Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1637 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 1637 Anno 2014
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: BISOGNI GIACINTO

ha pronunciato la seguente

Rep.

SENTENZA

Ud. 10/10/13

sul ricorso proposto da:

Gestione Servizi Commerciali s.r.1., elettivamente
domiciliata in Roma, via Somalia 250 presso lo studio
dell’avv. Francesco Punzo, rappresentata e difesa
dall’avv. Paolo Lo Verde per mandato a margine del
ricorso;

– ricorrente contro

Fallimento Niceta s.r.1., in persona del curatore
Sergio Immola, autorizzato a resistere in giudizio con

g

provvedimento del giudice delegato del Tribunale di

– 2013
Palermo del 22 maggio 2007, elettivamente domiciliato
in Roma, via Sant’Alberto Magno

26 °

9 presso lo studio

Data pubblicazione: 27/01/2014

dell’avv. Gaetano Severini, rappresentato e difeso
dall’avv.to Enrico Aguglia per mandato in calce al
controricorso;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 226/06 della Corte d’appello di

aprile 2006, R.G. n. 1033/2011;
sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Rosario Giovanni Russo che ha concluso
per l’accoglimento del primo motivo di ricorso (artt.
2558 e 2562 c.c.) con assorbimento degli altri motivi;

Rilevato che:
1. Con ricorso del 15 ottobre 1997 la curatela del
Fallimento

di

Niceta

s.r.l.

ha

chiesto

dichiararsi risolto, per morosità della
affittuaria G.S.C. Gestione Servizi Commerciali
s.r.1., il contratto di affitto dell’azienda
commerciale.
2. Si è costituita G.S.C. s.r.l. e ha eccepito
l’indempimento della

curatela consistito

nel

recesso dal contratto di affitto dei locali di
proprietà della s.p.a. Olimpia in cui si svolgeva
l’attività commerciale. Tale recesso l’aveva
costretta a stipulare un nuovo contratto dì
locazione con la proprietaria aumentando così il
costo di esercizio dell’impresa. Ha chiesto in
via

” 29)-

riconvenzionale

la

2

dichiarazione

di

Palermo emessa il 24 febbraio 2006 e depositata il 4

risoluzione del contratto per grave inadempimento
ovvero, in subordine, la riduzione del canone di
affitto in misura corrispondente a quello di
locazione versato alla s.p.a. Olimpia.
3. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 28
novembre 2000, ha accolto la domanda di

fallimentare

e

ha

respinto

la

domanda

riconvenzionale della G.S.C. Ha condannato
quest’ultima società al pagamento del canone di
affitto per il periodo 24 aprile 1997 – 24 aprile
2000 in misura ridotta (6.000 euro mensili
anziché 10.000 in considerazione della
sopravvenuta incidenza del canone di locazione
corrisposto alla s.p.a. Olimpia nella misura di
4.000 euro mensili).
4.

La Corte di appello di Palermo ha confermato la
sentenza di primo grado respingendo il gravame
della G.S.C.

5. Ricorre per cassazione G.S.C. s.r.l. affidandosi
a sei motivi di impugnazione.
6. Si difende con controricorso la curatela del
Fallimento della Niceta s.r.l.
Ritenuto che
7. Con il primo motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 80 L.F.
e 2555 c.c. anche in relazione all’art. 360 n. 3
e 5 c.p.c. La società ricorrente pone alla Corte
il seguente quesito di diritto: se il recesso

3

risoluzione del contratto proposto dalla curatela

della

curatela,

a

seguito

dell’avvenuto

fallimento costituisca causa estintiva, nei
confronti della G.S.C. s.r.1., del contratto di
affitto di azienda e se, pertanto, la Corte di
appello abbia sul punto erroneamente e falsamente
applicato l’art. 80 1.f. in relazione all’art.

la sentenza impugnata sia stata correttamente e
adeguatamente motivata sul punto.
8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 80 L.F.
e 1460 c.c. anche in relazione all’art..360 n. 3
e 5 c.p.c. La società ricorrente pone alla Corte
il seguente quesito di diritto: se il recesso
della curatela dalla locazione dei locali, a
seguito dell’avvenuto fallimento, costituisca
inadempimento del contratto di affitto di azienda
e

se, pertanto, la Corte di appello abbia, sul

punto, erroneamente e falsamente applicato l’art.
80 1.f. in relazione all’art. 1460 c.c.; accerti
inoltre e dichiari la Corte se la sentenza
impugnata sia stata correttamente e adeguatamente
motivata sul punto.

adegueterxweate-au~dea~~-.
9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 80 L.F.
e 1463 c.c. anche in relazione all’art. 360 n. 3
e 5 c.p.c. La società ricorrente pone alla Corte
il seguente quesito di diritto: se il recesso

4

2555 c.c.; accerti inoltre e dichiari la Corte se

della curatela dalla locazione dei locali, a
seguito

dell’avvenuto

fallimento,

abbia

determinato l’impossibilità sopravvenuta del
contratto di affitto di azienda e se, pertanto,
la Corte di appello abbia, sul punto,
erroneamente e falsamente applicato l’art. 80

inoltre e dichiari la Corte se la sentenza
impugnata sia stata correttamente e adeguatamente
motivata sul punto.
10. Con il quarto motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 80 L.F.
e 1464 c.c. anche in relazione all’art. 360 n. 3
e 5 c.p.c. La società ricorrente pone alla Corte
il seguente quesito di diritto: se il recesso
della curatela dalla locazione dei locali, a
seguito dell’avvenuto fallimento,

renda la

prestazione oggetto del contratto di affitto di
azienda impossibile o parzialmente impossibile e
se, pertanto, la Corte di appello abbia, sul
punto, erroneamente e falsamente applicato l’art.
80 1.f. in relazione all’art. 1464 c.c.; accerti
inoltre e dichiari la Corte se la sentenza
impugnata sia stata correttamente e adeguatamente
motivata sul punto.
11. I primi quattro motivi del ricorso vanno
esaminati congiuntamente per la loro stretta
connessione logico-giuridica e si rivelano
infondati. Infatti, da un lato, le censure mosse

5

1.f. in relazione all’art. 1463 c.c.; accerti

alla motivazione non trovano riscontro in una
adeguata sintesi redatta nel rispetto dei
requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c.. D’altro
lato le censure di violazione di legge appaiono
dei

una ricostruzione della vicenda

negoziale che non trova affatto un obbligato

del recesso della curatela dal contratto di
locazione ,, la odierna società ricorrente avrebbe
potuto recedere dal contratto di affitto di
azienda ovvero agire per la riduzione del canone
di affitto in considerazione del valore locativo
degli immobili e della sua incidenza 10111a
determinazione del canone dell’affitto di
azienda. Non poteva al contrario la società
ricorrente sospendere integralmente il pagamento
del canone rendendosi così inadempiente al
contratto di affitto di azienda e parte passiva
dell’azione di risoluzione contrattuale proposta
dalla curatela. A tali conclusioni si perviene, da
un lato, in considerazione della peculiarità dei
meccanismi di

successione nel contratto che

conseguono alla apertura di una procedura
concorsuale e che non

implicano un vincolo

equivalente a quello assunto dalle parti
originarie del contratto in quanto risulta
preminente l’interesse della curatela alla tutela
del ceto creditorio e alla definizione in tempi
rapidi della procedura concorsuale. Sicché appare

6

riferimento alle norme citate. Infatti a seguito

improprio parlare di inadempimento della curatela
e non invece dell’esercizio di un potere inteso
alla realizzazione delle finalità della
procedura. Mentre, per altro verso, non sussiste
in relazione alle stesse deduzioni difensive
della società ricorrente, l’ipotesi della

Come correttamente rileva la controricorrente il
richiamo è improprio perché non si riferisce alla
prestazione della parte che contesta il proprio
inadempimento. Non si verte

“43

ire

Isimmeiontemnipé

in

ipotesi di impossibilità sopravvenuta della
prestazione della curatela dato che l’obbligo
assunto nell’originario contratto di affitto di
azienda si configurava come obbligazione
accessoria di mettere a disposizione i locali
utilizzati dalla ditta fallita in base al
contratto di locazione in corso con la società
Olimpia sicché anche il venir meno di tale
prestazione non può considerarsi automaticamente
pregiudicante la continuazione dell’esercizio
dell’impresa. A fronte del diritto della curatela
a

recedere

dal contratto di locazione potevano

aprirsi le ipotesi di una prosecuzione del
rapporto locatizio da parte della GSC con la
s.p.a Olimpia ovvero dell’acquisizione di altri
locali direttamente da parte della GSC. Ipotesi
che avrebbero entrambe consentito la prosecuzione
del rapporto di affitto di azienda con la dovuta

7

sopravvenuta impossibilità della prestazione.

riduzione del canone per tenere conto del costo
trasferito dal fallimento sulla GSC.
Alternativamente però la GSC avrebbe potuto
esercitare il proprio diritto di recesso essendo
rimessa alla parte affittuaria, a seguito del
recesso della curatela dal contratto di

stipulazione di un rapporto di locazione diretto
con la Olimpia ovvero di trasferire altrove
l’azienda. Sicuramente tale facoltà è però venuta
meno a seguito dell’inadempimento posto in essere
con la totale sospensione del pagamento del
canone nonostante l’intervenuto accordo con la
Olimpia per le prosecuzione del rapporto di
locazione alle stesse condizioni.
12. Quanto alla determinazione della misura del
risarcimento per l’occupazione senza titolo
derivante dalla risoluzione

del contratto

appare

conseguente e logica la valutazione dei giudici
di merito che hanno detratto dal canone di
affitto quello di locazione al cui pagamento
provvedeva sino ad allora la Niceta s.r.l. e la
sua curatela.
13. Con il quinto motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 194,
196, 198, 201 c.p.c. e 90, 91 e 92 disp. att.
c.p.c. anche in relazione all’art. 360 n. 3, 4 e
5 c.p.c. La società ricorrente pone alla Corte il
seguente quesito di diritto: se le operazioni di

8

locazione, la libertà di rifiutare la

C.T.U. effettuate nel giudizio di secondo grado e
ridondanti nella sentenza relativa abbiano
violato gli artt. 194, 196, 198, 201 c.p.c. e 9092 disp. att. c.p.c. e se, pertanto, la Corte di
appello abbia, sul punto, erroneamente e
falsamente applicato tali norme l’art. 80 1.f. in
relazione all’art. 1460 c.c.; accerti inoltre e

dichiari la Corte se la sentenza impugnata sia
stata correttamente e adeguatamente motivata sul
punto.
14. Con il sesto motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 112,
113, 114 c.p.c. anche in relazione all’art. 360
n. 3, 4 e 5 c.p.c. La società ricorrente pone
alla Corte il seguente quesito di diritto: se la
pronuncia della Corte di appello, come conferma
della pronuncia di primo grado, in ordine alla
valutazione equa della riduzione del canone abbia
violato gli artt. 112, 113, 114 c.p.c. e se
pertanto la Corte di appello abbia, sul punto,
erroneamente e falsamente applicato tali norme;
accerti inoltre e dichiari la Corte se la
sentenza impugnata sia stata correttamente e
adeguatamente motivata sul punto.
15. Entrambi i motivi appaiono inammissibili per una
formulazione impropria dei quesiti di diritto
(cfr.

Cass. Sez. Un. 8 maggio 2008, n. 11210)

ohm

si limitano a richiedere tautologicamente che si
affermi la violazione da parte della Corte di

9

fr,dst

appello delle norme riportate nella rubrica,
laddove la formulazione corretta del quesito di
diritto richiede che il ricorrente riporti gli
elementi essenziali della fattispecie concreta e
indichi la relazione di tali elementi con uno
schema normativo tipico che comporta

risolutivo della controversia (Cass. civ. sezione
III n. 4044 del 19 febbraio 2009).

Manca poi,

quanto ai lamentati vizi motivazionali, un
momento di sintesi (omologo del quesito di
diritto) che contenga la chiara indicazione del
fatto controverso, in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria,
ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea
a giustificare la decisione (cfr.

Cass. civ.

sezione lavoro n. 4556 del 25 febbraio 2009).
16.11 ricorso va pertanto respinto con condanna
della società ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione liquidate in complessivi euro 8.200 di cui
200 per spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
10 ottobre 2013.

l’affermazione di un principio giuridico

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