Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16376 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 10/06/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 10/06/2021), n.16376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26537/2016 proposto da:

COOPSERVICE SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS,

rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO ZUCCHINALI, e GIACINTO

FAVALLI;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA,

195, presso lo studio dell’avvocato MARA PARPAGLIONI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANNITA CERULLI,

CLAUDIO PINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 119/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/05/2016 r.g.n. 539/2015.

 

Fatto

RILEVATO

che con ricorso in sede monitoria, P.G., autista dipendente di Coopservice Soc. Coop. P.A. dall’1.1.2013 con inquadramento al terzo livello S del CCNL Trasporti, ha richiesto ed ottenuto il pagamento della somma di Euro 1.828,75, oltre spese legali, di cui Euro 933,33 per mancata corresponsione dell’ultima tranche degli aumenti contrattuali previsti dal CCNL Trasporto Merci Industria 26.1.2011 ed Euro 895,42 per mancata corresponsione degli aumenti contrattuali previsti dal rinnovo del CCNL Trasporto Merci Industria 1.8.2013 per il periodo dall’1.6.2013 al 30.9.2014;

che la società ha ammesso la debenza dell’importo di Euro 933,33 per gli aumenti contrattuali previsti dal CCNL 26.1.2011, ma ha contestato la legittimità della richiesta della somma di Euro 895,42 per gli aumenti contrattuali previsti dal nuovo CCNL 1.8.2013, perchè il rinnovo contrattuale non era stato sottoscritto da parte dell’associazione sindacale che la rappresentava, “e solo con l’Accordo dell’8.5.2015 era intervenuta una accettazione da parte di quei sindacati dei lavoratori e quelli datoriali che non avevano ancora firmato”, con cui, appunto, si prevedeva l’una tantum per il periodo scoperto, erogato con una prima tranche;

che il Tribunale, con la sentenza n. 882/2015, resa in data 1.10.2015, ha respinto il ricorso in opposizione della società, applicando alla questione controversa (rappresentata dalla applicabilità ad una parte del rapporto di lavoro di un rinnovo contrattuale del CCNL non sottoscritto dal sindacato di appartenenza di una delle parti) i principi generali civilistici in materia di efficacia dei contratti in capo alle parti stipulanti;

che la Corte di Appello di Genova, con sentenza pubblicata il 13.5.2016, ha accolto parzialmente il gravame interposto dalla società ed ha revocato il decreto ingiuntivo opposto, con condanna della Coopservice a pagare al P. la differenza tra l’importo di cui al decreto ingiuntivo e l’importo di Euro 400,00 versato dalla società, oltre rivalutazione ed interessi sulle somme annualmente rivalutate fino al saldo, confermando, nel resto, la sentenza del primo giudice;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, premesso che oggetto del contendere è esclusivamente la debenza o meno della somma di Euro 895,43, riconosciuta, a titolo di aumenti contrattuali previsti dal rinnovo del CCNL Trasporto Merci Industria dell’1.8.2013, dal decreto ingiuntivo opposto, ha sottolineato che la società datrice ne contesta la spettanza sul presupposto del rinnovo contrattuale da parte dell’Associazione sindacale che la rappresentava (Legacoopservizi), evidenziando che, solo con il successivo Accordo dell’8.5.2015, era intervenuta la conciliazione in merito all’applicazione del rinnovo CCNL 1.8.2013 tra i sindacati dei lavoratori e quelli datoriali che avevano firmato il rinnovo medesimo, ai sensi del quale (accordo): “Le cooperative daranno corso all’applicazione del rinnovo del CCNL 1.8.2013 e, a totale copertura del periodo 1.1.2013-30.4.2015, ai lavoratori in servizio alla data dell’1.5.2015, sarà corrisposta una somma una tantum pari ad Euro 400,00 in due tranches di Euro 200,00 ciascuna, di cui la prima con la busta paga di luglio 2015 e la seconda entro il 31.12.2015. Con la firma dell’accordo le associazioni firmatarie hanno inteso chiudere la vertenza per il rinnovo contrattuale e superare i contenziosi aperti sulle materie dell’accordo”. Inoltre, secondo i giudici di appello, fermo restando il principio dell’autonomia negoziale delle parti, sul piano del rapporto individuale di lavoro opera la tutela assicurata dall’art. 36 Cost., volta a garantire l’adeguatezza della retribuzione, laddove il parametro più attendibile per la quantificazione della giusta retribuzione è il contratto collettivo, diretto a riflettere il livello di retribuzione più adeguato in relazione alla situazione economica contingente;

che la Corte osserva, poi, che il giudice di primo grado, nel confermare a favore del lavoratore il credito di Euro 895,45, ha dato altresì atto che il P. aveva comunque percepito anche la prima tranche pari ad Euro 200,00 e, nelle more del giudizio di appello, anche la seconda ed ultima tranche a dicembre 2015, come espressamente dichiarato nella memoria difensiva e confermato in udienza; per la qual cosa, dall’importo complessivo del decreto ingiuntivo opposto ha detratto l’importo di Euro 400,00, pagato da Coopservice a titolo di una tantum in esecuzione dell’Accordo dell’8.5.2015;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Coopservice Soc. Coop. P.A. articolando un motivo contenente più censure;

che P.G. ha resistito con controricorso;

che sono state depositate memorie nell’interesse della società;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2070 e 1372 c.c.; nonchè degli artt. 36 e 39 Cost. e art. 2697 c.c., e si assume che la sentenza impugnata non sia corretta laddove ha dichiarato la non efficacia dell’Accordo dell’8.5.2015, senza considerare che il detto Accordo collettivo nazionale è stato sottoscritto dalle stesse Organizzazioni Sindacali rappresentative dei Lavoratori che avevano sottoscritto il CCNL 26.1.2011 e che hanno aderito al rinnovo del predetto CCNL del 2013, e che tale Accordo è certamente vincolante ex art. 1372 c.c., anche nei confronti dei lavoratori nella posizione del P.; si sottolinea che nessun diritto poteva sorgere in capo al P. in forza del CCNL 2013, in quanto il rinnovo di quel contratto non risultava vincolante per la società datrice di lavoro prima della adesione da parte di Legacoopservizi (l’Associazione datoriale cui aderisce Coopservice) a tale rinnovo contrattuale; adesione pattuita (con l’Accordo dell’8.5.2015), soltanto a far data dal maggio 2015, con cui è stata decisa l’una tantum, a seguito di negoziazione tra le parti sociali, quale espressione di un nuovo assetto di interessi giuridici ed economici, vincolante anche per il P.; inoltre, si lamenta che la verifica del rispetto del principio di adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., sia stata affidata alla mera considerazione della esistenza di una fonte collettiva migliorativa intervenuta successivamente: la qual cosa si pone in contrasto sia con il principio della derogabilità (anche) in peius da parte della contrattazione collettiva successiva, sia con la regolamentazione successiva, cioè con l’Accordo del maggio 2015 e con la connessa previsione di un emolumento una tantum a titolo di indennità di vacanza contrattuale. Si deduce, altresì, che la differenza tra l’importo di Euro 895,42, pari alla differenza tra i minimi contrattuali previsti dal CCNL del 2011 e dal CCNL del 2013, e l’importo di Euro 400,00, riconosciuto dall’Accordo del maggio 2015 a titolo di indennità di vacanza contrattuale, non configuri alcuna violazione dei criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione imposti dalla norma costituzionale; e si sostiene, infine, che per la verifica della adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost., è il lavoratore che ha l’onere i dimostrare l’oggetto su cui deve avvenire la valutazione del giudice, fermo restando il dovere dello stesso giudice di enunciare i criteri seguiti, allo scopo di rendere possibile il controllo della congruità della motivazione: pertanto, i giudici di seconda istanza avrebbero disatteso la corretta applicazione di tale principio, “argomentando della non sufficienza della retribuzione pur in assenza di alcuna allegazione probatoria da parte del lavoratore”;

che le censure che investono gli artt. 2070 e 1372 c.c., anche con riferimento all’art. 36 Cost., sono fondate; al riguardo, va premesso – alla stregua degli arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia (si vedano, tra le altre, Cass. nn. 24160/2015; 26742/2014; 16340/2009; 8565/2004, ricordando che la questione giuridica all’esame “ha, a suo tempo, dato origine ad un contrasto interpretativo nella giurisprudenza della sezione lavoro, composti dalle Sezioni Unite, con la pronuncia n. 2665/1997, attraverso l’enunciazione del principio” che di seguito si riporta), condivisi da questo Collegio che non ravvisa ragioni per discostarsene – che “l’art. 2070 c.c., comma 1 (in base al quale l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione; con la conseguenza che, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato”;

che, come ribadito anche da Cass. n. 27757/2020 – pronunziata in una fattispecie analoga – “costituisce ius receptum che nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquista, pur solo in via generale, una “presunzione” di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite (Cass. n. 15889/2008, n. 132/2002)”;

che, nella fattispecie, però, i giudici di merito ancorano la presunzione di inadeguatezza della retribuzione corrisposta nel periodo di cui si tratta esclusivamente “al parametro rappresentato dal livello retributivo previsto dal” CCNL Trasporto Merci Industria “rinnovato nel 2013”, non applicabile al rapporto in esame, perchè la parte datoriale non era affiliata ad alcuna delle organizzazioni stipulanti, senza alcuna considerazione per “la volontà espressa dalle parti collettive nel negoziare l’accordo 8.5.2015, direttamente applicabile al rapporto in controversia, con riferimento alla previsione della indennità di vacanza contrattuale ed alla funzione ad essa conferita dai soggetti stipulanti nell’esercizio dell’autonomia negoziale” (cfr. Cass. n. 27757/2020, cit.);

che, fatte queste premesse, la valutazione, in via presuntiva, del parametro di adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., non poteva prescindere dalla considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti (non soltanto in sede di rinnovo del CCNL Trasporto Merci Industria) nell’Accordo del maggio 2015, “in relazione alla specifica funzione in quella sede attribuita all’una tantum”, tenuto conto della dichiarata finalità di “chiusura” della vertenza per il rinnovo contrattuale e di superamento dei contenziosi aperti sulle materie dell’Accordo;

che non è, invece, da accogliere la censura che investe l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 36 Cost. – relativa alla “non corretta applicazione”, da parte dei giudici di merito, del principio in virtù del quale, ai fini della verifica della adeguatezza della retribuzione, “è il lavoratore che ha l’onere di dimostrare l’oggetto su cui deve avvenire la valutazione del giudice” -, perchè attinente a questione riguardo alla quale la parte ricorrente non specifica se sia stata proposta nei gradi di merito e, dunque, appare nuova nel presente giudizio;

che, per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione – cui è demandata anche la determinazione delle spese del presente giudizio, perchè, nella verifica del canone di adeguatezza della retribuzione, ove intenda conferire valore presuntivo alle indicazioni derivanti dall’autonomia collettiva in tema di retribuzione proporzionata e sufficiente, tenga conto altresì della valutazione espressa dalle parti collettive nella previsione e determinazione della indennità di vacanza contrattuale e della funzione che la stessa è chiamata a svolgere nel contesto della regolamentazione collettiva definita con l’Accordo del maggio 2015.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda anche la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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