Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16382 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/06/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 10/06/2021), n.16382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12131/2017 proposto da:

R.C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. TOMMASO

D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato CARLO BORELLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO ALTAMURA;

– ricorrente –

contro

MCBRIDE ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA

2/B, presso lo studio dell’avvocato STEFANO LATELLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAURA IMPARATO;

– controricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA

SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1134/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/11/2016 R.G.N. 435/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza 16 novembre 2016, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto, nel contraddittorio anche con l’Inps, da R.M.C., dipendente di Mc Bride Italia s.p.a., avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande, previa la dichiarazione di nullità della conciliazione sottoscritta tra le parti il 5 aprile 2012 innanzi al Giudice del Lavoro di Monza, di accertamento del suo diritto all’inquadramento nella superiore categoria A/1, ovvero A/3, ovvero ancora B/2 del CCNL Chimici e di condanna della società datrice alle differenze retributive maturate dal 30 settembre 1993, nonchè tra la retribuzione percepita nel periodo di CIG e quella che invece le sarebbe spettata qualora non fosse stata illegittimamente sospesa dal lavoro per tale ragione;

2. a motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva l’impugnabilità della suindicata conciliazione siccome avvenuta in sede giudiziale e quindi protetta, ai sensi dell’art. 2113 c.c., u.c.. E così pure la sussistenza dei prospettati vizi di inesistenza delle reciproche concessioni, per il suo contenuto transattivo, nè dei vizi della volontà denunciati; neppure ricorrendo ipotesi di rescindibilità, in assenza dei requisiti prescritti dall’art. 1447 c.c., nè violazione dell’art. 2115 c.c., non configurandosi alcun patto elusivo di obblighi previdenziali datoriali, siccome connessi alla domanda di maggior inquadramento rinunciata;

3. parimenti infondata essa riteneva, infine, la domanda della lavoratrice al pagamento di differenze retributive per illegittima collocazione in CIG nella sospensione del rapporto di lavoro per malattia, per la ritenuta applicabilità (secondo indirizzo di legittimità citato) della sostituzione dell’indennità giornaliera per essa prevista con quella di CIG, qualora relativa alla sospensione dell’attività produttiva, come appunto nel caso di specìe, per identità di ratio con la CIGS, per la quale espressamente stabilita dalla L. n. 464 del 1972, art. 3;

4. con atto notificato il 11 e 12 maggio 2017, la lavoratrice ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui la società datrice resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. la ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., violazione degli artt. 1965,2103,2110,2120 c.c., artt. 3,36,38 Cost., artt. 112,113,115,116 c.p.c. e omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per inesistenza di reciprocità delle concessioni nell’accordo di conciliazione tra le parti e pertanto del suo valore transattivo, non essendo tali nè l’elemento di “integrazione del T.f.r.”, siccome diritto della lavoratrice erogato in via anticipata, nè la consegna della “lettera di ricostruzione della carriera”, letta dalla Corte territoriale quale missiva di presentazione per il reperimento di altro impiego, in realtà evidenziante le reali mansioni prestate nel tempo della lavoratrice in azienda e pertanto di riconoscimento della superiore qualifica rivendicata; nonchè per omessa pronuncia in ordine, all’eccezione di genericità (primo motivo);

2. esso è inammissibile;

2.1. giova premettere che dalla scrittura contenente una transazione debbano risultare gli elementi essenziali del negozio e quindi la comune volontà delle parti di comporre una controversia in atto o prevista, la res dubia, ossia la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti, nonchè il nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, sostituisca quello precedente foriero della lite o del pericolo di lite (Cass. 4 settembre 1990, n. 9114; Cass. 4 maggio 2016, n. 8917); l’oggetto del negozio transattivo deve poì essere identificato in relazione, non già alle espressioni letterali usate dalle parti (non essendo necessaria una puntuale specificazione delle contrapposte pretese), bensì all’oggettiva situazione di contrasto che le stesse abbiano inteso comporre attraverso reciproche concessioni (Cass. 14 gennaio 2005, n. 690; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23482);

2.2. la reciprocità delle concessioni deve quindi essere intesa in correlazione alle pretese e contestazioni delle parti, non ai diritti effettivamente a ciascuna spettanti (Cass. 4 settembre 1990, n. 9114) ed è necessaria alla qualificazione dell’accordo tra lavoratore e datore di lavoro alla stregua di atto di transazione (Cass. 4 ottobre 2007, n. 20780; Cass. 7 novembre 2018, n. 28448);

2.3. integrano poi apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, l’accertamento della natura (se novativa o conservativa) della transazione e della regolazione degli interessi tra le parti (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 3 dicembre 2009, n. 25403); così come dell’essere davvero un atto di transazione (Cass. 7 novembre 2018, n. 28448) e dell’ampiezza del suo perimetro (Cass. 28 novembre 1981, n. 6351; Cass. 18 maggio 2018, n. 12367);

2.4. nel caso di specie, la Corte lombarda ha accertato la reciprocità delle concessioni tra le parti, individuandole nella rinuncia della lavoratrice alla domanda di superiore inquadramento e dei consequenziali diritti e nell’integrazione, da parte della società datrice, del T.f.r. maturato in relazione alle maggiori spettanze rivendicate (res dubia oggetto del giudizio conciliato) nonchè nel rilascio di una “lettera di presentazione attestante le credenziali della lavoratrice,… utile a favorire l’interesse della stessa al reperimento di altro obbligo”, così plausibilmente interpretata la “lettera di ricostruzione della carriera… fermo restando che tale lettera non costituirà riconoscimento alcuno di diverso inquadramento nè di differenze retributive eventuali” (come espressamente al p.to 3, del verbale di conciliazione del 5 aprile 2012 trascritto a pg. 7 del ricorso), con argomentazione congrua a sua giustificazione (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 3 al primo di pg. 4 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità;

3. la ricorrente deduce violazione degli artt. 1427,1428,1429,1431,1447 c.c., artt. 1971,2103,2110 c.c., artt. 3,36,38 Cost., omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, violazione degli artt. 112,113,115,116 c.p.c., per “travisamento del fatto e della realtà processuale” nella ravvisata omessa menzione nell’accordo transattivo della conservazione dell’impiego e dell’esclusione dalla CIG, per avere la Corte territoriale negato i denunciati vizi di annullamento per errore essenziale e riconoscibile, per pretesa temeraria e di rescissione per approfittamento del proprio stato di pericolo, dipendente dalla situazione familiare, di età ai fini della possibilità di ricollocazione occupazionale, dai procedimenti di mobilità e CIG in atto, dalle certificate condizioni di salute psichica (secondo motivo);

4. esso è inammissibile;

4.1. paiono, innanzi tutto, inconferenti le prospettazioni di “travisamento”, configurabile soltanto in riferimento al “fatto” (che integra motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. e non di ricorso per cassazione: Cass. 9 febbraio 2016, n. 2529; Cass. 24 febbraio 2017, n. 4868) ovvero alla “prova” (che implica una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, sia contraddetta da uno specifico atto processuale e che ricorre quando quella informazione, riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione, sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso o addirittura non esista: Cass. 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163), comunque non implicante una valutazione dei fatti (Cass. 14 febbraio 2020, n. 3796);

4.2. non si configurano poi le violazioni di legge denunciate, errores in iudicando integrati dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta regolata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340): ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non ricorrente, per le argomentate ragioni (esposte in particolare dal secondo al quinto capoverso di pg. 4 della sentenza);

4.3. infine, non può essere dedotto il vizio di omesso esame, sussistendo nel caso di specie l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (applicabile ratione temporis), non avendo la parte ricorrente indicato, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197);

4.4. sicchè, il mezzo consiste in una sostanziale contestazione dell’accertamento in fatto della Corte d’appello, pure congruamente argomentato (per le ragioni indicate), incensurabile in sede di legittimità;

5. la ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., violazione degli artt. 1419,2114 c.c., art. 2115 c.c., comma 3, art. 2116 c.c., comma 2, art. 1966 c.c., commi 1 e 2, art. 2103 c.c., comma 3, artt. 3,36,38 Cost., artt. 113,115 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per la non ritenuta nullità della conciliazione in riferimento alla rinuncia a diritti indisponibili come l’adempimento degli obblighi previdenziali datoriali relativi alle superiori qualifiche rivendicate in coerenza con le maggiori mansioni svolte (terzo motivo);

6. esso è infondato;

6.1. non è in discussione il principio, che va ribadito, di nullità di ogni pattuizione relativa ad una prestazione previdenziale, inderogabilmente regolata dalla legge (Cass. 11 marzo 2004, n. 5009; Cass. 24 novembre 2011, n. 24828, entrambe riguardanti l’indennità di mobilità, configurante prestazione previdenziale);

6.2. semplicemente, non ricorre l’ipotesi di un patto nullo che violi l’art. 2115 c.c., comma 3, essendo chiaro il riferimento delle prestazioni previdenziali rinunciate “alle asserite mansioni superiori e… dipendenti da queste, con la conseguenza che la rinunzia alla domanda ha impedito che i connessi obblighi previdenziali venissero ad esistenza” (così al penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza);

7. la ricorrente deduce, infine, violazione degli artt. 2110,1256 c.c., L. n. 464 del 1972, artt. 3, 30, 31, artt. 2067,2077 c.c., art. 40 CCNL 18 dicembre 2009 dell’Industria Chimica e succ., L. n. 223 del 1991, art. 24,artt. 3,36,38 Cost., artt. 112,113,115,116 c.p.c. e omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per il proprio collocamento in CIGS durante il periodo di assenza per malattia, possibile soltanto per sospensione e non per contrazione dell’attività, senza considerazione della circostanza (pure dedotta ed offerta in prova orale) della mantenuta regolare operatività dell’ufficio del personale dello stabilimento di (OMISSIS), cui ella era addetta; collocamento pure avvenuto prima del provvedimento di ammissione al trattamento, anticipato dalla società datrice, comunque non liberata dagli obblighi di legge e di contratto in caso di malattia antecedente (quarto motivo);

8. anch’esso è infondato;

8.1. la Corte territoriale ha innanzi tutto esaminato la questione, oggetto del motivo di appello della lavoratrice (di preclusione del collocamento in CIG in periodo di sospensione della sua prestazione per malattia) succintamente riportato come quarto profilo formulato nell’atto di appello (riassunto al secondo capoverso di pg. 2 della sentenza), del pagamento delle differenze retributive per effetto dell’illegittimo collocamento in CIG per tale ragione (ultimo capoverso di pg. 4 e primo di pg. 5 della sentenza), non essendone state prospettate altre in ordine ai suoi presupposti di concessione;

8.2. sicchè, sono inammissibili, per novità, le questioni diverse da quella appena indicata, non avendo la ricorrente assolto l’onere di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito (nella palese insufficienza dei generici e frammentari riferimenti, privi degli indicati requisiti prescritti, al primo capoverso di pg. 28 e al primo periodo e secondo capoverso di pg. 32 del ricorso), in violazione del principio di specificità del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, che prescrive di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32084);

8.3. la Corte milanese ha correttamente applicato il principio di diritto, secondo cui il riferimento della L. 8 agosto 1972, n. 464, art. 3, disponendo che il trattamento di integrazione salariale sostituisce l’indennità giornaliera di malattia, non debba essere inteso soltanto alla cassa integrazione straordinaria, ma anche alla cassa integrazione ordinaria, quando l’intervento ordinario della cassa si riferisca ad un’ipotesi di sospensione dell’attività produttiva e non già di mera riduzione dell’orario lavorativo: posto che sussiste una piena identità di ratio, così da consentire l’estensione a quest’ultima ipotesi della regola di sostituzione del trattamento di integrazione salariale all’indennità giornaliera di malattia, nonchè dell’eventuale integrazione contrattualmente prevista (Cass. 13 giugno 1987, n. 5219);

8.4. essa ha pure fatto corretta applicazione del principio per cui il trattamento di cassa integrazione guadagni, sia ordinario che straordinario, non è escluso rispetto ai lavoratori assenti per malattia o infortunio con diritto alla conservazione del posto (art. 2110 c.c.), per la prevalenza della lex specialis, rappresentata dal complesso normativo della C.I.G., sulla lex contractus (art. 2110 c.c. e fonti di derivazione), oltre che della speciale disposizione della L. n. 464 del 1972, art. 3, interpretata come sopra indicato; tuttavia il loro credito, in deroga all’art. 2110 citato (che prevede la liberazione del datore di lavoro dalla obbligazione di corrispondere anche a tali lavoratori la retribuzione solo ove siano predisposte equivalenti forme previdenziali, con conseguente permanenza di un’obbligazione integrativa nel caso che forme siffatte diano luogo a trattamenti di minore entità rispetto al tetto massimo della retribuzione stessa), si riduce nei limiti del suddetto trattamento: con la conseguenza che la legittima ammissione alla cassa integrazione comporta il subingresso dell’ente, erogatore delle relative prestazioni, in tali obbligazioni del datore di lavoro (il quale rimane tenuto alle anticipazioni quale adiectus solutionis causa), previa la corrispondente riduzione delle medesime, nel senso che quest’ultimo è tenuto ad anticipare anche ai menzionati lavoratori o l’intero trattamento di cassa integrazione o l’importo pari alla differenza fra questo e l’inferiore trattamento di natura previdenziale o assistenziale (Cass. 26 settembre 1991, n. 10057);

9. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la lavoratrice alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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