indicata conseguenza. Di modo che si deve ritenere che, allorquando sia stato adito un giudice competente secondo le regole ordinarie in violazione dell’art. 30 bis c.p.c., comma 1, come nella specie, il giudice davanti al quale deve farsi la rimessione della controversia non vada determinato dando rilievo allo stato di fatto del servizio del magistrato al momento di proposizione della domanda, bensì a quello sopravvenuto fino alla decisione, per cui il giudice cui rimettere la causa dev’essere determinato dando rilievo a tale sopravvenienza.

Sarebbe del tutto illogico dare rilievo alla sopravvenienza per spostare una competenza correttamente radicata (siccome impone l’art. 30 bis, comma 2) e non invece per individuare il giudice della rimessione in sede di dismissione di una competenza mal radicata in violazione della stessa norma.

Da quanto osservato emerge che, essendosi pacificamente prospettata nel giudizio di merito la sopravvenienza ed essendo sub indice la questione di competenza ai sensi dell’art. 30 bis (il che evidenzia che si pongono i problemi scrutinati dalla Corte nell’ord. n. 19972 del 2010), il Tribunale, nel dismettere la competenza ed individuare il giudice competente ai sensi dell’art. 30 bis avrebbe dovuto considerarla rilevante e, quindi, determinare il giudice competente tenendone conto e pertanto nel distretto individuato dalla tabella A di cui all’art. 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. con riferimento allo stato di servizio sopravvenuto e, quindi, nel distretto di Corte d’Appello di Potenza e, dunque, nel Tribunale di Potenza.

3.3. – Conclusivamente dovrebbe essere dichiarata la competenza del Tribunale di Potenza”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere.

L’istanza di regolamento di competenza è, pertanto, accolta quanto alla sua prospettazione subordinata ed è dichiarata la competenza del Tribunale di Potenza, davanti al quale il giudizio dovrà essere riassunto nel termine di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente.

Sulle spese del giudizio di regolamento deciderà il giudice di merito.

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Potenza. Fissa termine di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente per la riassunzione davanti ad esso, cui rimette la decisione sulle spese del giudizio di regolamento di competenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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