Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16369 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14768-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliare in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GD SEARLE & CO in persona del rappresentante per i rapporti

Tributari in Italia, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DONIZETTI 10 presso lo studio dell’avvocato GIORGIO MARCO IACOBONE,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 1909/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

MILANO, depositata il 12/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2020 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PUCCIARIELLO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato FERI per delega

dell’Avvocato IACOBONE che ha chiesto il rigetto e condanna alle

spese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La G.D. Searle & Co., società di diritto statunitense priva di alcuna stabile organizzazione in Italia, percepì nel 1982 royalties da licenziatari italiani. Provvide quindi a presentare la dichiarazione dei redditi Mod. 760 in Italia ed a versare, in via cautelativa, l’ILOR e la relativa addizionale sulle royalties percepite per un totale di Lire 70.433.000.

Ritenendo le stesse peraltro non assoggettabili ad imposta, formulò istanza di rimborso all’Intendenza di Finanza di Milano, sulla quale si formò il silenzio-rifiuto.

Proposta quindi dalla società impugnazione avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’anzidetta istanza di rimborso, l’adita Commissione tributaria di primo grado di Milano respinse il ricorso.

Sull’appello proposto dalla società avverso la sentenza di primo grado ad essa sfavorevole la Commissione tributaria di secondo grado di Milano confermò la sentenza impugnata.

La società impugnò quindi la sentenza resa dal giudice di appello dinanzi alla Commissione tributaria centrale (CTC) – sezione di Milano- che accolse il ricorso.

La CTC rilevò che “a partire dall’anno 1982 le royalties sono state rese sì tassabili ma con esclusione dell’ILOR” e che pertanto, “sia sotto il profilo della applicazione della Convenzione Italia/USA che in attuazione della normativa vigente all’epoca, in proposito” dovesse essere “riconosciuto il buon diritto del contribuente”.

Avverso la sentenza della CTC l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, cui la società statunitense resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 897 del 1980, artt. 31 e 43 e del D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo l’erroneità in diritto dell’impugnata pronuncia, rilevando come la concreta esenzione da imposizione delle royalties per effetto dell’art. 8 della Convenzione Italia – USA, stipulata a Washington il 30 marzo 1955, al fine dichiarato di evitare le doppie imposizioni e di prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, ratificata con L. 19 luglio 1956, n. 943, impedisca l’applicabilità della norma di esclusione dall’ILOR, di cui al D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, in relazione ai redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a tifo d’imposta.

Ciò, peraltro, alla stregua anche dell’indirizzo interpretativo consolidatosi a seguito dell’intervento in materia delle SU di questa Corte con sentenza 20 novembre 2003, n. 17632.

2. Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dalla società controricorrente per difetto di legittimazione da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato, per mancanza dell’indicazione in ricorso di uno specifico collegamento tra la ricorrente Agenzia delle Entrate e l’Avvocatura stessa in relazione allo specifico ricorso proposto.

2.1. L’eccezione è infondata.

In proposito va ribadito quanto già osservato da questa Corte, secondo cui “In tema di contenzioso tributario, l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale, però, non deve farsi specifica menzione nel ricorso atteso che l’art. 366 c.p.c., n. 5, inserendo tra i contenuti necessari del ricorso “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello “ius postulandi” (peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore” (cfr. Cass. sez. 5, 4 novembre 2016, n. 22434; Cass. sez. 5, 5 luglio 2011, n. 14875); laddove la specificità dell’incarico in relazione al giudizio per cassazione introdotto con il ricorso notificato alla controparte dall’Avvocatura erariale è da porsi in relazione all’indicazione nell’epigrafe del ricorso della sentenza oggetto d’impugnazione.

3. L’unico motivo di ricorso è fondato, alla stregua del principio di diritto affermato dalle SU di questa Corte (Cass. 20 novembre 2003, n. 17632) che, a composizione di contrasto di giurisprudenza, hanno statuito che “Le “royalties” percepite in Italia da una società con sede negli USA, nel vigore della disciplina transitoria di cui allo scambio di note intervenute tra i due Stati il 13 dicembre 1974 ed approvato con la L. 6 aprile 1977, n. 233 (prima della Convenzione di Roma del 17 aprile 1984, ratificata e resa esecutiva con la L. 11 dicembre 1985, n. 763), si sottraggono all’IRPEF e all’IRPEG, ma non all’ILOR, la quale, pertanto, è dovuta, dato che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, escludendone la debenza per i redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, si riferisce ai proventi che effettivamente subiscano tale ritenuta, non a quelli che, pur essendo ad essa astrattamente esposti, godano in concreto di esenzione; ed atteso altresì che, da un lato, la fonte convenzionale, nel prevenire la doppia imposizione, non si riferisce alla tassazione locale e, da un altro, che tale disciplina non contrasta neppure con il principio comunitario di non discriminazione in base alla nazionalità”.

3.1. In particolare hanno osservato le SU, in motivazione, riguardo a tale ultimo profilo, che “anche a voler dare per ammesso che il divieto di che trattasi possa operare nella materia considerata ed in pro di soggetti extracomunitari, questi ultimi potrebbero aver titolo ad accampare una qualche discriminazione ai loro danni se fossero assoggettati ad un regime di tassazione più oneroso di quello riservato ad altri soggetti, comunitari o non, dal diritto tributario interno generale o da convenzioni vigenti fra la Repubblica Italiana e Stati diversi da quello di loro appartenenza”.

3.2. Il relativo onere probatorio, trattandosi di causa di rimborso nella quale la contribuente riveste natura di attrice in senso sostanziale, incombente su di essa, non risulta soddisfatto, senza che neppure risulti oggetto di mera allegazione la prima delle circostanze fattuali sopra indicate che legittimerebbero la contribuente a dolersi della violazione in proprio danno del principio di non discriminazione.

3.3. Premesso che l’anno d’imposta a cui si riferisce la presente controversia di rimborso è il 1982, che ricade proprio nel vigore della disciplina transitoria innanzi ricordata, il ricorso dell’Amministrazione finanziaria è fondato alla stregua del succitato principio di diritto.

Le critiche di parte controricorrente alla succitata pronuncia, della quale si è mostrata consapevole, non sono tali da indurre ad una revisione del suddetto orientamento, ampiamente consolidatosi in forza delle successive pronunce che ne hanno fatto costante applicazione (cfr., tra le molte, Cass. SU 11 dicembre 2003, n. 18957; Cass. SU 9 luglio 2004, n. 12703; Cass. sez. 5, 3 dicembre 2008, n. 28689; Cass. sez. 5, 31 marzo 2011, n. 7416; Cass. sez. 65, ord. 23 luglio 2014, n. 16707; Cass. sez. 5, 29 agosto 2018, n. 21314), ed al quale va quindi assicurata con la presente pronuncia ulteriore continuità, dovendosi rilevare come gli arresti giurisprudenziali indicati nella memoria depositata dalla controricorrente siano inidonei a sostenerne l’assunto, essendo tutti riferiti a fattispecie nelle quali veniva in applicazione la diversa Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Regno Unito.

4. In accoglimento del ricorso va pertanto cassata la sentenza impugnata.

4.1. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può dunque essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

5. Possono essere compensate, avuto riguardo alla sopravvenienza della succitata decisione delle SU di questa Corte in pendenza del ricorso proposto dinanzi alla CTC, le spese del giudizio svoltosi dinanzi agli organi di giustizia tributaria, ponendosi le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, secondo soccombenza, a carico della parte controricorrente.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.

Dichiara compensate le spese del giudizio svoltosi dinanzi agli organi di giustizia tributaria e condanna la controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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