Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16370 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2474-2014 proposto da:

ICE SNEI INDUSTRIA COSTRUZIONI EDILI SOCIETA’ NUOVI EDIFICI

INCORONATA SPA in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

LUIGI MASTURSI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI NAPOLI UFFICIO

CONTROLLI in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la decisione n. 5597/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

NAPOLI, depositata il 28/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/02/2020 dal Consigliere Dott.ssa ZOSO LIANA MARIA TERESA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato ROCCHITTA che ha chiesto il

rigetto.

 

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. S.P.A. Ice Snei (Industria Costruzioni Edili Società Nuovi Edifici Incoronata) impugnava l’avviso di accertamento notificato il 20 giugno 1986 con cui era stata rettificata la dichiarazione Invim relativa a cespiti immobiliari siti in Napoli alla Via Piedigrotta ed era stato elevato il valore finale ritenendo, invece, congruo il valore iniziale dichiarato. La commissione tributaria di primo grado di Napoli accoglieva parzialmente il ricorso riducendo il valore finale del 20% e, a seguito di appello della contribuente, la commissione tributaria di secondo grado di Napoli riduceva ulteriormente il valore accertato del 10%. Avverso la sentenza della commissione tributaria di secondo grado proponeva ricorso alla commissione tributaria centrale la contribuente dolendosi dei vizi di motivazione dell’atto impositivo ed anche della sentenza con la quale, in particolare, era stato considerato il criterio comparativo in modo del tutto astratto. La commissione tributaria centrale, sezione di Napoli, rigettava il ricorso sul rilievo che la motivazione dell’atto impositivo era idonea a rendere edotto il contribuente del criterio di valutazione prescelto sì da renderlo in grado di esercitare il diritto di difesa. Inoltre la ricorrente non aveva fornito sufficienti elementi di valutazione delle sue censure relative alla congruità dei valori, essendosi limitata a prospettare una generica contestazione.

2. Avverso la sentenza della CTC propone ricorso per cassazione la contribuente affidato a due motivi. L’agenzia delle entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 914 del 1977, artt. 1 e 3, modificativi del D.P.R. n. 634 del 1972, artt. 48 e 49, e art. 2697 c.c.. Sostiene che la commissione tributaria centrale non ha tenuto conto del fatto che l’ufficio, nella valutazione dei cespiti, avrebbe dovuto osservare in via alternativa tre criteri di valutazione, ovvero quello comparativo, avendo riguardo ai trasferimenti avvenuti negli ultimi tre anni di immobili aventi analoghe caratteristiche, di utilizzazione del tasso medio applicato alla stessa data nella stessa località per gli investimenti immobiliari e di acquisizione degli elementi di valutazione forniti dal Comune. In sede contenziosa l’ufficio non aveva provato la sussistenza di concreti elementi di fatto che, nell’ambito del parametro scelto, giustificasse quanto accertato incombendo sull’ente impositore l’onere della prova.

2. Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per difetto di motivazione e per omessa pronuncia. Sostiene che la sentenza della commissione tributaria centrale di Napoli, lungi dal motivare le ragioni del rigetto del ricorso proposto dal contribuente, ha effettuato solo una carrellata di pronunce della Corte di cassazione sulla sussistenza dei requisiti minimi che deve avere l’avviso di accertamento.

3. In ordine al primo motivo di ricorso, osserva la Corte che il motivo proposto innanzi alla CTC avente ad oggetto la rivalutazione del cespite era inammissibile poichè il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 26, nel rispetto dei principi fissati con la L. delega n. 828 del 1971, art. 10, sottrae alla cognizione della commissione tributaria centrale le questioni di fatto relative a valutazioni estimative o alla individuazione dei presupposti materiali ed oggettivi del tributo. Ora, posto che la Corte di cassazione può rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello, che il giudice del merito non abbia provveduto a riscontrare, la sentenza della CTC che, confermando la sentenza oggetto di impugnazione, ha pronunciato sul punto della valutazione estimativa dei cespiti laddove, invece, avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della censura proposta, va cassata senza rinvio, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria di secondo grado dichiarativa della legittimità del provvedimento impositivo (cfr. Cass. n. 24047 del 13/11/2009).

4. Il secondo motivo rimane assorbito per la parte in cui la ricorrente deduce il vizio di motivazione inerente la mancata considerazione delle censure afferenti il valore accertato. Il motivo è, invece, inammissibile avuto riguardo alla censura concernente il difetto di motivazione sulla ritenuta sufficienza motivazionale dell’avviso di accertamento. Deve premettersi che la sentenza impugnata risulta emessa in data successiva al 12 settembre 2012, sicchè trova applicazione il nuovo dettato dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Proprio a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., ed al fine di chiarire la corretta esegesi della novella, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte che, con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, hanno ribadito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

La riforma del 2012 ha l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

In proposito dovrà tenersi conto di quanto questa Corte ha già precisato in ordine alla “mancanza della motivazione”, con riferimento al requisito della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4: tale “mancanza” si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009). Pertanto, a seguito della riforma del 2012, scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata. Il controllo previsto dal nuovo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti. La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso (Cass.SS. UU. n. 19881 del 22/09/2014).

Nella fattispecie, atteso il tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra un’ipotesi di anomalia motivazionale riconducibile ad una delle fattispecie che, come sopra esposto, in base alla novella consentono alla Corte di sindacare la motivazione. Invero la CTC, richiamando il contenuto delle sentenza della Corte di cassazione, ha implicitamente affermato che l’avviso di accertamento di che trattasi conteneva gli elementi essenziali indicati da dette decisioni.

5. Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’agenzia delle entrate e le spese processuali che liquida in Euro 4.000,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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