Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16374 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21422/14 R.G. proposto da:

M.C., MA.DE. e MA.TI., tutte

rappresentate e difese, giusta mandato a margine del ricorso,

dall’avv. Tasca Gaetano, con domicilio eletto presso il suo studio

in Roma, via XX Settembre, n. 26;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, Liujeas

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 3448/34/14 depositata in data 26 giugno 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 marzo 2021

dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, Ma.Ra. e M.C., in data 30 marzo 2005, vendettero alla società di costruzioni Edifici Ibis s.r.l. una porzione dell’immobile di loro proprietà.

Il Comune di Corsico, ai sensi del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 1, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, comunicò all’Agenzia delle entrate che, prima della stipula dell’atto di compravendita, la società acquirente aveva presentato, in data 9 febbraio 2005, una denuncia di inizio attività finalizzata alla demolizione dell’edificio esistente ed alla costruzione di un fabbricato residenziale; sulla base di tale comunicazione l’Amministrazione, ritenendo che si fosse in presenza di vendita di un’area edificabile e che la plusvalenza dovesse essere assoggettata a tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. g-bis), determinò la plusvalenza, sulla base di quanto prescritto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, commi 1 e 2, , in Euro 406.051,00, e notificò due avvisi di accertamento.

2. Proposti autonomi ricorsi avverso gli atti impositivi, la Commissione tributaria provinciale, previa riunione, li accolse.

Disattese le eccezioni di illegittimità degli avvisi di accertamento perchè sottoscritti da persona sfornita di poteri e per carenza di motivazione, i giudici di primo grado rilevarono che:

a) essendo la vendita avvenuta in data 30 marzo 2005, il Comune aveva illegittimamente applicato retroattivamente una procedura prevista da una legge – la L. n. 248 del 2005 – entrata in vigore successivamente, in tal modo violando gli artt. 1, 2 e 3 Statuto del contribuente;

b) la risoluzione ministeriale n. 395/2008 faceva riferimento alla L. n. 248 del 2006, anch’essa successiva alla vendita e non applicabile al caso di specie, sia perchè essa si riferiva alle aree, mentre il bene compravenduto era un fabbricato destinato ad abitazione, sia perchè la legge non aveva natura interpretativa e non poteva di conseguenza avere efficacia retroattiva.

3. In esito all’appello dell’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accolse l’impugnazione.

Osservò, quanto alla partecipazione degli Enti locali all’attività di contrasto all’evasione fiscale, che la finalità del D.L. n. 203 del 2005, art. 1 – come emergeva dalla stessa lettera della norma – era quella di tentare di dare nuovo slancio a disposizioni già presenti nell’ordinamento e finalizzate alla collaborazione degli enti locali con lo Stato per lo svolgimento dell’attività di accertamento dei tributi; ritenendo ampliato il campo di intervento dei Comuni nella procedura di accertamento dei tributi personali, sia attraverso la facoltà di trasmettere direttamente agli uffici finanziari notizie concernenti la posizione economica dei contribuenti, sia mediante la previsione che gli stessi uffici finanziari dovessero inviare ai Comuni le proposte relative agli accertamenti integrativi e modificativi, in precedenza esclusi, riformò, sotto tale profilo, la sentenza di primo grado.

Con riferimento alle altre eccezioni sollevate dai contribuenti nel ricorso introduttivo e reiterate in sede di appello, ritenne condivisibili i motivi posti a fondamento della decisione di primo grado, non avendo i ricorrenti fornito ulteriori elementi idonei a determinarne la riforma. Rilevò, infine, che nel ricorso introduttivo non era stato impugnato il criterio di calcolo adottato dall’Ufficio ai fini della determinazione della plusvalenza e confermò, pertanto, gli atti impositivi.

4. Avverso la decisione d’appello M.C., in proprio e quale erede di Ma.Ra., e Ma.De. e Ma.Ti. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

In prossimità dell’adunanza camerale le contribuenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo – rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – le ricorrenti lamentano che la decisione impugnata, trascurando di affrontare la questione decisiva per il giudizio, ossia l’applicabilità o meno del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), e del D.L. n. 226 del 2006, art. 36, comma 2, che aveva introdotto la definizione di area edificabile, ha omesso di motivare sulla pretesa tributaria di merito, dal momento che gli avvisi di accertamento si fondavano su tali disposizioni normative.

Aggiungono che, anche laddove si volesse ritenere che la C.T.R. abbia implicitamente motivato su tale questione, comunque la sentenza sarebbe nulla poichè le ragioni sottese all’accoglimento dell’appello devono essere chiare ed espresse, al fine di consentire il controllo sulla correttezza della decisione.

2. Con il secondo motivo di ricorso le contribuenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2005, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ribadiscono che la C.T.R., ritenendo legittima la segnalazione del Comune di Corsico, fondata sull’applicazione di una norma successiva all’atto di compravendita oggetto del giudizio, è incorsa nella violazione degli artt. 1 e 3 Statuto del contribuente, dal momento che da un esame sistematico delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005 emergeva che l’attività a cui erano chiamati i Comuni era quella della “partecipazione” all’attività di accertamento

dell’Amministrazione finanziaria, già avviata. Sostengono, inoltre, che debba escludersi che il D.L. n. 203 del 2005 permetta di individuare in capo agli Enti locali un’attività delatrice e, quindi un potere di impulso, di per sè idoneo a dare avvio all’attività accertativa dell’Agenzia delle entrate, con la conseguenza che la segnalazione del Comune di Corsico, sulla base della quale l’Amministrazione finanziaria aveva dato avvio all’attività di controllo, sarebbe illegittima, in quanto emessa dall’Ente locale al di fuori delle funzioni e dei poteri ad esso assegnati dalla norma, e determinerebbe, di conseguenza, l’illegittimità del procedimento posto in essere dall’Ufficio e degli avvisi di accertamento che ne costituiscono l’esito.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b) e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Premesso che l’Agenzia delle entrate, per il solo fatto che prima della compravendita era stata presentata una D.I.A. avente ad oggetto la demolizione dell’immobile esistente e la costruzione di un edificio residenziale, aveva riqualificato l’oggetto della compravendita da fabbricato ad area edificabile, secondo la definizione ricavata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, le ricorrenti rilevano, in primo luogo, che la Risoluzione n. 395/E/2008, richiamata dall’Ufficio a supporto dell’accertamento, riguardando una fattispecie di cessione di fabbricati, si riferisce ad una ipotesi non assimilabile a quella in esame.

Evidenziano, altresì, che neppure possono trovare applicazione il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), e D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, poste dall’Agenzia delle entrate a fondamento del proprio accertamento, poichè l’atto di compravendita in esame aveva ad oggetto una villetta e non l’area su cui il fabbricato insisteva; la circostanza che, anteriormente alla vendita, fosse stata presentata una D.I.A. per la demolizione della villetta e la costruzione di un nuovo edificio non poteva far ritenere che oggetto della cessione fosse un’area edificabile, non potendosi assumere che la previsione del comportamento dell’acquirente (il quale avrebbe anche potuto decidere di non procedere più con la demolizione del fabbricato) assurgesse a condotta sufficiente a variare la natura del bene ceduto. Peraltro, non era invocabile l’applicazione dell’art. 67, lett. b), in quanto la cessione del fabbricato era avvenuta oltre cinque anni dopo l’acquisto, nè del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, trattandosi di norma successiva all’atto di compravendita del fabbricato e non avente valenza interpretativa.

4. Con il quarto motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 7, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006.

Con riguardo al calcolo della plusvalenza, l’Agenzia delle entrate negli avvisi di accertamento aveva ritenuto che essa fosse data dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta ed il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo successivo inerente al bene medesimo; tuttavia, l’Ufficio, avendo – erroneamente – riqualificato il bene oggetto di cessione come area edificabile, nel calcolare il costo di acquisto dell’area aveva fatto ricorso al D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 7, che atteneva però ad una fattispecie completamente diversa, trattandosi di disposizione introdotta per rendere fiscalmente indeducibile l’ammortamento delle aree occupate da costruzioni e, quindi, volta ad individuare le modalità per determinare il valore del terreno sottostante il fabbricato avente natura strumentale.

Il tenore letterale della disposizione, come evidenziato dalle ricorrenti, rendeva evidente che la stessa operava esclusivamente nei confronti di soggetti per i quali il fabbricato costituiva bene strumentale all’impresa e, dunque, nei confronti di soggetti titolari di reddito d’impresa, cosicchè essa non poteva trovare applicazione nel caso in esame.

Sottolineano, pure, che la C.T.R. nella sentenza impugnata ha erroneamente affermato che “nel ricorso introduttivo non viene impugnato il sistema di calcolo adottato dall’Ufficio ai fini della determinazione della plusvalenza”, dal momento che sin dai rispettivi ricorsi introduttivi avevano sempre contestato in modo specifico dell’operazione di calcolo eseguita dall’Agenzia delle entrate e l’applicabilità del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 7, riferibile alle persone giuridiche ed al reddito d’impresa.

5. Con il quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentano che i giudici regionali non hanno dichiarato la nullità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione, sebbene l’Agenzia delle entrate avesse fondato l’accertamento su segnalazione del Comune di Corsico, atto non conosciuto, nè conoscibile dalle parti contribuenti e non allegato agli atti impositivi.

6. Il primo motivo è infondato.

6.1. Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in termini, Cass., sez. 5, 3/02/2017, n. 2876; v. anche Cass., sez. U., 3/11/2016,n. 22232).

6.2. Sono, quindi, colpite dalla sanzione della nullità, oltre alle sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; Cass., sez. 6-3, 8/10/2014, n. 21257), anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass., sez. 3, 25/02/2014, n. 4448), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass., sez. U., n. 22232 del 2016, cit. e la giurisprudenza ivi richiamata).

6.3. La motivazione, in altri termini, è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass.” Sez. U, 3/11/2016, n. 22232, cit.; in senso conforme, Cass., Sez. 6-5, 15/06/2017, n. 14927).

6.4. Peraltro, per effetto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” o di contraddittorietà della stessa (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053).

6.5. La motivazione della sentenza impugnata, seppure estremamente sintetica, non rientra nelle gravi anomalie argomentative sopra individuate, in quanto non si pone al di sotto del “minimo costituzionale”.

La C.T.R., infatti, nell’accogliere integralmente l’appello agenziale, ha ritenuto infondate le violazioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del tutto legittima la partecipazione dell’Ente locale all’attività di contrasto all’evasione fiscale, in attuazione del disposto di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2005 e, confermando gli atti impositivi, ha implicitamente respinto anche tutte le altre doglianze fatte valere dalle parti contribuenti afferenti al merito della pretesa fiscale.

I profili di apoditticità della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non viziano tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass., sez. 6-5, 7/04/2017, n. 9105, Cass., sez. 6-5, 17/03/2015, n. 5315).

7. Il quinto motivo, che va esaminato con priorità, è inammissibile.

7.1. Nel regime introdotto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, “l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Cass., sez. 6-5, 15/04/2013, n. 9032; Cass., sez. 5, 29/11/2016, n. 24210; Cass., sez. 5, 28/10/2016, n. 21870; Cass., sez. 5, 28/02/2017, n. 5173).

7.2. La doglianza, nella misura in cui prospetta la mancata allegazione agli atti impositivi della segnalazione inoltrata dal Comune di Corsico all’Agenzia delle entrate, e, dunque, l’impossibilità di conoscere il contenuto della segnalazione, è carente sotto il profilo dell’osservanza del principio di autosufficienza, non avendo le ricorrenti riprodotto l’avviso di accertamento – stante la natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario che costituisce atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria enuncia le ragioni della pretesa tributaria (Cass., sez. U, 5/10/2004, n. 19854) – necessario per consentirne la diretta conoscenza e fruibilità da parte della Corte e ogni valutazione in merito alla censura svolta.

8. Il terzo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti motivi.

8.1. La questione centrale della controversia, avente valore dirimente, è se la vendita di area già edificata possa rientrare – a fronte di una riqualificazione operata dall’Ufficio sulla scorta di elementi presuntivi nelle ipotesi, sicuramente tassative, previste dall’art. 67 TUIR, comma 1, lett. b), il quale assoggetta a tassazione separata, quali “redditi diversi”, le “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

8.2. La decisione impugnata, nel respingere le censure sollevate dalle parti contribuenti sul punto e nel ritenere rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta la circostanza che le parti del contratto di compravendita avessero previsto la demolizione del fabbricato con successiva costruzione da parte dell’acquirente di un nuovo immobile, non si pone in linea con l’indirizzo giurisprudenziale espresso da questa Corte.

Si è difatti, al riguardo, affermato: “La disposizione (art. 67 T.U.I.R.) che assoggetta a tassazione, quali “redditi diversi”, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, non è applicabile alle cessioni aventi ad oggetto, non un terreno “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, ma un terreno sul quale insorge un fabbricato e che, quindi, è da ritenersi già edificato; l’entità sostanziale del fabbricato non può essere mutata in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria, sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione (nel caso in specie attraverso la demolizione del fabbricato) è futura (rispetto all’atto oggetto di tassazione), eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso (l’acquirente) da quello interessato dall’imposizione fiscale” (Cass., sez. 5, 9/07/2014, n. 15629; nello stesso senso, Cass., sez. 5, 20/04/2016, n. 7853, in motivazione; Cass., sez. 6-5, 23/01/2018, n. 1674; Cass., sez. 6-5, 12/04/2019, n. 10393; Cass., sez. 65, 6/09/2019, n. 22409).

8.3. Inoltre, questa Corte con la sentenza n. 19129 del 2017, in motivazione, ha ulteriormente chiarito che: “sono soggette a tassazione separata, quali “redditi diversi”, le “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”, e non anche di terreni sui quali insiste un fabbricato e quindi, già edificati: ciò vale anche qualora l’alienante abbia presentato domanda di concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell’immobile e, successivamente alla compravendita, l’acquirente abbia richiesto la voltura nominativa dell’istanza, in quanto la ratio ispiratrice del citato art. 81 (ora 67) tende ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che trovi origine non da un’attività produttiva del proprietario o possessore ma dall’avvenuta destinazione edificatoria del terreno in sede di pianificazione urbanistica”.

8.4. Ciò che rileva, dunque, ai fini dell’applicabilità della norma in esame, è la destinazione edificatoria originariamente conferita ad area non edificata, in sede di pianificazione urbanistica, e non quella ripristinata, conseguentemente ad intervento – su area già edificata – operata dal cedente o dal cessionario (Cass., sez. 5, 21/02/2019, n. 5088).

Non è quindi possibile porre a carico del venditore dell’edificio sorto su terreno (già) edificabile una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata, perchè si tratterebbe di porre su un soggetto diverso (il venditore) una tassazione che il legislatore ha fissato già in capo al compratore. Nè si deve pensare che in tal modo il venditore si sottragga ai propri obblighi fiscali: infatti nel prezzo di cessione dell’edificio, come nella rendita catastale, è computata anche la capacità edificatoria inespressa. Detta in altri termini, la norma in oggetto non intende colpire la capacità edificatoria residua (c.d. volumetria, cubatura o superficie coperta rimanente), bensì solo la plusvalenza nella cessione di un terreno a seguito della primigenia edificabilità prevista in sede di pianificazione urbanistica.

Diversamente opinando sarebbero da considerare soggette a plusvalenza da cessioni di terreno edificabile tutte le alienazioni a titolo oneroso di edifici che non abbiano sviluppato integralmente la potenzialità edificatoria del lotto su cui insistono, poichè potrebbero sempre essere abbattuti e ricostruiti o semplicemente ampliati, a prescindere dall’intenzione delle parti (Cass., sez. 5, 21/02/2019, n. 5088; in senso conforme, Cass., sez. 6-5, 8/02/2021, n. 3006).

8.5. All’orientamento univoco della Corte di legittimità si è di recente uniformata la stessa Agenzia delle entrate che, con la circolare n. 23/E/2020, pubblicata in data 29 luglio 2020, ha escluso, ai fini della tassazione delle plusvalenze, che la cessione di un edificio possa essere riqualificata come cessione del terreno edificabile. In tal modo superando le indicazioni contenute nella precedente risoluzione n. 395/E/2008 con la quale era stato precisato che la vendita a titolo oneroso di fabbricati ricadenti in un’area oggetto di un piano di recupero, approvato in via definitiva dal Comune, è riconducibile alla fattispecie della cessione di area edificabile, con conseguente plusvalenza tassabile indipendente dal periodo di possesso del cespite.

L’Amministrazione finanziaria, pertanto, con il documento di prassi da ultimo predisposto, ha escluso che possa attribuirsi rilievo ad elementi di fatto, quali, ad esempio, l’avvenuto rilascio del permesso di demolizione e di ricostruzione, l’esistenza di un piano di recupero o di riqualificazione dell’area, o il prezzo di cessione del fabbricato superiore al valore venale dello stesso e che i richiamati elementi possano portare a qualificare la cessione di un fabbricato come una cessione di terreno, con conseguente tassazione della plusvalenza.

La decisione impugnata, non essendosi uniformata ai principi su esposti, deve essere cassata.

9. In conclusione, rigettati il primo ed il quinto motivo, va accolto il terzo motivo, assorbiti gli altri motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento degli originari ricorsi delle parti contribuenti.

Le spese relative alle fasi del giudizio di merito, in ragione dell’alterno andamento del giudizio, possono essere integralmente compensate tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il primo ed il quinto motivo; accoglie il terzo motivo del ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie i ricorsi originari delle contribuenti. Compensa integralmente tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito e condanna la resistente al rimborso, in favore delle ricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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